LA PRESCRIZIONE OFF-LABEL DEI FARMACI

Di norma il medico deve utilizzare e prescrivere i farmaci secondo le indicazioni terapeutiche per le quali è stata autorizzata la sua immissione in commercio.

Esiste però la possibilità di farne uso per trattare patologie diverse o con modalità di somministrazione o posologia differenti (in questo si sostanzia l’off label), ma dobbiamo sapere che per esercitare legittimamente questa pratica – che si ispira alla teorica della libertà di cura – la legge stabilisce precisi paletti.

Questi paletti vennero posti dal legislatore, colmando il precedente vuoto normativo, quando si trattò di disciplinare la sperimentazione ufficiale del c.d. Multitrattamento Di Bella.

Negli anni ‘90 accadde che numerosi malati terminali di cancro, pazienti trattati secondo il “protocollo” del M.D.B.,  ricorsero ai Pretori (oggi il Pretore non esiste più, in quanto le funzione di quel giudice sono state attribuite alla competenza del Tribunale), chiedendo al giudice di ordinare alla ASL di somministrare loro gratuitamente la somatostatina. Come noto, quel farmaco era gratuitamente prescrivibile in fascia A per alcune malattie quali l’acromegalia ma non per i tumori, ed era reperibile solo con difficoltà nelle farmacie italiane al costo di £ 500.000 circa a dose. Le ASL sostenevano che sarebbe stato anomalo porre a carico del SSN l’impiego sistematico di farmaci per indicazioni diverse da quelle approvate con il rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio. Ebbene, molti Pretori stabilirono che la richiesta dovesse essere accolta in quanto volta alla tutela del diritto alla salute sancito dall’art. 32 della Costituzione, quindi ordinarono in via d’urgenza alle ASL di somministrare gratuitamente il farmaco allorché, in presenza di sindromi di particolare gravità, esso apparisse l’unico potenzialmente efficace in assenza di ogni altra valida alternativa terapeutica.

Come sappiamo, la sperimentazione ufficiale sul M.D.B. diede esito negativo, ma il decreto legge n° 23 del 1998 (convertito nella Legge 94) che introdusse la sperimentazione, è rimasto a dare una disciplina dell’off label. Infatti, pur riguardando precipuamente le sperimentazioni cliniche in campo oncologico, introduce «altre misure in materia sanitaria», e nel preambolo si fa certo riferimento al «multitrattamento Di Bella», ma anche, in via generale, all’impiego di medicinali per indicazioni terapeutiche non autorizzate. Ne consegue che, pur trovando la propria essenziale ragion d’essere nell’esigenza di «disciplinare, in via eccezionale, la sperimentazione clinica del multitrattamento Di Bella» e di dare risposta ai problemi correlati, il predetto decreto-legge non si limita a tale vicenda, per cui non vi è discriminazione oggettiva a danno dei farmaci che compongono detta terapia.

 

Essenzialmente, l’off label è disciplinato da tre fonti normative:

la Legge 8/4/1998  n. 94, la Legge 23/12/1996  n. 648 e il Decreto Ministeriale 8/5/2003.

L’art. 3 della Legge 94 (rubricato “Osservanza delle indicazioni terapeutiche autorizzate”) stabilisce le seguenti regole:

A) il medico, nel prescrivere un medicinale prodotto industrialmente, si attiene alle indicazioni terapeutiche, alle vie e alle modalità di somministrazione previste dall’autorizzazione all’immissione in commercio;

B) in singoli casi il medico – sotto la sua diretta responsabilità – può impiegare un medicinale prodotto industrialmente per un’indicazione o una via di somministrazione o una modalità di somministrazione o di utilizzazione diversa da quella autorizzata (oppure riconosciuta agli effetti della 648 del 1996, di cui diremo), alle seguenti condizioni:

1.               previa informazione del paziente,

2.               previa acquisizione del consenso del paziente,

3.               se il medico ritenga, in base a dati documentabili , che il paziente non possa essere utilmente trattato con medicinali on-label, ossia per i quali sia già approvata quella indicazione terapeutica o quella via o modalità di somministrazione,

4.               purché tale impiego sia noto e conforme a lavori apparsi su pubblicazioni scientifiche accreditate in campo internazionale.

La legge dispone che in nessun caso il ricorso (anche improprio) del medico alla facoltà di curare con farmaci off label può costituire riconoscimento del diritto del paziente alla erogazione dei medicinali a carico del SSN, al di fuori dell’ipotesi disciplinata dalla legge 23 dicembre 1996, n. 648.

Il quinto comma dell’articolo 3 prevede che la violazione, da parte del medico, di queste disposizioni sia oggetto di procedimento disciplinare , e che in caso di violazione la sanzione minima irrogabile sia la sospensione dall’esercizio dell’attività professionale.

 

La legge 23/12/1996  n. 648 stabilisce che, qualora non esista valida alternativa terapeutica, sono erogabili a totale carico del Servizio sanitario nazionale:

1.               i medicinali innovativi la cui commercializzazione è autorizzata in altri Stati ma non sul territorio nazionale,

2.               i medicinali non ancora autorizzati ma sottoposti a sperimentazione clinica

3.               i medicinali da impiegare per un’indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata (off label, cioè), inseriti in apposito elenco predisposto e periodicamente aggiornato dall’AIFA

 

Il D.M. 8/5/2003 regolamenta l’uso compassionevole del farmaco assicurando ai pazienti l’accesso a terapie farmacologiche sperimentali con oneri a carico delle imprese produttrici, cui il medico può chiedere il farmaco.

L’autorizzazione è  rilasciata – quando non esista valida alternativa terapetica al trattamento di patologie gravi, o di malattie rare o di condizioni di malattia che pongono il paziente in pericolo di vita – se:

a) il medicinale sia già oggetto, nella medesima specifica indicazione terapeutica, di studi clinici sperimentali, in corso o conclusi, di fase terza o, in casi particolari di condizioni di malattia che pongano il paziente in pericolo di vita, di studi clinici già conclusi di fase seconda;

b) i dati disponibili sulle sperimentazioni di cui alla lettera a) siano sufficienti per formulare un favorevole giudizio sull’efficacia e la tollerabilità del medicinale richiesto.

 

Su questa normativa di base, sono intervenute due norme contenute nelle legg finanziarie per il 2007 ed il 2008. Iniziamo da quest’ultima.

L’art 1 comma 349 della Legge Finanziaria 2008 (Legge 24 Dicembre 2007, n. 244) pone un parametro importante alla discrezionalità della valutazione con cui l’AIFA inserisce i farmaci nell’elenco di cui alla legge 648 (farmaci off label a totale rimborso): la Commissione tecnico-scientifica dell’AIFA valuta, oltre ai profili di sicurezza, la presumibile efficacia del medicinale, sulla base dei dati disponibili delle sperimentazioni cliniche già concluse, almeno di fase seconda.

 

L’art. 1 comma 796 lettera Z, della Legge 296/2006 (Finanziaria 2007) ha sostanzialmente vietato l’off label sistematico in sede ospedaliera a spese del SSN: la facoltà di fare off label secondo la legge 94 “non è applicabile al ricorso a terapie farmacologiche a carico del Servizio sanitario nazionale, che, nell’ambito dei presìdi ospedalieri o di altre strutture e interventi sanitari, assuma carattere diffuso e sistematico e si configuri, al di fuori delle condizioni di autorizzazione all’immissione in commercio, quale alternativa terapeutica rivolta a pazienti portatori di patologie per le quali risultino autorizzati farmaci recanti specifica indicazione al trattamento. Il ricorso a tali terapie è consentito solo nell’ambito delle sperimentazioni cliniche dei medicinali.

V’è da dire che l’AIFA ha aggiornato con Determinazioni 29/5/2007 e 16/10/07 l’elenco dei farmaci di cui alla legge 648/96 ponendo particolare riguardo ai settori dell’oncologia e della pediatria, i quali maggiormente avrebbero risentito di un’interpretazione restrittiva della norma contenuta nella Legge Finanziaria.

 

Le Corti si sono occupate dell’off label?

 

Si, esistono alcune sentenze che ne hanno trattato.

Il caso più eclatante, che è anche assurto agli onori delle cronache, è il “caso Veronica (Cass. pen., sez. IV 30-09-2008 n. 37077)

M.D. veniva tratta a giudizio dinanzi al Tribunale di Pistoia – Sezione distaccata di Monsummano Terme per rispondere del reato di lesioni dolose aggravate in danno della minore R. V. ex artt. 582 e 583 c.p., consistite in sonnolenza, incubi, emicrania, depressione, eccitabilità ed un episodio di allucinazioni, oltre che nella insorgenza di calcolosi renale, di disturbi oculari e di colecistopatia, per una durata superiore a giorni 40 (fatto avvenuto dal (OMISSIS), anche se il capo di imputazione dava atto che alcune delle patologie risultavano ancora in corso). Alla stessa veniva contestato di avere provocato le predette lesioni per avere prescritto, nella qualità di medico, alla minore sopra indicata, per la cura dell’obesità, l’assunzione del farmaco Topiramato, quale terapia sperimentale, in mancanza di adeguata informazione ed espresso consenso del paziente o di chi esercitava la patria potestà, in dosaggi superiori a quelli consenti (200 mg al giorno, dose in seguito raddoppiata), senza seguire il lento incremento della dose raccomandata.

Il Giudice, all’esito del dibattimento e sulla base anche di perizie tecniche, escludeva la sussistenza del rapporto causale tra Topiramato ed alcune delle patologie elencate nel capo di imputazione (diplopia oculare, calcolosi renale e colecistopatia), mentre condivideva l’impostazione accusatoria secondo la quale la M. era responsabile del reato di lesioni volontarie aggravate.

Tale convincimento era motivato con argomentazioni che possono così riassumersi: la prevenuta aveva diagnosticato una obesità pediatrica e per la cura aveva prescritto il Topiramato cui uso era riconosciuto per la sola epilessia; si trattava, pertanto, di uso di farmaco off label, somministrato in via sperimentale, in mancanza di letteratura medica sull’uso di detto medicinale per la cura dell’obesità (la stessa imputata affermava che la sperimentazione con detto farmaco, fatta dal suo dipartimento, ancora non era stata pubblicata); la somministrazione era avvenuta in assenza di una adeguata informazione alla madre o ai familiari, visto che la prevenuta aveva genericamente detto che si trattava di un farmaco per dimagrire, senza spiegare i possibili effetti collaterali; le modalità di somministrazione erano state scorrette, con una dose di esordio pari a 200 mg al giorno, anzichè di 25 mg, come raccomandato dal foglietto illustrativo; vi era stata l’inosservanza della L. n. 94 del 1998, art. 3, comma 2, per non essere state cercate valide alternative terapeutiche ai fini del trattamento della patologia riscontrata; la dr.ssa M. aveva omesso, nonostante il progressivo aumento della dose, una parallela attività di monitoraggio degli effetti collaterali sulla salute della bambina, visto che all’unica visita del 18 giugno 1999 non ne erano seguite altre; l’imputata, pur portata a conoscenza telefonicamente dai familiari della bambina delle condizioni di sofferenza della stessa e dell’assenza di dimagrimento, imprudentemente aveva prescritto il raddoppio della dose di medicinale, senza sottoporre la minore a nuova visita.

Alla luce di tali elementi, il giudicante riteneva che la prevenuta aveva agito cercando di sfruttare l’effetto anoresizzante del medicinale, uno degli effetti collaterali del predetto medicinale per il dimagrimento della bambina, così accettando il rischio della insorgenza di quegli ulteriori effetti collaterali del farmaco, che sono quelli che comportarono lo stato di malattia della paziente.

la Corte di merito sottolineava che: la documentazione acquisita agli atti, sia pure successiva al 1999, attestava che i prodotti a base di topiramato erano regolarmente in commercio per curare l’epilessia con l’indicazione di un dimagrimento quale uno degli effetti secondari e che la prescrizione della prevenuta affondava in studi e pubblicazioni già esistenti, che successivamente sarebbero divenuti un fatto scientifico assodato; il comportamento del medico, secondo le conclusioni del CT del P.M. reiterate in sede dibattimentale, era da qualificarsi imprudente nella scelta del farmaco per il disturbo del comportamento alimentare della minore e negligente nella scelta del dosaggio terapeutico da propinare ad una ragazza di 12 anni; non si trattava di prescrizioni di farmaco per tentare una sperimentazione pura, dato che vi era qualche pubblicazione scientifica proprio sulla utilizzazione di detto effetto collaterale da un punto di vista terapeutico (si citava, in tal senso, tra le altre, anche la relazione del CT di parte civile e le dichiarazioni rese dallo stesso nella qualità di teste nonchè la relazione peritale svolta dal primo Giudice); dagli atti emergeva che, prima della cura a base di topamax, erano state tentate altre e più ordinarie strade, quali cure dimagranti, anche con un precedente ricovero nel (OMISSIS), con risultati non apprezzabili; la causa del disturbo alimentare della minore era di carattere psicologico, come emergeva dalle dichiarazioni della madre, la quale, per questo motivo, si era rivolta ad una specialista in psicologia; pur volendo ammettere che il rapporto costi/benefici nel caso in esame fosse sbilanciato a favore dei primi, non risultava provato, alla luce dei dati sopra indicati, il comportamento doloso del medico, caratterizzato cioè dalla deliberata volontà di cagionare lesioni, anche se conosciute come possibili effetti collaterali; emergeva, invece, un comportamento colposo della prevenuta, la quale non osservava imprudentemente e negligentemente il protocollo al quale l’uso off label del topiramato era subordinato (adeguato consenso informato, con esatta indicazione dei possibili effetti negativi del farmaco ed attività di monitoraggio delle condizioni della minore, nella specie durante il trattamento).

E’ quasi di scuola apprezzare un profilo di negligenza professionale a carico del sanitario che, pur avvertito degli effetti indesiderati del farmaco somministrato e ciò a maggior ragione allorquando si tratti di farmaco che tali effetti rappresenti come possibili controindicazioni, lungi dal sottoporre ad una attenta verifica la originaria prescrizione, si limiti – senza neppure visitare il paziente – a confermarla o addirittura ad accentuare (qui, a raddoppiare) la dose del farmaco di interesse, senza neppure sottoporre a nuova visita la paziente.

Ciò è quanto risulta avere effettuato la imputata, la quale ha palesato, nei termini ricostruiti in sede di merito, quell’atteggiamento psicologico (quantomeno in termini di superficialità e disattenzione) che è idoneo ad integrare la colpa.

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