la prescrizione off label: aggiornamento sino alle modifiche normative del 2014 alla legge 648 del 1996
L’OFF LABEL
L’utilizzo e la prescrizione di un farmaco costituiscono il più frequente atto medico, e non sorprende che i farmaci siano una delle principali cause di eventi avversi da cure mediche.
Tuttavia, se esiste una vasta casistica giurisprudenziale circa gli errori nella fase della diagnosi ed in quella del trattamento chirurgico, i giudici si sono pronunciati assai meno con riferimento alle patologie farmaco-correlate (drug related morbidity, DRM).
Secondo il Codice comunitario dei medicinali, la reazione avversa è la reazione, nociva e non intenzionale, ad un medicinale impiegato alle dosi normalmente somministrate all’uomo:
l reazione avversa grave: provoca il decesso o mette in pericolo la vita, richiede o prolunga il ricovero ospedaliero, provoca disabilità o incapacità persistente o significativa o comporta un’anomalia congenita o un difetto alla nascita;
l reazione avversa attesa: la reazione avversa di cui non sono previsti nel riassunto delle caratteristiche del prodotto la natura, la gravità o l’esito.
E’ chiaro come al medico non possano essere addebitati gli effetti avversi prevedibili (se previsti in concreto ed adeguatamente illustrati al paziente prima della terapia, nella fase di acquisizione del consenso) ed inevitabili ma necessari in una terapia correttamente impostata nel bilanciamento benefici/rischi: il medico invece sarà chiamato a rispondere delle lesioni cagionate al paziente per la scelta errata del farmaco o per l’utilizzo scorretto. Tutto ciò risponde alle stesse logiche che presiedono alla valutazione giuridica di qualsiasi altro atto medico.
Ciò che è peculiare del solo trattamento faramacologico è la particolare attenzione (con correlata assunzione di responsabilità) richiesta al medico laddove decida di utilizzare un farmaco off label.
Come è noto, di norma il farmaco deve esser utilizzato secondo le indicazioni terapeutiche per le quali è stata autorizzata la sua immissione in commercio.
Il medico, così come in ogni atto in cui si estrinseca la pratica sanitaria, quando prescrive un farmaco opera secondo SCIENZA E COSCIENZA, seguendo le linee guida più aggiornate ed accreditate ed i protocolli che ritiene migliori e più confacenti al caso.
La libertà di impostare la terapia farmacologica, poiché il nostro ordinamento sanitario è retto anche da logiche di tipo finanziario (le “tasche di Pantalone” non sono illimitate…), deve conciliarsi col dovere del medico di tener conto degli aspetti economici della prescrizione (il farmaco è in fascia A a carico del SSN o in fascia C a carico del paziente, è o non sostituibile col generico? E così via).
Il medico, poi, deve tenere conto delle NOTE AIFA che determinano il criterio di rimborsabilità di un farmaco a seconda prescritto per una delle varie indicazioni terapeutiche previste, o per un particolare tipo di paziente in buona sostanza, si tratta di un criterio di appropriatezza prescrittiva di natura finanziaria, in quanto attiene al tema del rimborso da parte del servizio sanitario.
Bisogna fare attenzione a non confondere i criteri di appropriatezza prescrittiva di natura clinica con quelle di natura finanziaria: le Linee Guida e i protocolli sono modelli comportamentali che propongono agli operatori le scelte professionali più appropriate, partono dalla problematica e presentano le possibili soluzioni.
Le Note AIFA che costituiscono un criterio di potenza prescrittiva finanziaria, partono dal farmaco e indicano per quali patologie e in quali condizioni c’è il rimborso del SSN: non sono una restrizione alla libertà del medico di prescrivere secondo scienza e coscienza, ma lo richiamano sul fatto che quel farmaco ha una indicazione scientificamente riconosciuta e che il SSN si fa carico di rimborsare la spesa solo in tale circostanza.
la pratica dell’off label
Dicevamo che di norma il medico deve utilizzare e prescrivere i farmaci secondo le indicazioni terapeutiche per le quali è stata autorizzata la sua immissione in commercio.
Esiste però la possibilità di farne uso per trattare patologie diverse o con modalità di somministrazione o posologia differenti (in questo si sostanzia l’off label), ma dobbiamo sapere che per esercitare legittimamente questa pratica – che si ispira alla teorica della libertà di cura – la legge stabilisce precisi paletti.
Questi paletti vennero posti dal legislatore, colmando il precedente vuoto normativo, quando si trattò di disciplinare la sperimentazione ufficiale del c.d. Multitrattamento Di Bella.
Negli anni ‘90 accadde che numerosi malati terminali di cancro, pazienti trattati secondo il “protocollo” del M.D.B., ricorsero ai Pretori (oggi il Pretore non esiste più, in quanto le funzione di quel giudice sono state attribuite alla competenza del Tribunale), chiedendo al giudice di ordinare alla ASL di somministrare loro gratuitamente la somatostatina. Come noto, quel farmaco era gratuitamente prescrivibile in fascia A per alcune malattie quali l’acromegalia ma non per i tumori, ed era reperibile solo con difficoltà nelle farmacie italiane al costo di £ 500.000 circa a dose. Le ASL sostenevano che sarebbe stato anomalo porre a carico del SSN l’impiego sistematico di farmaci per indicazioni diverse da quelle approvate con il rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio. Ebbene, molti Pretori stabilirono che la richiesta dovesse essere accolta in quanto volta alla tutela del diritto alla salute sancito dall’art. 32 della Costituzione, quindi ordinarono in via d’urgenza alle ASL di somministrare gratuitamente il farmaco allorché, in presenza di sindromi di particolare gravità, esso apparisse l’unico potenzialmente efficace in assenza di ogni altra valida alternativa terapeutica.
Come sappiamo, la sperimentazione ufficiale sul M.D.B. diede esito negativo, ma il decreto legge n° 23 del 1998 (convertito nella Legge 94) che introdusse la sperimentazione, è rimasto a dare una disciplina dell’off label. Infatti, pur riguardando precipuamente le sperimentazioni cliniche in campo oncologico, introduce «altre misure in materia sanitaria», e nel preambolo si fa certo riferimento al «multitrattamento Di Bella», ma anche, in via generale, all’impiego di medicinali per indicazioni terapeutiche non autorizzate. Ne consegue che, pur trovando la propria essenziale ragion d’essere nell’esigenza di «disciplinare, in via eccezionale, la sperimentazione clinica del multitrattamento Di Bella» e di dare risposta ai problemi correlati, il predetto decreto-legge non si limita a tale vicenda, per cui non vi è discriminazione oggettiva a danno dei farmaci che compongono detta terapia.
Esiste una normativa di riferimento per l’off-label?
Essenzialmente, l’off label è disciplinato da tre fonti normative:
la Legge 8/4/1998 n. 94, la Legge 23/12/1996 n. 648 e il Decreto Ministeriale 8/5/2003.
L’art. 3 della Legge 94, meglio nota come “legge Di Bella”, (rubricato “Osservanza delle indicazioni terapeutiche autorizzate”) stabilisce le seguenti regole:
A) il medico, nel prescrivere un medicinale prodotto industrialmente, si attiene alle indicazioni terapeutiche, alle vie e alle modalità di somministrazione previste dall’autorizzazione all’immissione in commercio;
B) in singoli casi il medico – sotto la sua diretta responsabilità – può impiegare un medicinale prodotto industrialmente per un’indicazione o una via di somministrazione o una modalità di somministrazione o di utilizzazione diversa da quella autorizzata (oppure riconosciuta agli effetti della 648 del 1996, di cui diremo), alle seguenti condizioni:
- previa informazione del paziente,
- previa acquisizione del consenso del paziente,
- se il medico ritenga, in base a dati documentabili , che il paziente non possa essere utilmente trattato con medicinali on-label, ossia per i quali sia già approvata quella indicazione terapeutica o quella via o modalità di somministrazione,
- purché tale impiego sia noto e conforme a lavori apparsi su pubblicazioni scientifiche accreditate in campo internazionale.
La legge dispone che in nessun caso il ricorso (anche improprio) del medico alla facoltà di curare con farmaci off label può costituire riconoscimento del diritto del paziente alla erogazione dei medicinali a carico del SSN, al di fuori dell’ipotesi disciplinata dalla legge 23 dicembre 1996, n. 648.
Il quinto comma dell’articolo 3 prevede che la violazione, da parte del medico, di queste disposizioni sia oggetto di procedimento disciplinare , e che in caso di violazione la sanzione minima irrogabile sia la sospensione dall’esercizio dell’attività professionale.
La legge 23/12/1996 n. 648 stabilisce che, qualora non esista valida alternativa terapeutica, sono erogabili a totale carico del Servizio sanitario nazionale:
- i medicinali innovativi la cui commercializzazione è autorizzata in altri Stati ma non sul territorio nazionale,
- i medicinali non ancora autorizzati ma sottoposti a sperimentazione clinica
- i medicinali da impiegare per un’indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata (off label, cioè), inseriti in apposito elenco predisposto e periodicamente aggiornato dall’AIFA
Il D.M. 8/5/2003 regolamenta l’uso compassionevole del farmaco assicurando ai pazienti l’accesso a terapie farmacologiche sperimentali con oneri a carico delle imprese produttrici, cui il medico può chiedere il farmaco.
L’autorizzazione è rilasciata – quando non esista valida alternativa terapetica al trattamento di patologie gravi, o di malattie rare o di condizioni di malattia che pongono il paziente in pericolo di vita – se:
a) il medicinale sia già oggetto, nella medesima specifica indicazione terapeutica, di studi clinici sperimentali, in corso o conclusi, di fase terza o, in casi particolari di condizioni di malattia che pongano il paziente in pericolo di vita, di studi clinici già conclusi di fase seconda;
b) i dati disponibili sulle sperimentazioni di cui alla lettera a) siano sufficienti per formulare un favorevole giudizio sull’efficacia e la tollerabilità del medicinale richiesto.
Su questa normativa di base, sono intervenute due norme contenute nelle leggi finanziarie per il 2007 ed il 2008. Iniziamo da quest’ultima.
L’art 1 comma 349 della Legge Finanziaria 2008 (Legge 24 Dicembre 2007, n. 244) pone un parametro importante alla discrezionalità della valutazione con cui l’AIFA inserisce i farmaci nell’elenco di cui alla legge 648 (farmaci off label a totale rimborso): la Commissione tecnico-scientifica dell’AIFA valuta, oltre ai profili di sicurezza, la presumibile efficacia del medicinale, sulla base dei dati disponibili delle sperimentazioni cliniche già concluse, almeno di fase seconda.
L’art. 1 comma 796 lettera Z, della Legge 296/2006 (Finanziaria 2007) ha sostanzialmente vietato l’off label sistematico in sede ospedaliera a spese del SSN: la facoltà di fare off label secondo la legge 94 “non è applicabile al ricorso a terapie farmacologiche a carico del Servizio sanitario nazionale, che, nell’ambito dei presìdi ospedalieri o di altre strutture e interventi sanitari, assuma carattere diffuso e sistematico e si configuri, al di fuori delle condizioni di autorizzazione all’immissione in commercio, quale alternativa terapeutica rivolta a pazienti portatori di patologie per le quali risultino autorizzati farmaci recanti specifica indicazione al trattamento. Il ricorso a tali terapie è consentito solo nell’ambito delle sperimentazioni cliniche dei medicinali.
V’è da dire che l’AIFA ha aggiornato con Determinazioni 29/5/2007 e 16/10/07 l’elenco dei farmaci di cui alla legge 648/96 ponendo particolare riguardo ai settori dell’oncologia e della pediatria, i quali maggiormente avrebbero risentito di un’interpretazione restrittiva della norma contenuta nella Legge Finanziaria.
La nuova legge del 2014 sul rimborso del farmaco off label
Nel 2014 è entrata in vigore una nuova norma che modifica sensibilmente il sistema legale della prescrizione off label: il Decreto Legge 36 del 20 marzo 2014 (ampiamente modificato dalla legge di conversione del 16 maggio) ha introdotto il nuovo comma 4 bis all’art 1 della legge 648 del 1996 che così dispone:
4-bis. Anche se sussista altra alternativa terapeutica nell’ambito dei medicinali autorizzati, previa valutazione dell’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), sono inseriti nell’elenco di cui al comma 4, con conseguente erogazione a carico del Servizio sanitario nazionale, i medicinali che possono essere utilizzati per una indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata, purché tale indicazione sia nota e conforme a ricerche condotte nell’ambito della comunità medico-scientifica nazionale e internazionale, secondo parametri di economicità e appropriatezza. In tal caso l’AIFA attiva idonei strumenti di monitoraggio a tutela della sicurezza dei pazienti e assume tempestivamente le necessarie determinazioni».
Questa norma si inserisce nell’ambito di una riforma della normativa sugli stupefacenti per effetto di una pronuncia della Corte costituzionale che aveva dichiarato costituzionalmente illegittime alcune norme, e prende la stura dalla nota vicenda (assurta all’onor di cronaca) dei farmaci per il trattamento delle maculopatie con iniezioni intravitreali.
Il caso fu, ed è, di notevole interesse scientifico, legale e poi anche giudiziario.
Ecco che cosa successe.
Dopo le limitazioni all’utilizzo di farmaci off label previste dalla Finanziaria 2007, con determinazione del 23 Maggio 2007 l’AIFA inserì il bevacizumab nell’elenco dei medicinali erogabili a totale carico del SSN, ossia la fascia H, per il trattamento delle maculopatie essudative e del glaucoma neovascolare.
Il bevacizumab era ed è un farmaco utilizzato off label dagli oculisti per il trattamento della AMD, e la sua rimborsabilità si contrapponeva alla non-rimborsabilità di due farmaci on label, specificamente autorizzati per la degenerazione maculare correlata all’età: il pegaptanib (immesso in commercio in Italia nell’ottobre 2006) e il ranibizumab (un frammento anticorpale del bevacizumab, con alcune modifiche nella sequenza aminoacidica che ne aumentano il legame al VEGF, la cui commercializzazione è stata approvata dall’EMA il 30 gennaio 2007).
Il trattamento intravitreale con bevacizumab era da ritenersi doppiamente off label: 1) il bevacizumab, un anticorpo direttamente correlato al ranibizumab, è autorizzato per il trattamento del cancro colon-rettale e del carcinoma mammario metastatico, e 2) non ne è prevista la somministrazione per via intravitreale.
Sta di fatto che il ranibizumab è molto più economico rispetto ai due farmaci on label, il che sembra esser stata la vera ragione per cui l’Agenzia per due anni ha consentito che il farmaco off label, di fatto, fosse l’unico effettivamente utilizzabile ed utilizzato.
Solo con la Determinazione del 4 marzo 2009 l’AIFA ha modificato la Determinazione del 23 maggio 2007, quale inevitabile conseguenza del fatto che ai due farmaci approvati per quell’indicazione terapeutica, già in classe C, con Determinazioni del 4 dicembre 2008, è stata attribuita la classe H.
Nella parte motivazionale della Determinazione, si legge che stante la legge 648 “il farmaco non possa più essere inserito nella lista per le indicazioni per le quali esistono farmaci approvati e che vada quindi regolarizzata la posizione del «bevacizumab (Avastin)» rispetto ai due nuovi farmaci rimborsati per tale indicazione”.
L’AIFA ha dunque limitato l’erogabilità del bevacizumab (già inserito nell’elenco ex lege n. 648 per il trattamento delle maculopatie essudative e del glaucoma neovascolare) per le seguenti indicazione terapeutica: 1) trattamento delle maculopatie essudative non correlate all’età e 2) trattamento delle maculopatie essudative correlate all’età già in trattamento con bevacizumab; trattamento del glaucoma neovascolare. Criteri di esclusione: degenerazione maculare neovascolare (essudativa) correlata all’eta’, maculopatie non essudative e patologie oculari non caratterizzate da neovascolarizzazione.
La determinazione AIFA 4 marzo 2009 è stata annullata nel maggio 2010 dal TAR del Lazio ritenendola illegittima nella parte in cui manteneva “la rimborsabilità di “ Avastin “ per le Maculopatie essudative correlate all’età, già in trattamento con il principio attivo “ bevacizumab” per “violazione dell’art,1 della legge n.648/1996, che consente l’utilizzazione di farmaci “ off label “ ( e cioè al di fuori delle indicazioni terapeutiche autorizzate ) in casi eccezionali in cui non si rinvengono alternative terapeutiche valide per il trattamento di una determinata patologia, prevedendone altresì la rimborsabilità a totale carico del S.S.N.”
Ebbene nel 2014, dopo che la questione ha avuto altre vicissitudini di carattere giudiziario, il legislatore ha ritenuto di risolvere la questione inserendo il nuovo comma 4 bis nella legge 648.
Occorre chiedersi come si inserisca questa norma nuova nel quadro giuridico che è dato dal combinato disposto della legge 94 della legge 648.
È fuor di dubbio che, dal punto di vista della tecnica formale, sembra esserci una disparità tra quanto dispone la 94 e quanto dispone la 648:
La legge 94 stabilisce che il medico possa fare l’off label qualora ritenga, in base a dati documentabili, che il paziente non possa essere utilmente trattato con medicinali per i quali sia già approvata quella indicazione terapeutica o quella via o modalità di somministrazione.
Il nuovo comma inserito nella 648 stabilisce invece che possa essere rimborsato l’off label anche se sussista altra alternativa terapeutica nell’ambito dei medicinali autorizzati.
Ora, si possono ipotizzare due modi di interpretazione: ritenere che le due norme siano in aperto contrasto, oppure verificare se la nuova abbia una sua compatibilità con quella precedente.
Se si ritiene che le norme siano incompatibili perché testualmente stabiliscono principi diversi, occorre ritenere che l’ordinamento sia schizofrenico perché da una parte ti vieta di fare off label qualora esista un’alternativa on label, dall’altra che rimborsa l’off label che pure abbia un’alternativa autorizzata.
Ed allora, posto che il principio generale della conservazione degli atti giuridici quello che regola l’interpretazione di qualsiasi norma, stabilisce che tra due interpretazioni preferibile orientarsi su quella che mantenga in vigore e in valide efficacia la disposizione piuttosto che quella che la renda costituzionalmente illegittima o incompatibile con il resto dell’ordinamento, sembra preferibile sostenere, entro certi limiti, che la nuova norma abbia allargato la possibilità di fare off label, rendendo meno granitico il paletto della mancanza di alternative autorizzata che a una lettura testuale della legge 94 sembrava essere punto essenziale.
Peraltro, possiamo anche osservare che l’articolo tre della legge 94 non vieta tout court di prescrivere off se esista un’alternativa on label, ma stabilisce che il prescrittore debba ritenere in base alla letteratura scientifica e all’analisi del caso concreto che il paziente non possa essere utilmente trattato con un farmaco autorizzato.
L’uso dell’avverbio “utilmente” nella norma lascia intendere che non si tratti di un divieto assoluto ma di una indicazione, pur stringente, che il legislatore ha voluto dare al medico prescrittore: egli deve valutare il singolo caso alla luce delle linee guida tratte della migliore letteratura e, se questa lo autorizza e lo indirizza a switchare dal farmaco autorizzato (che a quel punto non è più la terapia utile, e non è neppure l’unica alternativa) a quello off label, può e deve scegliere quest’ultima opportunità.
Come spesso accade, si tratta di una questione di assunzione di responsabilità dell’atto terapeutico da parte del medico, guidata dai principi della libertà di cura e dell’obbligo di conoscere e seguire l’evoluzione scientifica così come cristallizzata dalla letteratura accreditata.
Ciò che è vietato è la sperimentazione sul campo, sulla pelle del paziente, senza che la letteratura scientifica condivisa autorizzi una pratica che, in difetto, sarebbe sicuramente criminale.
Ma al di fuori di questo aspetto patologico, il farmaco è e resta uno strumento che la legge affida alla gestione del solo medico: nessun altro soggetto è autorizzato a prescrivere e somministrare medicinali, e la prescrizione off label rientra in questa riserva.
È di un certo interesse comparare il testo originario del decreto legge di marzo con quello che abbiamo appena riportato essere il testo definitivo risultante dalla legge di conversione.
Il testo originario del decreto-legge, che oggi non è più in vigore in quanto sostituito dalla legge che ha convertito il decreto, era il seguente, e stabiliva una procedura assai più complessa:
4-bis. Nel caso in cui l’AIC non comprenda un’indicazione terapeutica per la quale si ravvisi un motivato interesse pubblico all’utilizzo, l’AIFA può registrarla, previa cessione a titolo gratuito al Ministero della salute dei diritti su tale indicazione da parte del titolare dell’AIC .
Qualora il titolare dichiari di volerla direttamente registrare, sono definiti con l’AIFA i termini e le modalita’ di avvio degli studi registrativi relativi alla medesima indicazione. Nel caso in cui il titolare si opponga immotivatamente alla registrazione dell’indicazione terapeutica di interesse pubblico ne viene data adeguata informativa nel sito istituzionale dell’AIFA.
4-ter. Anche se sussista altra alternativa terapeutica nell’ambito dei farmaci autorizzati, l’indicazione terapeutica per la quale sia stato avviato l’iter di registrazione ai sensi del comma 4-bis puo’ essere inserita provvisoriamente nell’elenco di cui al precedente comma 4 con conseguente erogazione dello stesso a carico del SSN nel caso in cui, a giudizio della Commissione tecnico-scientifica dell’AIFA, tenuto anche conto dei risultati delle eventuali sperimentazioni e ricerche condotte nell’ambito della comunità medico-scientifica nazionale e internazionale, nonché della relativa onerosità del farmaco autorizzato per il SSN il farmaco sia sicuro ed efficace con riferimento all’impiego proposto rispetto a quello autorizzato. In tal caso AIFA attiva idonei strumenti di monitoraggio a tutela della sicurezza dei pazienti ed assume tempestivamente le necessarie determinazioni.
4-quater. L’inserimento provvisorio ai sensi del comma 4-ter e’ disposto in attesa che siano disponibili i risultati delle sperimentazioni cliniche condotte sul farmaco e diviene definitivo previa valutazione positiva della Commissione tecnico-scientifica dell’AIFA
Cioè, il decreto-legge prevedeva addirittura la possibilità per l’autorità regolatori italiana di registrare, sostituendosi al produttore del farmaco da lui acquisendo gratuitamente i diritti, l’indicazione terapeutica non prevista dalla AIC originaria laddove la prassi del suo utilizzo off label configuri un “motivato interesse pubblico all’utilizzo”.
La sanzione prevista per il produttore che non avesse acconsentito questa cessione gratuita per farsi ampliare la scheda tecnica dall’Aifa era una sorta di lavagna istituzionale buoni/cattivi nella quale sarebbe comparso tra i secondi…
Questo peculiare sistema, dalla formulazione certamente non molto brillante, non è stato convertito in legge.
Tuttavia, per quanto ci interessa in questa sede, è indice del fatto che secondo il legislatore il tema dell’off label e di primaria importanza, costituisce una alternativa terapeutica legittima (a condizione che vengano rispettati tutti i parametri legali e scientifici previsti dalla norma e della scienza), e deve pertanto essere tenuto presente da qualsiasi medico nel momento in cui debba scegliere con il paziente e per il paziente la migliore strategia terapeutica.
Le Corti si sono occupate dell’off label?
Si, esistono alcune sentenze che ne hanno trattato.
Il caso più eclatante, che è anche assurto agli onori delle cronache, è il “caso Veronica (Cass. pen., sez. IV 30-09-2008 n. 37077)
M.D. veniva tratta a giudizio dinanzi al Tribunale di Pistoia – Sezione distaccata di Monsummano Terme per rispondere del reato di lesioni dolose aggravate in danno della minore R. V. ex artt. 582 e 583 c.p., consistite in sonnolenza, incubi, emicrania, depressione, eccitabilità ed un episodio di allucinazioni, oltre che nella insorgenza di calcolosi renale, di disturbi oculari e di colecistopatia, per una durata superiore a giorni 40 (fatto avvenuto dal (OMISSIS), anche se il capo di imputazione dava atto che alcune delle patologie risultavano ancora in corso). Alla stessa veniva contestato di avere provocato le predette lesioni per avere prescritto, nella qualità di medico, alla minore sopra indicata, per la cura dell’obesità, l’assunzione del farmaco Topamax, quale terapia sperimentale, in mancanza di adeguata informazione ed espresso consenso del paziente o di chi esercitava la patria potestà, in dosaggi superiori a quelli consenti (200 mg al giorno, dose in seguito raddoppiata), senza seguire il lento incremento della dose raccomandata.
Il Giudice, all’esito del dibattimento e sulla base anche di perizie tecniche, escludeva la sussistenza del rapporto causale tra TOPAMAX ed alcune delle patologie elencate nel capo di imputazione (diplopia oculare, calcolosi renale e colecistopatia), mentre condivideva l’impostazione accusatoria secondo la quale la M. era responsabile del reato di lesioni volontarie aggravate.
Tale convincimento era motivato con argomentazioni che possono così riassumersi: la prevenuta aveva diagnosticato una obesità pediatrica e per la cura aveva prescritto il farmaco Topamax il cui uso era riconosciuto per la sola epilessia; si trattava, pertanto, di uso di farmaco off label, somministrato in via sperimentale, in mancanza di letteratura medica sull’uso di detto medicinale per la cura dell’obesità (la stessa imputata affermava che la sperimentazione con detto farmaco, fatta dal suo dipartimento, ancora non era stata pubblicata); la somministrazione era avvenuta in assenza di una adeguata informazione alla madre o ai familiari, visto che la prevenuta aveva genericamente detto che si trattava di un farmaco per dimagrire, senza spiegare i possibili effetti collaterali; le modalità di somministrazione erano state scorrette, con una dose di esordio pari a 200 mg al giorno, anzichè di 25 mg, come raccomandato dal foglietto illustrativo; vi era stata l’inosservanza della L. n. 94 del 1998, art. 3, comma 2, per non essere state cercate valide alternative terapeutiche ai fini del trattamento della patologia riscontrata; la dr.ssa M. aveva omesso, nonostante il progressivo aumento della dose, una parallela attività di monitoraggio degli effetti collaterali sulla salute della bambina, visto che all’unica visita del 18 giugno 1999 non ne erano seguite altre; l’imputata, pur portata a conoscenza telefonicamente dai familiari della bambina delle condizioni di sofferenza della stessa e dell’assenza di dimagrimento, imprudentemente aveva prescritto il raddoppio della dose di medicinale, senza sottoporre la minore a nuova visita.
Alla luce di tali elementi, il giudicante riteneva che la prevenuta aveva agito cercando di sfruttare l’effetto anoresizzante del medicinale, uno degli effetti collaterali del predetto medicinale per il dimagrimento della bambina, così accettando il rischio della insorgenza di quegli ulteriori effetti collaterali del farmaco, che sono quelli che comportarono lo stato di malattia della paziente.
la Corte di merito sottolineava che: la documentazione acquisita agli atti, sia pure successiva al 1999, attestava che i prodotti a base di topiramato erano regolarmente in commercio per curare l’epilessia con l’indicazione di un dimagrimento quale uno degli effetti secondari e che la prescrizione della prevenuta affondava in studi e pubblicazioni già esistenti, che successivamente sarebbero divenuti un fatto scientifico assodato; il comportamento del medico, secondo le conclusioni del CT del P.M. reiterate in sede dibattimentale, era da qualificarsi imprudente nella scelta del farmaco per il disturbo del comportamento alimentare della minore e negligente nella scelta del dosaggio terapeutico da propinare ad una ragazza di 12 anni; non si trattava di prescrizioni di farmaco per tentare una sperimentazione pura, dato che vi era qualche pubblicazione scientifica proprio sulla utilizzazione di detto effetto collaterale da un punto di vista terapeutico (si citava, in tal senso, tra le altre, anche la relazione del CT di parte civile e le dichiarazioni rese dallo stesso nella qualità di teste nonchè la relazione peritale svolta dal primo Giudice); dagli atti emergeva che, prima della cura a base di topamax, erano state tentate altre e più ordinarie strade, quali cure dimagranti, anche con un precedente ricovero nel (OMISSIS), con risultati non apprezzabili; la causa del disturbo alimentare della minore era di carattere psicologico, come emergeva dalle dichiarazioni della madre, la quale, per questo motivo, si era rivolta ad una specialista in psicologia; pur volendo ammettere che il rapporto costi/benefici nel caso in esame fosse sbilanciato a favore dei primi, non risultava provato, alla luce dei dati sopra indicati, il comportamento doloso del medico, caratterizzato cioè dalla deliberata volontà di cagionare lesioni, anche se conosciute come possibili effetti collaterali; emergeva, invece, un comportamento colposo della prevenuta, la quale non osservava imprudentemente e negligentemente il protocollo al quale l’uso off label del topiramato era subordinato (adeguato consenso informato, con esatta indicazione dei possibili effetti negativi del farmaco ed attività di monitoraggio delle condizioni della minore, nella specie durante il trattamento).
E’ quasi di scuola apprezzare un profilo di negligenza professionale a carico del sanitario che, pur avvertito degli effetti indesiderati del farmaco somministrato e ciò a maggior ragione allorquando si tratti di farmaco che tali effetti rappresenti come possibili controindicazioni, lungi dal sottoporre ad una attenta verifica la originaria prescrizione, si limiti – senza neppure visitare il paziente – a confermarla o addirittura ad accentuare (qui, a raddoppiare) la dose del farmaco di interesse, senza neppure sottoporre a nuova visita la paziente.
Ciò è quanto risulta avere effettuato la imputata, la quale ha palesato, nei termini ricostruiti in sede di merito, quell’atteggiamento psicologico (quantomeno in termini di superficialità e disattenzione) che è idoneo ad integrare la colpa.