I TERMINI DI PRESCRIZIONE E DECADENZA NEL DANNO ALLA PERSONA

 

Scheda di sintesi

Il Codice Civile del ’42 individua termini prescrizionali diversi tra azione contrattuale (prescrizione ordinaria decennale) ed azione extracontrattuale (cinque anni; due per i danni da circolazione di autoveicoli).

E’ pacifica la possibilità di cumulo delle responsabilità contrattuale e delittuale, quando i fatti costitutivi di inadempimento siano anche produttivi di una lesione di diritti assoluti.

Le due azioni sono indipendenti e che per ciascuna scorre il suo particolare tempo di prescrizione

Non è ancora definita la questione della risarcibilità dei danni non patrimoniali da inadempimento contrattuale al di fuori delle ipotesi di cumulo.

E’ i due anni il termine di prescrizione del diritto al risarcimento derivato da fatto illecito connesso con la circolazione dei veicoli.

Il trasportato può scegliere se esercitare l’azione extracontrattuale ex artt. 2043 e 2054 c.c. (avvalendosi delle presunzioni di cui a quest’ultima noama), che si prescrive nel termine di due anni, o quella contrattuale per inadempimento del contratto di trasporto che si prescrive in un anno.

Nei casi di infortunio o malattia professionale, mentre l’azione per conseguire le prestazioni indennitarie da parte dell’INAIL si prescrive nel termine di tre anni, si prescrive in dieci anni il diritto al risarcimento del danno differenziale posto a carico del datore di lavoro: il problema della questione INAIL e del danno differenziale prima e dopo la legge di riforma del 2000.

Si prescrivono in tre anni sia il diritto al risarcimento del danno cagionato da prodotto difettoso sia quello che il cliente dell’agenzia di viaggi o del tour operator abbia patito in viaggio.

Il termine di prescrizione per le azioni per il risarcimento dei danni dipendenti da incidenti nucleari è di tre anni.

 

 

 

 

 


 

4.1. I termini di prescrizione.

 

 

Si è posto in luce come il modello francese del 1804 abbia influenzato notevolmente l’evoluzione del diritto italiano della prescrizione. Sicuramente uno dei segnali più chiari dell’importazione del modello francese in Italia fu quello dell’unicità dei termini di prescrizione:  per la maggior parte delle azioni la prescrizione era trentennale, e quindi non si distingueva fra responsabilità contrattuale e responsabilità extra-contrattuale. Così, già nel Codice albertino all’art. 2397 è dato leggere: “tutte le azioni tanto reali, che personali, si prescrivono col decorso di trent’anni, senza che quegli che allega questa prescrizione sia tenuto ad esibire un titolo, o senza che gli si possa opporre l’eccezione derivante da mala fede”. Non dissimilmente, riprendendo pari passo la formulazione suggerita all’art. 2321 del Progetto di Revisione del Codice Civile Albertino (1860), l’art. 2135 del Codice Civile del 1865 recitava: “Tutte le azioni tanto reali, quanto personali si prescrivono col decorso di trent’anni, senza che possa in contrario opporsi il difetto di titolo o di buona fede”.

Siffatta unicità dei termini di prescrizione ordinari venne a rompersi con  il passaggio al Codice civile del 1942 che, per quanto attiene ai termini prescrizionali, ha infatti comportato una significativa svolta verso un sistema ben diverso dal codice precedente.

In particolare, il legislatore italiano del ‘42 operò queste scelte:

1) individuò termini prescrizionali diversi tra azione contrattuale (prescrizione ordinaria decennale, art. 2946 c.c.) ed azione extracontrattuale (art. 2947 c.c.);

2) per il risarcimento dei danni da fatto illecito predispose all’ art. 2947 c.c. termini molto più brevi rispetto al sistema del codice del 1865 (cinque anni; due per i danni da circolazione di autoveicoli);

3) individuò, accanto al termine decennale ordinario, particolari prescrizioni per taluni tipi di contratto (ad esempio, il termine annuale per il contratto di trasporto).

In questo modo il codice del 1942 optò per una netta cesura con la tradizione francese e l’impostazione del previgente codice civile del 1865, in cui l’azione risarcitoria era sottoposta alla prescrizione ordinaria, che peraltro era trentennale e non operava distinzioni tra azione contrattuale e azione aquiliana [1].

Il legislatore, a giustificazione di tali scelte, considerò per un verso “l’esigenza di adeguare il termine di prescrizione al ritmo più intenso della vita moderna, alle più facili e rapide comunicazioni, al bisogno di certezza dei rapporti giuridici[2], per altro verso ritenne come il decorso del tempo possa far scemare nei testimoni il ricordo dei fatti[3].

Possiamo suddividere le azioni tese ad ottenere il risarcimento del danno alla persona in due macro-categorie:

- quelle fondate sulla responsabilità contrattuale (quali ad esempio quelle intentate in materia di responsabilità professionale ed in particolare sanitaria, quelle in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali ex art. 2087 c.c. [4]) per le quali la norma generale di riferimento è costituita dall’art. 2946 che prevede un termine di prescrizione decennale;

- quelle fondate sull’invocazione della responsabilità aquiliana per le quali l’art. 2947 introduce un sistema di prescrizioni brevi, distinguendo tre ipotesi:

1)      il risarcimento da fatto illecito in generale: “il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato” (art. 2947 c.c., primo comma);

2)      il risarcimento del danno prodotto da circolazione di veicoli: “per il risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli di ogni specie il diritto si prescrive in due anni” (art. 2947 c.c., secondo comma)[5];

3)      il risarcimento del danno da reato: “in ogni caso, se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all’azione civile. Tuttavia, se il reato è estinto per causa diversa dalla prescrizione o è intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale, il diritto al risarcimento del danno si prescrive nei termini indicati dai primi due commi, con decorrenza dalla data di estinzione del reato o dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile” (art. 2947 c.c., terzo comma)[6].

Le principali differenze pratiche tra i due regimi di responsabilità si possono così schematizzare [7]:

a)      onere della prova: in materia di illecito extracontrattuale spetta alla vittima, ai sensi dell’art. 2697 c.c., provare la colpa del danneggiante, mentre in tema di inadempimento spetta al debitore dimostrare, ex art. 1218 c.c., che l’inadempimento è dovuto a cause delle quali egli non deve rispondere; fanno eccezione a queste regole le presunzioni di colpa talora poste a carico del danneggiante in ambito di responsabilità aquiliana (v. ad esempio gli artt. 2047 comma 1, 2048, 2050 e 2054 comma 1 c.c.) nonché l’inadempimento delle obbligazioni di mezzi con riferimento alle quali spetta al creditore provare la colpa del debitore;

b)      costituzione in mora: come espressamente previsto dall’art. 1219 c.c., non è necessaria in materia di illecito extracontrattuale[8];

c)      danno risarcibile: mentre l’illecito extracontrattuale obbliga al risarcimento di ogni danno conseguente, seppur con i limiti derivanti dall’applicazione dei criteri della causalità giuridica, l’inadempimento non doloso obbliga al solo risarcimento dei danni prevedibili al momento in cui é sorta l’obbligazione (art. 1225 c.c., non richiamato dall’art. 2056 c.c.)[9];

d)      prescrizione dell’azione[10]: di regola, l’azione per il risarcimento di un danno da illecito extracontrattuale si prescrive in cinque anni (in due anni se si tratta di danno prodotto dalla circolazione dei veicoli) (art. 2947 c.c.)[11]; mentre l’azione per il risarcimento del danno da inadempimento si prescrive di regola in dieci anni (art. 2946 c.c.), anche se termini più brevi sono stabiliti per alcuni contratti (v. ad esempio gli artt. 2948, 2949, 2950, 2951 e 2952 c.c.);

e)      imputabilità del fatto dannoso: l’incapacità incolpevole di intendere e volere esclude la responsabilità del danneggiante in materia extracontrattuale (art. 2046 c.c.), ma non rileva in ambito contrattuale dove l’incapacità incide non sulla responsabilità ma sulla validità del contratto, potendone comportare l’annullamento (art 1425 c.c.);

f)        legge applicabile: è quella del luogo in cui è avvenuto l’evento dannoso oppure, a scelta del danneggiato, la legge dello Stato in cui si è verificato il fatto che ha causato il danno in ambito extracontrattuale (art. 62 l. 31-05-1995, n. 218); mentre è quella nazionale dei contraenti, se comune, altrimenti quella del luogo nel quale il contratto è stato concluso, salva la diversa volontà delle parti, in materia contrattuale;

g)      solidarietà: si presume in parti uguali nella responsabilità contrattuale (art. 1298 c.c.), mentre é allocata in proporzione alla colpa, salvo il caso di dubbio, in ambito aquiliano, (art. 2055 c.c.);

h)      ripartizione della giurisdizione: nei rapporti con la pubblica amministrazione, se trattasi di azione contrattuale, la cognizione della domanda può rientrare nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, se trattasi di azione extracontrattuale, la giurisdizione appartiene, invece, al giudice ordinario.

i)        ripartizione della competenza: in materia di responsabilità in ambito laburistico (infortuni sul lavoro, mobbing…) la prospettazione contrattuale conduce ad adire il Tribunale del lavoro (art. 409 c.p.c.), laddove quella solo aquiliana comporta l’individuazione del giudice ai sensi degli artt. 7 ss. c.p.c.).

 

4.2. Concorso tra responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale: riflessi sulla prescrizione.

 

Se l’impianto normativo sui termini appena delineato appare piuttosto chiaro, in effetti sorge qualche complicazione se si considera la questione del cumulo di responsabilità contrattuale e delittuale [12] che, non essendo oggetto di una previsione normativa ad hoc, è interamente lasciata agli interpreti.

Gli istituti della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale si pongono come insiemi complessi di rimedi, in particolare di rimedi risarcitori. Tali rimedi possono, a seconda del loro dipendere da una azione contrattuale o delittuale, tendere a differire quanto alla loro durata, all’onere probatorio cui l’attore deve sottoporsi e alla misura dei danni risarcibili.

A seconda di come si dislocano tali differenze, è facile capire che possano esservi rimedi risarcitori più o meno satisfattivi per il danneggiato [13].

Da questo punto di vista, se i rimedi risarcitori ex contractu ed ex delicto sono in alcune ipotesi indistinguibili perché hanno la stessa durata, si basano sugli stessi oneri probatori e conducono alla medesima allocazione dei danni, allora sarà operativamente indifferente stabilire quale sia la qualificazione attribuita a tali rimedi ed anche parlare di cumulo delle responsabilità.

Una vera esigenza di cumulo nasce solo se i rimedi siano operativamente distinguibili, il che avviene laddove per qualche ragione l’uno risulti più favorevole dell’altro per la vittima del danno.

Va da sè che lo studio di tale situazione comporta, onde comprendere adeguatamente i rapporti tra contratto e illecito sul punto, lo studio di situazioni collaterali. Ad esempio, quelle in cui il danneggiato, cui è aperta la strada di un’azione extracontrattuale, invochi anche il riconoscimento dell’esistenza di un dovere contrattuale implicito violato nella fattispecie, onde avvantaggiarsi di una migliore tutela risarcitoria [14] [15]. Vengono poi in considerazione le situazioni in cui il livello di diligenza è fissato diversamente, a seconda che ci si trovi all’interno o all’esterno di un rapporto riconducibile al contratto. Si consideri anche la situazione in cui si cerchi di implementare ex delicto una responsabilità oggettiva (o per rischio oggettivamente evitabile)[16], laddove l’azione ex contractu presuppone una responsabilità fondata sulla colpa. Non si dimentichi, neppure, la situazione in cui l’inadempimento del contratto comporta un danno sofferto da un terzo, che non sia, strettamente parlando, parte di quel medesimo contratto.

Si deve poi rilevare che i termini dell’opposizione tra contratto e illecito possono, ma non devono, far pensare ad un’opposizione essenzialmente incentrata sulla dicotomia “doveri imposti dalla volontà delle parti / doveri imposti dal regolamento generale della responsabilità”. Tuttavia, tale impostazione oblitera il dato fondamentale per cui spesso il regolamento della responsabilità contrattuale non è dettato dalla volontà delle parti, ma dalla legge. Quasi sempre è proprio la legge, e non la volontà, che una parte invoca, o dietro cui una parte si trincera contro l’ingresso delle regole generali sulla responsabilità ex delicto. La contrapposizione tra contratto e illecito può quindi non essere tanto una contrapposizione tra volontà e legge, ma tra legge generale e legge speciale; tra doveri ricavati dall’interprete nel contratto e doveri ricavati in sede di interpretazione delle norme sull’illecito; tra doveri ricavati utilizzando clausole generali di buona fede nell’adempimento delle obbligazioni e doveri ricavati in sede di interpretazione di norme generali dettate in tema di illecito civile; e così via.

Per quanto poi riguarda la scelta terminologica circa l’espressione “cumulo delle responsabilità”, essa è una scelta meramente mimetica. Tale scelta ricalca l’uso francese, nonché l’uso invalso nella gran maggioranza delle sentenze italiane[17].

La nostra, come ogni scelta lessicale, è puramente arbitraria e cerca soltanto di favorire la comunicazione.

In vari autori italiani si è utilizzata la locuzione ‘concorso‘ per designare le ipotesi in cui si ammette l’esperimento di più azioni, ma in via elettiva; mentre si è inteso con “cumulo” denotare la possibilità di cumulare i vantaggi dell’una e dell’altra azione nel medesimo procedimento[18].

Molti autori concordano nel definire come ‘concorso proprio‘ quelle ipotesi in cui il petitum sostanziale delle azioni sia il medesimo, lasciando la qualifica di ‘concorso improprio‘ a quelle situazioni in cui le azioni, pur nascendo da un unico fatto, si propongono petita differenti[19].

Anche se non sono mancate indicazioni a favore di locuzioni quali ‘concorso di norme‘ o ‘concorso di pretese‘, si può osservare come i civilisti italiani abbiano preferito affrontare tale tema dal punto di vista rimediale dell’actio. È stato, invece, un processualista a porlo in termini sostanziali, sostenendo come nel diritto odierno il concursus actionum si presenti sub specie di un concorso di diritti[20].

Gli autori che più recentemente si sono occupati del problema del sovrapporsi delle responsabilità ex contractu ed ex delicto hanno preferito adottare l’etichetta di concorso [21], pur facendo riferimento in modo liberale alle possibili alternative.

I termini concorso‘ e ‘concorrenza sono usati in modo polisenso, ma in linea di massima si ha concorso di azioni quando si ammette che esse possano tutte venire esperite pur se in processi distinti e successivi, mentre talvolta si è usa il termine ‘concorrenza‘ con riferimento all’incidenza che una azione abbia sull’altra. Secondo tale accezione, si dice che vi è concorrenza esclusiva quando non vi è possibilità di far valere entrambe le azioni e si dice, invece, che non vi è concorrenza alcuna, quando tutte possono essere fatte valere.

Si distingue poi la concorrenza subiettiva da quella obiettiva, esiste la concorrenza cumulativa (quando tutte le azioni possono esser fatte valere, l’una dopo l’altra, o tutte insieme), elettiva (quando l’attore può scegliere quale far valere), elettiva esclusiva (quando l’attore deve scegliere) e successiva (quando tutte le azioni possono farsi valere, ma solo in un ordine determinato).

Proprio perché ci rivolgiamo agli aspetti sostanziali del problema, quel che a noi interessa è sapere se le diverse regolamentazioni del rapporto possono essere invocate insieme (nello stesso processo ovvero in un processo successivo) oppure se l’una esclude l’altra.

Per parafrasare Savigny, possiamo dire che tutta la questione per noi sta soltanto nel sapere se più azioni ex contractu ed ex delicto stiano o meno tra loro in un rapporto di esclusione.

A tal fine, possiamo, allora, utilizzare la nozione di ambito della responsabilità civile, all’interno della quale si fa riferimento ai vari interessi tutelabili ex contractu o ex delicto.

Normalmente la tutela contrattuale si realizza nel riportare il soggetto tutelato alla situazione in cui si sarebbe trovato se avesse ricevuto il vantaggio atteso, ossia la prestazione dedotta in contratto: ciò tuttavia non è naturalisticamente possibile laddove la prestazione abbia inciso su di un bene immateriale connotato dalla massima espressione dell’infungibilità, come il bene-persona (nelle varie sfaccettature di cui tale valore si compone: l’integrità psicofisica, la dignità, l’integrità morale, l’immagine etc.). In tali casi non esiste rimedio giuridico tale da restituire in integrum il danneggiato, riportando il suo corpo (o la sua mente, il suo spirito, la sua immagine, etc.) allo status quo ante, non potendo l’ordinamento garantirgli altro che un ristoro in termini pecuniario, salvi i rari casi in cui sia invece possibile un risarcimento in forma specifica.

Quindi anche nella tutela contrattuale, laddove vi sia un danno alla persona, l’idea che il provvedimento giurisdizionale possa far conseguire al danneggiato il vantaggio atteso così come se il contratto fosse stato adempiuto dal danneggiate si rivela non del tutto soddisfacente.

Anche in ambito extracontrattuale la tutela si realizza in astratto con il riportare il danneggiato al suo status quo, ossia nella situazione in cui si trovava quando ha riportato la lesione, subendo contro la sua volontà un peggioramento della posizione. Ed anche qui si presenta pari pari il problema della modalità di ristoro di un danno non patrimoniale.

Possiamo dire che sono pensabili tre situazioni:

a) la mera violazione dell’aspettativa contrattuale;

b) il mero peggioramento dello status quo;

c) il peggioramento dello status quo attraverso la violazione dell’aspettativa contrattuale.

La situazione sub a) è una chiara situazione contrattuale, quella sub b) è una tipica situazione delittuale.

Quella sub c) non è riconosciuta come situazione autonoma, ma come area di incrocio di a) e di b) ed i problemi che la riguardano sono visti come problemi di interferenza, di cumulo o di concorso delle altre due aree.

Ciò premesso a livello introduttivo sul tema in esame, il principio generale del cumulo delle responsabilità contrattuale e delittuale [22], quando i fatti costitutivi di inadempimento siano anche produttivi di una lesione di diritti assoluti, si è ormai affermato da tempo [23] in una lunga serie di pronunce della Corte Suprema [24]: in tali casi, quando un evento dannoso unico, nella sua genesi, appaia di per sé lesivo non solo di specifici diritti derivanti dalle clausole di un contratto, ma anche dei diritti assoluti che spettano alla persona da lui offesa, il debitore risponde a doppio titolo per la violazione del preesistente vincolo obbligatorio e per l’inosservanza del precetto del neminem laedere.

Uno dei tipici casi in cui il cumulo viene ammesso quando l’inadempimento riveste anche i caratteri d’un illecito penale[25].

Dobbiamo comunque osservare che la domanda di risarcimento dei danni per responsabilità extracontrattuale è diversa da quella di risarcimento per responsabilità contrattuale, perché dipende da elementi di fatto diversi, sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo, non solo per quanto attiene all’accertamento della responsabilità, ma anche per quanto riguarda la determinazione dei danni.

In Morante c. Min. Giustizia [26] si è anche, prima facie, estesa l’area d’applicabilità del cumulo tramite l’adozione di una formula in base alla quale il concorso è ammissibile, quando un medesimo fatto violi al contempo: a) diritti indipendenti dal contratto e da un preesistente rapporto giuridico; b) diritti derivati dal contratto o, comunque, da un vinculum juris già esistente.

Puntualizziamo che richiamare il cumulo fra le due distinte azioni, laddove siano ravvisabili gli estremi per siffatta operazione come, ad esempio, nel campo della responsabilità medica, non solo è corretto, ma altresì preserva intatta una sua utilità nella pratica di tutti i giorni, in ragione delle differenze che persistono ancora tra i due regimi di responsabilità.

Si pensi che, sotto il profilo dei danni risarcibili, non è ancora definita la questione della risarcibilità dei danni non patrimoniali da inadempimento contrattuale al di fuori delle ipotesi di cumulo, profilo che, tra l’altro, non risulta essere stato risolto dalla nuova costruzione da ultimo fornita dalla Cassazione[27] circa l’interpretazione dell’art. 2059 c.c. La Suprema corte, infatti, ha tenuto a precisare che questa norma “non delinea una distinta figura di illecito” e la sua operatività “postula … la verifica della sussistenza degli elementi nei quali si articola l’illecito civile extracontrattuale definito dall’art. 2043 c.c.[28].

Poiché la nuova interpretazione costituzionalmente orientata del “nuovo” art. 2059 c.c. copre il solo campo dell’illecito extracontrattuale, o diciamo che la responsabilità contrattuale possiede degli strumenti autonomi per riconoscere il risarcimento del danno non patrimoniale [29] oppure è necessario passare, come da tradizione, attraverso la regola del cumulo, agganciando pertanto la responsabilità contrattuale al nuovo art. 2059 c.c., a meno di voler fare non pochi passi indietro sul versante dei pregiudizi non patrimoniali nelle ipotesi di inadempimento. Eco perché la regola del cumulo rivela tutta la sua importanza.

Un settore in cui tipicamente emerge la possibilità di cumulo è quello della responsabilità del datore di lavoro per il danno alla persona patito dal lavoratore [30]: benché in ambito giuslavoristico la tutela dell’integrità psico-fisica e della personalità morale della persona sia dato normativo inserito nell’art 2087 c.c., anche in questo settore del diritto l’evoluzione è stata lenta e, anziché fungere (come ben avrebbe potuto) da elemento di traino, ha beneficiato dei passi con cui dottrina e giurisprudenza – muovendosi in altre branche, in particolare quella della RC aquiliana – hanno condotto il nostro sistema della responsabilità civile ad assumere le sembianze odierne. Per ottenere diritto di cittadinanza nel nostro ordinamento, il danno biologico ha dovuto attendere l’intervento risolutore con cui la Consulta nel 1986 [31] ne ha sancito la dignità di diritto vivente, ontologicamente necessitato dall’entrata in vigore della Costituzione il cui art. 32 tutela la salute sotto ogni angolazione. Come noto, la sentenza 184 del 1986 è giunta ad affermare che “il collegamento tra l’art. 32 della Costituzione e l’art. 2043 CC, imponendo una lettura “costituzionale” di quest’ultimo, consente d’interpretarlo come comprendente il risarcimento, in ogni caso, del danno biologico: è la lettura “costituzionale” dello stesso articolo, correlato con l’art. 32 della Costituzione, che soddisfa le esigenze sottostanti a tutte le tesi proposte in materia”.

La Corte stabilì – fino ad oggi pareva che fosse un dato certo [32] – che l’art. 2059 attiene esclusivamente ai danni morali subiettivi mentre la risarcibilità del danno biologico deriva dalla lettura costituzionalizzata dell’art. 2043 da porsi in relazione con l’art. 32 Cost.: l’ordinamento non può non concedere la minima delle tutele (quella risarcitoria) quando il danno sia ingiusto perché sia stato leso un bene costituzionalmente protetto come quello dell’integrità fisica-psichica. Dunque la costruzione dogmatica del danno biologico trova il suo fondamento in una lettura del sistema della RC extracontrattuale, così come nell’ambito aquiliano si sono sviluppate le tematiche che partendo dalla critica all’art 2059 sono approdate alla creazione del danno esistenziale.

Ottenuta la cittadinanza nell’ordinamento, il danno biologico ha dovuto attendere che la Corte Costituzionale si pronunciasse tre volte nel 1991 per entrare a pieno diritto quale autonoma e specifica voce risarcitoria nel campo della responsabilità datoriale, risolvendo la c.d. questione INAIL (di cui trattiamo in altro paragrafo), ossia il problema delle interazioni tra il tort system che si fonda sulle norme di RC contrattuale ed extracontrattuale di diritto comune ed il social security system che per mezzo dell’assicurazione obbligatoria INAIL garantisce i lavoratori in caso di infortunio o malattia professionale. In buona sostanza si trattava di conciliare l’esonero da responsabilità di cui godeva il datore (ex art 10 del T.U.) per il semplice fatto di essere assicurato, con le norme di cui agli artt. 2043 e 2087 e soprattutto con la nuova categoria del danno biologico la cui tutela trova fondamento nella Costituzione e che per questo non può incontrare limiti; si trattava poi di stabilire i rapporti di convivenza tra un sistema d’assicurazione obbligatoria che solo di danno patrimoniale (e neppure tutto, a ben vedere) si occupava, con un sistema di RC che invece tende a garantire il ristoro di ogni pregiudizio, anche di carattere non patrimoniale.

Al di la dei problemi connessi con la questione INAIL e con quella dell’esonero, certo è che la presenza di una norma come l’art. 2087 avrebbe consentito di risparmiare molti degli sforzi con cui si è giunti in campo extracontrattuale al risultato “rivoluzionario” di costruire il danno biologico (che è certamente danno non patrimoniale, essendo sganciato dalla capacità di produrre reddito) quale tertium genus autonomo rispetto al danno patrimoniale ed indipendente dalla sussistenza di una fattispecie di reato e quindi al di fuori della strozzatura dell’art 2059 CC, e molti degli sforzi con cui oggi la dottrina più avveduta e la migliore giurisprudenza hanno dato vita autonoma alla categoria del danno esistenziale. Il 2087 impone infatti ex contractu al datore di tutelare la sfera fisica e la personalità morale del lavoratore: se la sanzione minima in ogni caso di violazione di un dovere di tutela è quella del risarcimento, non v’è chi non veda come qui si tratti del dovere di tenere indenne il lavoratore delle conseguenze pregiudizievoli costituenti un danno che è certamente anche non patrimoniale [33] .

Orbene, se nel campo della RC extracontrattuale per giungere al pieno ristoro dei danni non patrimoniali si è dovuto fare i conti con la formulazione infelice del 2059 [34] ed utilizzare quella “in bianco” del 2043 [35] (che ha consentito di far passare per quella strada, la strada del “danno ingiusto”, il danno biologico e quello esistenziale), il 2087 è norma di imputazione contrattuale che semplifica di gran lunga le cose perché consente di giungere al medesimo risultato essendo sufficiente a se stessa.

Molte delle spigolosità che reca con se la struttura del criterio di imputazione della responsabilità aquiliana (l’art. 2043) così come costruito dalla Consulta con la sentenza 184, sarebbero smussate da un maggior utilizzo dell’art 2087 CC sfruttandone a fondo tutte le potenzialità. Se l’art 2087 tutela la personalità morale del lavoratore, la lesione di tale bene può comportare oltre che un danno patrimoniale e un danno biologico (per esempio, danno biologico psichico), anche e soprattutto un danno morale o esistenziale [36]. Se così è, ci parrebbe preferibile configurare tale danno non patrimoniale quale in se della lesione al bene “personalità morale” tutelato dalla norma, quale danno-evento senza il quale il fatto illecito che cagiona (rectius, l’inadempimento contrattuale che comporta) “violazione della personalità morale” non sussiste, quale elemento la cui esistenza rende anti-giuridica la condotta. Percorrendo una via diversa, che poco ci convince perché impone di “parlar d’altro”, si potrebbe dire che il 2087 è uno di quei casi in cui a norma del 2059 diventa risarcibile il danno non patrimoniale, e ciò indipendentemente dalla sussistenza del fatto di reato. Su questa falsariga una risalente pronuncia del Pretore di Milano [37] ha affermato che tra i casi previsti dall’art. 2059 c.c. per il risarcimento del danno non patrimoniale rientra anche l’art. 2087 c.c.: “il demansionamento realizza un’offesa contestuale alla personalità morale del lavoratore in termini di sofferenza e mortificazione, la cui risarcibilità in base alla disciplina degli artt. 1218 e ss. c.c. va affermata stante la chiara e precisa disposizone di cui all’art. 2087 c.c. Se così non fosse, quest’ultima norma potrebbe non essere stata scritta; infatti, una norma del genere o è sanzionata o e tamquam non esset”. Tuttavia, scorrendo i repertori di giurisprudenza, quando sia stato liquidato un danno non patrimoniale diverso da quello biologico, ciò è avvenuto in applicazione dell’art 2059 sic et simpliciter, anche perché spesso il fatto del datore che cagiona danno non patrimoniale al lavoratore è anche configurabile come reato (tipicamente, quello di lesioni colpose). Si veda da ultimo in Cass. 22 marzo 2002 n. 4129: “Nel danno sopportato dal lavoratore in conseguenza della mancata osservanza da parte del datore di lavoro (o del soggetto comunque tenuto a garantirne la tutela) degli obblighi di sicurezza impostogli dall’art. 2087 cod. civ., rientra anche il danno morale quante volte da quell’inosservanza siano derivate al dipendente lesioni personali o uno stato di malattia, acquisendo in tal caso la condotta del datore anche un rilievo penale che giustifica l’attribuzione del risarcimento ex art. 2059 CC”. Certo è che laddove reato non vi sia, ci sembra una forzatura voler far passare il risarcimento del danno non patrimoniale – anziché per la via breve del 2087, quale rimedio tipico di matrice contrattuale per la lesione della personalità morale [38] – per la via del 2059 (pur nell’attuale versione “costituzionalmente orientata, di cui si dirà) o per la via [39] del danno esistenziale.

Ma torniamo al problema generale del cumulo di azioni.

Le corti enunciano che le due azioni sono indipendenti e che per ciascuna scorre il suo particolare tempo di prescrizione [40] : la duplicità del titolo risarcitorio (violazione del preesistente vincolo obbligatorio e del generale precetto del neminem laedere) comporta un distinto regime per ciascuna delle due relative azioni quanto alla distribuzione dell’onere della prova, al danno risarcibile ed alla prescrizione, pur nell’identità della causa petendi, ossia degli elementi di fatto soggettivi (dolo o colpa) ed oggettivi (condotta antigiuridica e conseguente danno) determinativi delle due azioni di responsabilità, la prescrizione di una delle quali non esclude che il danneggiato possa conseguire il risarcimento in base all’altra.

Diverse decisioni hanno invece trattato il problema del mutamento della domanda: benché l’orientamento più recente propenda per l’ammissibilità del mutamento in corso di causa[41], vi sono pronunce che statuiscono in senso contrario[42].

Se in Brazzoli c. Ferrovie Stato si è considerato che, iniziato il giudizio sulla responsabilità contrattuale, non si può invocare la delittuale in Cassazione, altre volte si è ritenuto che il passare dall’uno all’altro fondamento del petitum sia un’emendatio della causa petendi ammissibile nel corso del giudizio; d’altronde, in Via c. Caruso si è ricordato come, nei limiti del petitum, il giudice ha il potere di riqualificare la domanda[43].

Passando ad esaminare le varie ipotesi di cumulo, nel campo della responsabilità medica in giurisprudenza questa possibilità è ammessa contro il medico ormai da tempo, come emerge ad esempio nei precedenti Sandrini c. Benedetti, Nagel c. Mowlen e Di Biagio c. Cassa Maritt. Merid.[44]. Si può, tuttavia, far osservare che il principio dell’art 2236 c.c. sulla colpa professionale è ritenuto applicabile anche all’ipotesi di azione delittuale, e cioè indipendentemente dalla sussistenza di un rapporto contrattuale[45].

La possibilità del cumulo è ammessa anche contro le strutture sanitarie e ospedaliere[46]. Il cumulo si estende anche al caso del ricovero del malato in una casa di cura ed al suicidio dello stesso dovuto a colposa omissione della sorveglianza dovuta[47].

In analogia con quanto avviene nella common law, si può notare che non è ammessa l’azione extracontrattuale contro l’architetto per una cattiva progettazione che cagioni danno all’edificio costruito dall’attore. Ciò non perché non si ammetta il cumulo, bensì perché non v’è la lesione del diritto assoluto, giacché, come si è sostenuto[48], il sorgere del diritto di proprietà sulla costruzione è posteriore al contratto e sorge proprio in virtù delle prestazioni connesse all’esecuzione del contratto.

In generale, comunque, rispetto alla responsabilità del professionista, prevale in dottrina l’idea che non sia così rilevante il fondamento contrattuale o delittuale della responsabilità, sostanzialmente identici essendo i criteri di imputazione indipendentemente dal tipo di azione scelta [49].

Per quel che attiene alla responsabilità dell’avvocato [50], non sono frequenti le ipotesi in cui la negligenza del professionista possa recare pregiudizio a diritti assoluti del cliente, a differenza del settore sanitario in cui l’opera del professionista ha per oggetto un diritto non solo assoluto ma anche costituzionalmente garantito, quello alla salute. Mentre alcune decisioni – ad esempio Buttacci c. Morino [51], Rossio c. Ciambotti [52], Marzullo c. V.[53] – si muovono nell’ambito di una responsabilità professionale generica, senza molto approfondire il suo fondamento, altre hanno statuito in espliciti termini di responsabilità contrattuale, derivando gli obblighi dell’avvocato, quando non espressamente pattuiti, dall’art. 1176 2° comma c.c. e dalle norme deontologiche[54].

Controversa è la natura della responsabilità del notaio e, conseguentemente, il tema del cumulo in questa ipotesi. Gli obblighi del notaio sono stati ricondotti nel campo della responsabilità delittuale[55] ed in Soc. Logra c. Gaudiani[56] si è escluso che con tale responsabilità possa mai concorrere la contrattuale, giacché “tra il notaio titolare di un pubblico ufficio e il cliente non è mai ravvisabile un rapporto contrattuale”. Di contro, questi stessi obblighi sono stati, invece, ricondotti esplicitamente nell’ambito contrattuale in Carosi c. Vanni[57]; in Gagliotti c. Martinucci[58] così come in Merendini c. Trabalza[59] si è espressamente stabilito che la responsabilità del notaio è sempre a considerarsi contrattuale verso il cliente e delittuale solo nei confronti dei terzi[60]. Altre decisioni si sono mantenute sul terreno di una generica responsabilità professionale[61].

In Cazeneuve c. Soc. Mbm[62], con un linguaggio in linea con l’evoluzione dei tempi[63], si è ammesso il cumulo degli artt. 1494 e 2043 c.c. per i danni che il venditore‑costruttore può cagionare all’acquirente.

In Papa c. Bar Cristallo S.r.l. e Snibeg S.p.A.[64], una bottiglia gassata era esplosa, ferendo il rivenditore finale. La Suprema Corte ammise il cumulo contro il dettagliante, per violazione di contratto di mandato con deposito e del dovere di cui all’art. 2043 c.c.[65]. Il cumulo è invece escluso allorché non siano violati che i diritti sorgenti ex contractu, come in Soc. Lever c. Ditta prodotti tessili Montini[66]. La Cassazione, in questo precedente, afferma che, quando il danno lamentato è il semplice vizio della cosa, può sussistere solo l’azione ex art. 1476 c.c., ad esclusione di quella delittuale[67].

Il cumulo è altresì ammesso nell’ipotesi di responsabilità del produttore: l’azione prevista dalla legge speciale (d..p.r., 24 maggio 1988, n. 244) non impedisce infatti al consumatore-vittima di poter esperire anche altre azioni, sia extracontrattuali (in primis, l’art. 2043 c.c., ma anche l’art. 2050 c.c.) e sia contrattuali (ad esempio, ex art. 1497 c.c. per l’ipotesi di mancata rispondenza tra le qualità del prodotto e quelle promesse dal produttore)[68].

In Veutro c. Rincione[69], si è riconosciuto il cumulo della responsabilità ex artt. 1575, 1576, 1578 e 2053 c.c., contro il locatore-proprietario, per i danni cagionati all’inquilino dalla rovina della costruzione. In un obiter, si è confermata la possibilità di cumulare, contro il locatore, la responsabilità ex art. 1578 c.c. ed ex delicto, ma si è negata la cumulabilità con l’art. 2051 c.c., perché il proprietario-locatore ha trasmesso la “custodia” al conduttore[70]. Più preciso è stato il caso Correale c. Grimaldi[71], in cui fu escluso il cumulo contro il proprietario, che, pendente il contratto, cominciò a demolire lo stabile, per quel che riguarda il danno al diritto di godimento del locatario, ma fu ammesso per i danni che tale demolizione comportò ad altri beni di sua proprietà.

In caso di noleggio, si è proposto un caso di cumulo del contratto con la responsabilità ex art. 2051 c.c., per il danno recato da un cavallo disarcionando il suo cavaliere[72]. In un caso di rapporto di lavoro e concessione in godimento di un alloggio a scopo di portierato, l’alloggio fornito fu considerato malsano e fu concesso il cumulo per la lesione del diritto alla salute[73].

In Livraghi c. Gallia[74], è stato ribadito il principio generale del cumulo contro gli albergatori, anche per ipotesi di responsabilità aggravata per i danni derivati al cliente dagli impianti messi a sua disposizione.

Il contratto di trasporto è, da sempre, aperto alla possibilità di cumularvi la responsabilità delittuale[75]. Ed in tale area, come fu affermato in Brazzoli c. Ferrovie Stato[76], non v’è dubbio che le due azioni «sono del tutto distinte», cosicché, spirato il termine di cui all’art. 2951 c.c., per quanto attiene il rapporto contrattuale, permane la possibilità di agire in delittuale nel termine dell’art. 2947c.c.[77].

Il cumulo è assolutamente prevalente nel trasporto ordinario e ferroviario[78], così da essere dichiarato “fuori di dubbio” dalla Suprema corte, in Vergano c. Sabellini[79], sia per quel che attiene ai passeggeri, che per i danni ai loro bagagli[80]. In Richetti c. Soc. Danzas[81], si ebbe la stesura di un’ampia motivazione che, ripercorrendo l’evoluzione storica del problema, confermò il cumulo, anche per quel che riguarda il trasporto di merci.

In tale campo, si ebbe però Ass. Generali c. Muriglio[82], che escluse il cumulo per il caso di perdita dovuta ad omessa custodia, dal momento che il dovere di custodire è d’origine puramente contrattuale e non sussisterebbe, tra le parti, se non sussistesse il contratto. Questo precedente é stato seguito dalla giurisprudenza di merito, la quale ha negato la responsabilità extracontrattuale del vettore o del subvettore, proprio perché l’obbligazione accessoria della custodia, il cui inadempimento abbia determinato la perdita della merce, non é configurabile al di fuori ed indipendentemente dal contratto di trasporto[83]. Ed infatti in Min. Trasporti c. Franzosini[84], si riconobbe che vi è un dovere extracontrattuale, in capo al vettore, qualora il contratto manchi, sia invalido, ovvero la cosa sia perduta o danneggiata prima del perfezionarsi del contratto[85].

Viceversa, si nega il cumulo fra contratto e ipotesi aggravate di responsabilità delittuale in Bennati c. Az. Mun. Tramvie Firenze[86], per quel che attiene all’art. 2050 c.c. e in Panella c. Lloyd Adriatico[87], per quel che riguarda l’art. 2054 c.c.

Del tutto diverso è il campo del trasporto marittimo e aereo[88], per via della specialità del tipo di responsabilità del vettore in tali casi[89], come è stato ribadito anche in Soc. Traghetti Isole Eolie c. Cerra[90].

Per quanto attiene nello specifico la responsabilità del vettore marittimo, in American International Underwriters c. Iranian Oil Exploration & Producing Co.[91] si è detto come l’art. 274 cod. nav. costituisca una lex specialis che esclude l’applicazione dell’art. 2049 c.c., ma si è pure detto che le disposizioni del cod. nav. non esauriscono la disciplina della responsabilità dell’armatore, per cui, giusta gli artt. 1 e 2 cod. nav., possono far ingresso le responsabilità ex artt. 2050 e 2051 c.c.

A qualche soluzione divergente ha dato origine il problema della consegna, da parte del vettore marittimo, ad un soggetto non legittimato a ricevere le cose; in alcuni casi[92] è stato ammesso il cumulo, che, invece, è stato negato in altri[93].

Il cumulo è stato ammesso in un caso di rimorchio marittimo, per via della collisione provocata e del fatto che ne derivarono danni a cose e persone[94].

Con riguardo al trasporto aereo, il principio del cumulo é stato affermato mediante una pronuncia che ha accolto il concorso della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale nei confronti del destinatario della merce trasportata, rispettivamente del vettore e del custode, al quale il primo aveva consegnato la merce che poi era stata smarrita[95]. Il cumulo di azioni contro il vettore aereo è stato riconosciuto ai prossimi congiunti della persona deceduta in occasione di disastro aereo per il risarcimento del danno conseguente al decesso del congiunto[96]. Una pronuncia di merito ha ritenuto possibile il concorso delle responsabilità per la perdita o il danno al bagaglio, a favore di un passeggero di un volo interno[97].

Il campo del trasporto internazionale è coperto ora da disposizioni di diritto uniforme, le quali tendono ad applicare un regime unico di responsabilità, che prevede varie limitazioni a favore del vettore, quale che sia il tipo di azione, delittuale, contrattuale, o entrambe, che la legge applicabile ritiene possano venir fatte valere contro il vettore.

Rispetto al trasporto internazionale aereo, si noti però quanto è avvenuto in Soc. Turkish Airlines c. Coccia et alii[98], dove sono state ritenute incostituzionali le limitazioni all’integrale risarcimento dei danni (prevedibili e imprevedibili) per la perdita della vita umana, stabilite dalla convenzione di Varsavia.

Come si evince dalla rassegna sin qui condotta, le ipotesi tipiche in cui si verifica il concorso sono quelle riguardanti il medico, il datore di lavoro per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, il trasporto di persone e quello di cose[99] ed il danno cagionato al compratore da vizi della cosa venduta[100].

Anche al di fuori di queste ipotesi, è riscontrabile comunque una interessante ed ampia casistica giurisprudenziale[101]. Il cumulo, ad esempio, è stato affermato in relazione al danno cagionato da un falsus procurator[102], in un’ipotesi di responsabilità della banca[103] e in una vicenda che verteva in tema di contratto di sponsorizzazione e responsabilità dello sponsorizzato[104].

 

4.3. Danni da circolazione stradale.

 

La disciplina della responsabilità civile per i danni cagionato in occasione della circolazione stradale è contenuta, oltre che nella clausola generale dell’art 2043 c.c., nell’art. 2054 che così dispone: .

1. Il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.

2. Nel caso di scontro tra veicoli si presume, fino a prova contraria, che ciascuno dei conducenti abbia concorso ugualmente a produrre il danno subito dai singoli veicoli.

3. Il proprietario del veicolo, o, in sua vece, l’usufruttuario o l’acquirente con patto di riservato dominio, è responsabile in solido col conducente, se non prova che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà.

4. In ogni caso le persone indicate dai commi precedenti sono responsabili dei danni derivanti da vizi di costruzione o da difetto di manutenzione del veicolo.”

Il criterio generale per la sottoposizione di un evento dannoso alla disciplina rigorosa del 2054 è quello dell’assoggettamento di fatto della strada all’uso pubblico, stante la pericolosità insita nella circolazione su di un’area normalmente destinata al traffico.

Il modo di imputazione della responsabilità implica che il conducente – al quale si impone una diligenza maggiore di quella generale richiesta dall’art. 1176 primo comma – debba adottare una condotta di guida tale da poter evitare ogni sinistro, tenendo conto delle prevedibili imprudenze altrui ed assumendosi l’onere di accertare l’idoneità e la sicurezza del veicolo nella circolazione.

Mentre la responsabilità del conducente è connessa all’esser costui l’autore materiale della condotta illecita, la responsabilità del proprietario è agganciata ad un fatto di per sé incolpevole qual è quello di aver consentito alla circolazione del proprio veicolo: non è ancora appianata la questione del fondamento teorico della responsabilità del proprietario, se si tratti di responsabilità derivante dal principio cuius commoda eius incommoda e se di culpa in custodiendo o in vigilando. Sta di fatto che la norma ha la funzione di garantire il danneggiato contro la possibile insolvenza dell’autore del danno.

L’art. 18 della legge n. 990/1969 attribuisce ai danneggiati un’azione diretta nei confronti dell’assicuratore del danneggiante [105], subordinata all’adempimento dell’obbligo di previa messa in mora stabilito dall’art 22, a norma del quale l’azione diretta può essere proposta solo dopo che siano decorsi sessanta giorni da quello in cui il danneggiato abbia chiesto allo assicuratore il risarcimento del danno, a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento.

Il danneggiato dunque deve concedere all’assicuratore del danneggiante uno “spatium deliberandi” di sessanta giorni, prima dei quali gli è preclusa la proposizione dell’azione diretta: beninteso, lo spatium  costituisce causa di (momentanea) improcedibilità della domanda risarcitoria con esclusivo riferimento alla posizione dell’assicuratore, e non anche a quella del danneggiante [106]. In armonia, poiché l’onere del danneggiato di mettere in mora ai sensi dell’art. 22 ricorre nei soli confronti dell’assicuratore e non anche nei riguardi del danneggiante coobbligato solidale, quest’ultimo non può allegare la mancanza di costituzione in mora a fondamento della sollevata eccezione di prescrizione dell’azione risarcitoria contro di lui proposta [107] .

La legge non vincola la diffida ne sotto il profilo rituale (a parte il mezzo della raccomandata) ne sotto il profilo del contento: l’art. 22 subordina la proponibilità della domanda risarcitoria alla esclusiva condizione del decorso del termine di sessanta giorni dal ricevimento, da parte dell’assicuratore, della lettera raccomandata contenente la richiesta risarcitoria del danneggiato, sul quale non incombe alcun ulteriore onere di indicazione analitica dei danni e della somma richiesta, ben potendo il contenuto della missiva limitarsi a far riferimento esclusivamente ed esaustivamente ad un sinistro delle cui conseguenze l’assicuratore debba rispondere ai sensi della legge sull’assicurazione obbligatoria, onde porlo in condizione di accertare che il relativo rischio sia stato presso di lui effettivamente assicurato [108] .

L’art. 23 stabilisce che nel giudizio promosso contro l’assicuratore in azione diretta deve essere chiamato nel processo anche il responsabile del danno: è pacifico per la giurisprudenza [109] che per “responsabile del danno”, che a norma dell’art. 23 deve essere chiamato in causa come litisconsorte necessario nel giudizio promosso dal danneggiato contro l’assicuratore con azione diretta, in deroga al principio della facoltatività del litisconsorzio in materia di obbligazioni solidali, è unicamente il proprietario del veicolo assicurato, non anche il conducente, trovando giustificazione detta deroga nell’esigenza di rafforzare la posizione processuale dell’assicuratore, consentendogli di opporre l’accertamento di responsabilità al proprietario del veicolo, quale soggetto del rapporto assicurativo, ai fini dell’esercizio dei diritti nascenti da tale rapporto, ed in particolare, dall’azione di rivalsa ex art. 18 della legge citata.

Quel che è certo è che tra il proprietario e l’assicuratore si realizza, nei confronti del danneggiato, un’ipotesi di solidarietà nel debito risarcitorio. Si tratta di una solidarietà fra assicurato ed assicuratore ha natura atipica, atteso che il debito aquiliano del primo discende “ex delicto” ed è illimitato, mentre quello del secondo di natura indennitaria deriva “ex lege” e trova limite nella capienza del massimale [110].

Dalla solidarietà – posto che l’assicuratore si pone, sin dal momento della richiesta del danneggiato, come parte e protagonista attivo, diretto e primario del rapporto – discendono importanti conseguenze sul piano della prescrizione.

L’art. 26 della legge stabilisce che l’azione diretta è soggetta “al termine di prescrizione cui sarebbe soggetta l’azione verso il responsabile” e, a norma dell’art. 1310 c.c., gli atti con i quali il creditore interrompe la prescrizione contro uno dei debitori in solido, oppure uno dei creditori in solido interrompe la prescrizione contro il comune debitore, hanno effetto riguardo agli altri debitori o agli altri creditori: ebbene, gli atti interruttivi compiuti dal danneggiato nei confronti dell’assicuratore, e tal effetto ha senz’altro la raccomandata ex art. 22, esplicano efficacia nei confronti del danneggiante, anche per l’eccedenza del massimale di polizza [111].  Diverso è per le ipotesi di sospensione della prescrizione, la quale non ha effetto nei confronti degli altri debitori in solido.

Poiché il debito del responsabile civile per danno da circolazione stradale è legato da vincolo di solidarietà con quello dell’assicuratore, che pertanto assume la medesima posizione giuridica, e poiché l’azione diretta è soggetta allo stesso termine di prescrizione dell’azione contro l’assicuratore, ne consegue che si applicherà all’assicuratore il termine lungo penalistico previsto dal terzo comma dell’art. 2947 c.c., così come opererà anche nei confronti della compagnia assicuratrice la conversione della prescrizione breve in prescrizione decennale ex art. 2953 [112]. Non solo, ma poiché la domanda giudiziale di risarcimento proposta nei confronti di un compartecipe del fatto illecito ha effetto interruttivo del decorso del termine di prescrizione anche nei confronti degli altri, di tale effetto interruttivo può giovarsi il compartecipe perseguito dal danneggiato ai fini del computo del termine di prescrizione per la sua azione di regresso (quale quella dell’assicuratore contro l’assicurato), con la quale egli subentra nei diritti del creditore, nelle stesse condizioni di esperibilità [113] .

Questo è, a grandi linee, il quadro in cui ci si trova ad operare in un caso di sinistro stradale.

Il comma secondo dell’art. 2947 c.c. stabilisce un termine speciale, di due anni, per la prescrizione del diritto al risarcimento derivato da fatto illecito connesso con la circolazione dei veicoli: v’è quindi un rapporto di specialità esclusiva rispetto al termine prescrizionale generale di cinque anni per il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito previsto dal primo comma del 2947.

Dalla Relazione al Re emerge come la fissazione del termine biennale dipendesse dalla “particolare natura dei fatti dannosi” ivi considerati. Il criterio di individuazione della fattispecie è dunque oggettivo e la sua disciplina si estende a tutti i soggetti, al proprietario del veicolo come a qualunque altro, che debbano rispondere del fatto dannoso.

Comunque sia, l’art. 2947 c.c. 2° comma, si applica a qualsiasi accadimento connesso alla circolazione dei veicoli di ogni specie (la nozione di veicolo è data dall’art. 46 del codice della strada a norma del quale si intendono per veicoli tutte le macchine di qualsiasi specie, che circolino sulle strade guidate dall’uomo [114] ) e concerne tutte le ipotesi di danni prodotti alla persona danneggiata che circola col veicolo, indipendentemente dalla sua situazione giuridica di trasportato o di terzo [115], e tale prescrizione breve si applica ovviamente anche nel caso di solo danneggiamento alle cose [116].

In tal modo l’articolo in questione trova applicazione anche, ad esempio, nel caso di danno arrecato da un aeromobile in manovra a terra[117], così come si applica ai velocipedi[118], ai veicoli trainati da animali[119], alle trattrici d’ogni tipo [120], alle macchine scavatrici[121] ed ai rulli compressori[122].

Viceversa la Cassazione ha ribadito che gli sci non possono in alcun modo essere annoverati tra i veicoli soggetti alla disciplina del codice della strada e non possono quindi essere ricompresi nell’ambito della disciplina dell’art. 2054 c.c., con la conseguenza che il diritto al risarcimento dei danneggiati dalle persone “munite di tale particolare attrezzo” si prescrive nel termine di cinque anni a termini del comma primo del 2947 [123]. E, nello stesso senso, si prescrive in cinque anni la pretesa dei danneggiati a cagione del distacco e conseguente caduta al suolo della cabina di una funivia [124], così come tale prescrizione biennale non si applica in generale a tutti i veicoli destinati all’uso di bambini o di invalidi [125].

Per quanto attiene al concetto di circolazione è pacifico come esso attenga a qualsiasi forma di utilizzazione del veicolo, tanto in movimento che in sosta, purchè avviato nei luoghi di libera circolazione stradale [126]. La norma non si applica pertanto ai veicoli che si trovino in garage , atrii o cantieri [127].

Abbiamo detto che il danno deve essere arrecato in occasione della circolazione. Con tale locuzione le corti intendono dire che è sufficiente un nesso di derivazione necessaria tra circolazione ed evento dannoso.

Il corollario di questa impostazione non è sempre sfavorevole al danneggiante: infatti la Cassazione ne ha derivato che si applica la prescrizione biennale anche al danno derivante dall’omissione di soccorso del conducente del veicolo investitore [128].

I problemi concernenti il momento iniziale del decorso della prescrizione si identificano con quelli generali oppure con quelli particolari attinenti alle ipotesi in cui il fatto stesso è previsto anche dalla legge penale come reato.

La Corte Suprema è ferma nel ritenere che la prescrizione breve si trasforma in quella decennale nascente dal giudicato anche a seguito di sola condanna generica[129]. Il che si verifica anche nei confronti del proprietario che non abbia partecipato al giudizio penale laddove la condanna generica sia stata emanata nei confronti del conducente del veicolo investitore con decorrenza, ovviamente, dalla data in cui la sentenza penale è divenuta irrevocabile[130].

Applicando formalisticamente tale criterio ai coobligati risulta che l’azione di regresso esperita nei loro confronti dura dieci anni se la loro responsabilità risulta già giudizialmente accertata mentre, se a tale accertamento non si è ancora provveduto, la stessa azione si prescrive in due anni [131].

 

 

4.4. Il contratto di trasporto.

 

Accade piuttosto di frequente che il danneggiato in occasione di un sinistro stradale sia un terzo trasportato.

Il trasportato, indipendentemente dal titolo del trasporto, può certamente convenire in giudizio il conducente invocandone la responsabilità colposa ex art. 2043 c.c., configurabile perché il sinistro ha provocato lesioni di diritti che alla persona danneggiata spettano indipendentemente dal contratto di trasporto, ed in tal caso è necessario che il comportamento di del conducente sia valutato, anche rispetto al problema della distribuzione dell’onere probatorio, non in base alle disposizioni che regolano il contratto di trasporto, ma in base alle regole della responsabilità aquiliana[132].

Può il trasportato invocare i primi due commi dell’art. 2054 c.c. per far valere la responsabilità extracontrattuale del conducente ed il comma 3 per far valere quella solidale del proprietario del veicolo?

Oggi ciò sembra pacifico. In effetti, però, fino al 1998 [133] la Cassazione era solita ritenere che il trasportato non potesse invocare nei confronti del conducente la presunzione di colpa di cui all’art. 2054 poiché – si diceva – essa giova soltanto a coloro che sono estranei alla circolazione del veicolo, senza che rilevi in contrario l’estensione della copertura assicurativa ai trasportati a qualsiasi titolo disposta dall’art. 1 della legge 990/69, non incidendo tale estensione sui presupposti, i limiti e il regime probatorio della responsabilità del proprietario e del conducente.  Solo con sentenza 26 ottobre 1998 n. 10629 [134] , la Suprema Corte, innovando il precedente orientamento, ha stabilito l’opposto principio secondo cui, in materia di responsabilità derivante dalla circolazione dei veicoli, l’art. 2054 c.c. esprime, in ciascuno dei commi che lo compongono, principi di carattere generale, applicabili a tutti i soggetti che da tale circolazione comunque ricevano danni, e quindi anche ai trasportati, quale che sia il titolo del trasporto, di cortesia ovvero contrattuale (oneroso o gratuito).

Ove il trasporto sia avvenuto in base a titolo contrattuale, con l’azione extracontrattuale può concorrere quella prevista dall’art. 1681 c.c., che stabilisce la responsabilità contrattuale del vettore per i sinistri che colpiscono il viaggiatore durante il viaggio.

L’azione di risarcimento del danno da responsabilità contrattuale e quella da responsabilità extracontrattuale, fondata la prima sull’inadempimento delle obbligazioni nascenti dal contratto di trasporto e la seconda sulla violazione del principio generale del “neminem laedere”, sono distinte, essendo diversi i diritti in relazione ai quali sono accordate e richiedendo indagini su elementi di fatto differenti: la scelta fra le due azioni ed anche il loro esercizio cumulativo nel processo rientra nel potere dispositivo della parte.

Occorre però rilevare che per tutti i diritti derivanti dal contratto di trasporto, e quindi pure il diritto al risarcimento dei danni alla persona, il termine prescrizionale – che decorre dal giorno del sinistro [135] – non è quello ordinario decennale della responsabilità contrattuale, perché il codice ne stabilisce uno breve, quello annuale di cui all’art. 2951 c.c., elevato a diciotto mesi se il trasporto ha inizio o termine fuori d’Europa. E’ perciò chiaro che, al di la della facilitazione probatoria di cui gode il trasportato che invochi la responsabilità contrattuale rispetto a quello che invochi quella aquiliana ex at 2043 (facilitazione di cui oggi gode anche chi invochi le presunzioni di cui al 2054 che lo pongono nella medesima condizione di favor probatorio dell’ipotesi contrattuale), non vi sarà alcuna convenienza sotto il profilo della prescrizione ad esercitare un’azione contrattuale piuttosto che un’azione extracontrattuale.

 

 

4.5. Infortuni sul lavoro e malattie professionali.

 

L’art 2087 CC configura obblighi di natura contrattuale a carico del datore di lavoro e di natura contrattuale è il tipo di responsabilità cui egli è soggetto in caso di violazione. D’altra parte, posto che azioni od omissioni che provochino la lesione del diritto all’integrità fisica e morale del lavoratore non possono non costituire anche violazione della clausola generale del neminem laedere di cui all’art 2043 CC, il medesimo fatto può essere imputato anche a titolo di responsabilità extracontrattuale: come noto, i due titoli di imputazione, laddove l’evento consista nella lesione di diritti della personalità, possono pacificamente concorrere e cumularsi, onde offrire al danneggiato il più ampio ventaglio di scelte processuali e sostanziali a tutela del proprio diritto.

Che la responsabilità sia di matrice contrattuale od extracontrattuale, la sanzione per la violazione dei doveri di tutela imposti dall’art. 2087 o della clausola generale di cui all’art. 2043 sarà comunque quella del risarcimento del danno.

Nella materia dell’infortunistica, come è noto, accanto all’ordinario sistema risarcitorio civilistico ve n’è uno indennitario pubblicistico, dato dalla copertura assicurativa obbligatoria INAIL. Il rapporto tra i due sistemi presenta alcuni punti di complessità che per sommi capi qui ricordiamo [136]: la questione dell’esonero da responsabilità per i fatti coperti da assicurazione obbligatoria, la questione INAIL e la connessa tematica del c.d. danno differenziale che è poi il punto cruciale.

Diciamo subito che il danno differenziale è la categoria che ricomprende tutte quelle voci di danno che – non coperte dall’assicurazione obbligatoria INAIL – restano a carico del datore. Esso ha una estensione diversa a seconda che si tratti di infortuni verificatisi o di malattie professionali denunciate prima o dopo lo spartiacque determinato dall’art. 13 della legge 38 del 2000, ossia prima o dopo la data del 25 luglio 2000 in cui è entrato in vigore il decreto ministeriale 12 luglio 2002 di approvazione delle nuove tabelle per l’indennizzo del danno biologico in sede di assicurazione obbligatoria INAIL, quelle delle menomazioni, dell’indennizzo del danno biologico, dei coefficienti.

L’art 10 del T.U. 1124/65 prevede che per il solo fatto di essere coperto dall’assicurazione obbligatoria[137] presso l’INAIL il datore di lavoro sia esonerato dalla responsabilità civile per gli infortuni, a meno che non venga irrogata sanzione penale per il fatto dal quale l’infortunio è derivato al datore stesso o a coloro che egli ha incaricato della direzione o sorveglianza del lavoro.

L’accertamento del fatto-reato è normalmente riservato al giudice penale ma può essere e effettuato dal giudice civile sia quando sia stata pronunciata sentenza di non doversi procedere per morte dell’imputato, amnistia o prescrizione sia quando la formale declaratoria (da parte del giudice penale) di una di dette cause estintive sia mancata per essere le medesime intervenute prima dell’esercizio dell’azione penale.

Circa il quantum, la norma dell’art 10 pone precisi vincoli: non spetta alcun risarcimento qualora il giudice riconosca che questo non ascende a somma maggiore dell’indennità INAIL mentre, quando si faccia luogo a risarcimento, questo è dovuto solo per la parte che eccede l’indennità[138].

Dopo aver erogato l’indennizzo, l’INAIL può esercitare l’azione di surroga ex art. 1916 CC nei diritti del danneggiato contro il terzo responsabile estraneo al rapporto assicurativo, oppure l’azione di regresso ai sensi degli articoli 10 e 11 del T.U.. contro i soggetti civilmente responsabili.

Il disposto dell’art 10 è stato via via eroso per opera della Corte Costituzionale. Rimandando alla nota [139], ricordiamo qui che la Consulta [140] ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, in riferimento all’art. 24 della Costituzione, l’art. 10 nella parte in cui non consente che, ai fini dell’esercizio dell’azione da parte dell’infortunato, l’accertamento del fatto di reato possa essere compiuto dal giudice civile sia nel caso in cui, non essendo stata promossa l’azione penale nei confronti del datore di lavoro o di un suo dipendente, vi sia provvedimento di archiviazione, sia in quello in cui il procedimento penale, nei confronti del datore di lavoro o di un suo dipendente, si sia concluso con proscioglimento in sede istruttoria.

Si rileva inoltre come, a norma dell’art. 10, la responsabilità civile del datore insorga solo se il fatto-reato sia un delitto perseguibile d’ufficio, e non anche a querela: posto che normalmente nel fatto di infortunio o malattia professionale è dato individuare la fattispecie criminosa delle lesioni, a norma dell’art. 10 non vi sarà RC datoriale se si tratti di lesioni dolose lievi (art 582 CP secondo comma) o colpose lievi (art. 590 primo comma) che, per l’appunto, sono reati perseguibili a querela.

La norma prevedeva che il fatto-reato venisse accertato, il che escludeva – secondo l’interpretazione comune – la possibilità di imputare i danni al datore nei casi in cui le norme di diritto civile avrebbero consentito di dichiararne la responsabilità per colpa presunta. Oggi ci pare che la questione potrebbe andare incontro ad un ripensamento, in considerazione del recentissimo revirement della Cassazione sulla risarcibilità del danno morale anche in assenza di accertamento della colpa (e quindi senza che il fatto possa configurarsi completa fattispecie criminosa, posto che elementi essenziali del reato sono la condotta, il nesso causale e l’elemento soggettivo del dolo o della colpa) nei casi in cui la colpa dell’agente sia presunta ai sensi dell’art. 2054. La questione infatti presenta parecchie analogie con quella che ci interessa, dominata da una norma ad inversione dell’onere probatorio come il 2087: sappiamo che la responsabilità contrattuale dell’imprenditore derivante dal mancato adempimento dell’obbligo stabilito dall’art. 2087 di adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei dipendenti, può concorrere con la responsabilità extracontrattuale dello stesso datore di lavoro, che sussiste qualora dalla medesima violazione sia derivata anche la lesione dei diritti che spettano alla persona del lavoratore indipendentemente dal rapporto di lavoro. In tali ipotesi il danneggiato ha a propria disposizione due distinte azioni, delle quali quella contrattuale si fonda sulla presunzione di colpa stabilita dall’art. 1218 CC (e, si badi, limita il risarcimento ai danni prevedibili al momento della nascita dell’obbligazione) mentre l’azione extracontrattuale pone a carico del danneggiato la prova della colpa o del dolo dell’autore della condotta lesiva. Attenzione, però, che “l’art. 2087 CC non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento. Ne consegue che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro, e solo se il lavoratore abbia fornito la prova di tali circostanze sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi”[141].

Sta i fato che la presenza di una clausola di esonero ampia come quella dell’art. 10 del T.U. per molto tempo ha ridotto la portata dell’art. 2087 CC a criterio di imputazione di gran lunga residuale, benché immanente: “l’esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per infortunio sul lavoro o malattia professionale opera esclusivamente nei limiti posti dall’art. 10 del d.p.r. n. 1124 del 1965 e per i soli eventi coperti dall’assicurazione obbligatoria, mentre qualora eventi lesivi eccedenti tale copertura abbiano comunque a verificarsi in pregiudizio del lavoratore e siano causalmente ricollegabili alla nocività dell’ambiente di lavoro, viene in rilievo, come fonte della suddetta responsabilità, la norma dell’art. 2087 CC[142].

La norma codicistica iniziò ad avere un significato imponente presso le aule di giustizia solo dopo che il sistema della R.C. ebbe ricevuto uno scossone dall’avvento rivoluzionario della stagione giurisprudenziale del danno biologico, basata sulla nuova teorica della “lettura costituzionale” delle norme di imputazione, e dovette ancora attendere alcuni anni prima che gli interventi della Corte Costituzionale nel 1991 dotassero il sistema misto tort system / social security system di una certa coerenza operativa. Prima dell’avvento del danno biologico, per il lavoratore infortunato non c’era normalmente particolare interesse a che l’art. 2087 consentisse sulla carta di ottenere pieno ristoro dei danni subiti, perché l’esonero copriva gran parte di essi.

Sotto il profilo dell’inquadramento dogmatico e operativo, la giurisprudenza “ante-danno biologico” era costante nel ritenere che l’art. 10 configurasse un diritto speciale per gli infortuni ispirato a ragioni di equità e solidarietà sociale e basato su principi diversi da quelli di diritto comune che dalla disciplina speciale veniva sostituito [143].

Secondo l’interpretazione corrente, la disciplina di diritto comune data dall’art. 2087 e quella di diritto speciale data dall’art. 10 operavano su piani diversi ossia quello della prevenzione e quello del risarcimento: la prima definiva i margini della responsabilità, mentre la seconda ritagliava all’interno di tali margini quelli più ristretti della rilevanza risarcitoria, creando un meccanismo peculiare di risarcimento posto a carico dell’assicurazione sociale. La giurisprudenza riteneva non esservi incompatibilità tra art. 2087 e art. 10 in quanto la violazione della norma comune non dava vita ad una forma di responsabilità autonoma ma costituiva elemento di colpa rientrante nella figura generale della responsabilità per fatto illecito prevista dal 2043, responsabilità che restava assorbita nell’obbligo assicurativo eccetto che per le ipotesi in cui non operasse l’esonero: “l’omissione delle cautele previste dall’art 2087 ove concretizzi un reato perseguibile d’ufficio, sovrappone al rischio connaturale al lavoro svolto nell’impresa (coperto dall’assicurazione obbligatoria) una diversa causa di danno che può divenire fonte di responsabilità civile per l’imprenditore[144].

La sostanza era che l’esonero si riduceva, di fatto e per effetto degli interventi della Corte Costituzionale sulla questione dell’accertamento penale della responsabilità, ai casi di reato punibile a querela ed ai casi di colpa presunta.

Il problema per il danneggiato si poneva semmai per quanto riguardava il profilo contenutistico dell’obbligo risarcitorio posto in capo al datore in quanto esso – essendo prematuri i tempi per parlare di danno biologico – era tutto (o quasi) assorbito dall’obbligazione indennitaria a carico dell’INAIL: in effetti la disciplina della responsabilità datoriale costituiva, più che per il danneggiato il quale non poteva aspirare ad ottenere dal datore molto più di quanto gli fosse spettato a titolo di indennizzo dall’INAIL, una garanzia per l’Istituto assicuratore che con le azioni si surroga e regresso poteva attivarsi per recuperare quanto corrisposto.

A norma del testo originario dell’art. 66 del T.U. 1124 del 1965 le prestazioni erogate dall’Inail erano: 1) un’indennità giornaliera per l’inabilità temporanea [145]; 2) una rendita per l’inabilità permanente; 3) un assegno per l’assistenza personale continuativa; 4) una rendita ai superstiti e un assegno una volta tanto in caso di morte; 5) le cure mediche e chirurgiche, compresi gli accertamenti clinici; 6) la fornitura degli apparecchi di protesi.  L’art 13 della legge 38/00 ha innovato profondamente una parte di tale disciplina prevedendo che sia l’INAIL ad indennizzare il danno biologico conseguente ad infortuni sul lavoro verificatisi e a malattie professionali denunciate a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale d’approvazione del tabelle delle menomazioni e dei valori di indennizzo.

La nuova norma prevede che, in luogo dell’erogazione della rendita per l’inabilità permanente stabilita dal testo originario dell’art. 66 numero 2 del T.U., l’INAIL eroghi un indennizzo la cui misura è data dalla apposita “tabella indennizzo danno biologico” da applicarsi in considerazione dell’età dell’assicurato al momento della guarigione clinica). L’indennizzo è areddituale (prescinde dal reddito del danneggiato poiché considera solo la menomazione, che lede chiunque nello stesso modo), crescente in funzione della gravità della menomazione (il punto-base è di euro 826,33), decrescente in funzione dell’età (la tabella prevede undici scaglioni classi d’età di 5 anni ciascuno), variabile in funzione del sesso (tiene conto, con importi più alti, della maggiore durata della vita media delle donne rispetto agli uomini).

La tabella è divisa in due parti corrispondenti alla due fascie ultra-franchigia, quella 6-15% e quella over 16%: con la prima si liquida l’indennizzo in capitale, con la seconda la quota di rendita vitalizia relativa al danno biologico. V’è infatti da ribadire che, con la nuova disciplina, si individuano tre fasce di trattamento del danno biologico:

1) prima fascia, menomazioni fino al 5 %: franchigia assoluta (l’INAIL nulla corrisponde), che nella disciplina previgente era al 10%

2) seconda fascia, menomazioni di grado pari o superiore al 6 % ed inferiore al 16 %: l’INAIL eroga l’indennizzo in capitale, il cui importo varia in considerazione del sesso, all’età, al grado di invalidità

3) terza fascia, menomazioni dal 16 %: l’INAIL eroga l’indennizzo in rendita (il cui importo varia in funzione del gradi di invalidità, non avendo rilievo l’età ed il sesso come nei casi in cui si tratti di capitalizzare una rendita in funzione delle presunta vita residua), maggiorato di un’ulteriore quota di rendita per l’indennizzo delle conseguenze patrimoniali sul reddito.

A partire dagli anni ’80, da quando cioè assunse autonoma pregnanza risarcitoria il danno biologico (sulla scia dell’evoluzione che dalle sentenze delle corti di merito, a partire da quella genovese, alle pronunce del supremo consesso portò nel 1986 al riconoscimento da parte della Consulta di tale danno quale categoria del “diritto vivente”), si presentò agli operatori il problema della convivenza e dei rapporti tra i due meccanismi di tutela: da un lato il sistema assicurativo per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali gestito dall’INAIL connotato come un social security system, dall’altro lato il sistema risarcitorio fondato sulle regole della responsabilità civile che si configurava come un tort system retto dalle regole ordinarie.

Fu così che si impose la “questione INAIL[146], ossia il dibattito circa il modo di conciliare le diverse implicazioni dei due sistemi, divenuto di vitale importanza all’indomani della svolta del danno biologico.

Il fulcro del problema era se il ristoro del danno biologico e del danno morale fosse o meno da ricomprendersi nelle indennità corrisposte dall’Inail ed andasse quindi soggetto alla clausola di esonero dalla responsabilità civile del datore di lavoro di cui all’art. 10 del T.U. [147].

Fu la Corte Costituzionale a porre rimedio alla diatriba con tre pronunce del 1991: la n. 87[148], la n. 356[149], la n. 485[150], con le quali in buona sostanza statuì che l’istituto dell’esonero previsto dall’art. 10 del T.U. non può riguardare il risarcimento del danno biologico che come tale non aveva alcuna copertura da parte dell’INAIL, a pena di violazione dell’art. 32 Cost. La Corte chiarì che la copertura indennitaria INAIL non avesse ad oggetto tutto il danno che dall’infortunio potesse derivare al lavoratore: l’indennizzo era infatti commisurato ai soli riflessi negativi sull’attitudine al lavoro, senza alcuna presa in considerazione delle implicazioni più propriamente personali tipiche del danno biologico, attinenti alla sfera delle estrinsecazioni della personalità dell’individuo. Applicando gli stessi principi enunciati nel 1991 per il danno biologico, la Corte Costituzionale nel 1994 con la sentenza Morini c. INAIL [151] risolse la questione INAIL con riferimento al danno morale.

L’attuale panorama nel quale, per effetto dell’art. 13 del DPR 38 del 2000, la selezione di ciò che entra nel danno differenziale e ciò che resta assorbito dall’indennità INAIL assume una maggior complessità in quanto non si tratterà più solo di tenere al di fuori del sistema indennitario le voci di danno diverse da quello strettamente patrimoniale (o, al limite, quella componente del danno biologico che presenta una contiguità con la sfera patrimoniale, il danno alla capacità lavorativa generica), ma si dovrà distinguere sia tra danno biologico temporaneo e permanente perché solo il secondo è coperto dall’INAIL, sia tra danno biologico permanente al di sopra o al di sotto del 6 % perché sotto tale soglia opera una totale franchigia a favore dell’INAIL; si dovrà poi procedere con attenzione alla determinazione e quantificazione delle altre voci di danno non patrimoniale (il morale, l’esistenziale, e – forse – financo quelle voci ormai desuete perché assorbite nel biologico, quali il danno alla vita di relazione, alla vita sessuale, il danno edonistico ecc.) della quali l’INAIL non si interessa.

Se la vecchia questione INAIL poteva ormai dirsi sopita per effetto delle sentenze del 1991 e 1994 della Consulta [152], ci pare che oggi possa sorgere una nuova questione INAIL, forse financo più complicata e presumibilmente destinata a risolversi con detrimento del danneggiato.

La riforma [153] introdotta con l’art. 13 comporta uno stravolgimento del sistema indennitario, non essendo difficile accorgersi che il nuovo sistema è diametralmente opposto a quello precedente [154] così come era risultato a seguito degli interventi del giudice delle leggi. Infatti:

prima l’indennizzo INAIL era centrato sul solo aspetto patrimoniale e non toccava la sfera del danno biologico e morale

mentre prima vi era una franchigia al 10 %, oggi l’Istituto non paga nulla per lesioni fino al 5 %

oggi per lesioni che comportino una invalidità permanente tra il 6% ed il 15% l’Istituto corrisponde, in forma di capitale, solo più un indennizzo a titolo di danno biologico [155]:è legittimo ritenere che il datore possa esser chiamato a risarcire al danneggiato i pregiudizi non coperti dall’assicurazione quali – laddove sussistenti e provati – l’eventuale danno patrimoniale, quello morale e quello esistenziale

per lesioni superiori al 16 % l’INAIL indennizza anche il danno patrimoniale mediante una aumento dell’indennizzo del biologico.

La soluzione del problema del nuovo danno differenziale (facendo i conti con la clausola dell’esonero che resta pur sempre in vigore) sta nel principio per cui non si può in alcun modo sacrificare il diritto dell’assicurato all’integrale risarcimento del danno. A noi sembra che i termini della questione siano ancora – mutatis mutandis – quelli a suo tempo espressi dalla Cassazione [156] con l’orientamento fatto proprio dalla Corte Costituzionale con la sentenza 37 del 1994 sulla questione INAIL per il danno morale: i limiti del danno differenziale e dell’esonero devono essere ricercati nel rapporto assicurativo e nella sua funzione indennitaria, escludendosi dall’ambito dell’esonero quelle componenti del danno spettanti al danneggiato nei confronti del terzo che siano estranee alla copertura assicurativa, a pena di privare ingiustamente il danneggiato del diritto all’integrale risarcimento del danno.

In che modo possa oggi venire in rilievo il danno differenziale emerge macroscopicamente dalla lettura della nuova norma:

- in prima fascia (quella dominata dalla franchigia) tutto il danno patito dal lavoratore sarà differenziale, sia esso patrimoniale, morale, biologico, esistenziale

- in seconda fascia sarà differenziale tutto il danno diverso da quello biologico, nell’accezione di invalidità permanente: quindi il patrimoniale, il morale, l’esistenziale ed il biologico temporaneo

- in terza fascia sarà certamente differenziale il danno morale e quello esistenziale.

Le cose però sono decisamente più complicate da quello che traspare dalla semplice lettura del nuovo sistema, perché non sarà sufficiente a dirimere ogni questione il criterio di inclusione/esclusione basato sulle categorie definitorie “danno patrimoniale, morale, biologico, esistenziale”. Ed allora un danno differenziale potrà scaturire dal riconoscimento di un diverso e maggiore “punteggio” di danno biologico in sede di RC rispetto a quanto accertato in sede di social security system in base al baréme medico-legale tipizzato dalla tabella INAIL, essendo noto che in campo civilistico ben possano applicarsi barémés differenti.

In secondo luogo si presenta la questione del valore del punto, perché normalmente il punto “civilistico” (applicando le tabelle d’equità in uso presso le varie corti o quella legale prevista dall’art. 5 della legge 5 marzo 2001 n. 57 che disciplina il risarcimento dei danni alla persona di lieve entità, ossia fino al 9%, derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti avvenuti dalla data 5 aprile 2001) sarà più elevato del valore del punto INAIL. Oggi che l’INAIL indennizza il danno.

La materia presenta qualche peculiarità in tema di prescrizione.

L’art. 112 del testo Unico 1124/65 stabilisce che l’azione per conseguire le prestazioni da parte dell’INAIL si prescrive nel termine di tre anni dal giorno dell’infortunio o da quello della manifestazione della malattia professionale, e che detto termine si interrompe quando gli aventi diritto all’indennità, ritenendo trattarsi di infortunio, abbiano iniziato o proseguito le pratiche amministrative o l’azione giudiziaria.

L’azione di regresso che l’INAIL può esercitare contro le persone civilmente responsabili per le somme pagate a titolo d’indennità e per le spese accessorie si prescrive nel termine di tre anni dal giorno nel quale la sentenza penale è divenuta irrevocabile.

La giurisprudenza formatasi prima della legge di riforma del 2000 [157] era solita affermare che nel caso di danno biologico arrecato con la violazione dell’art. 2087 c.c., trattandosi di responsabilità contrattuale, si applicasse l’ordinario termine decennale di prescrizione.

Oggi, posto che il danno biologico è posto a carico dell’INAIL, sarà onere del danneggiato avanzare le proprie pretese nei confronti dell’Istituto entro il termine di prescrizione triennale di cui abbiamo appena detto.  Se però il danneggiato intenda promuovere contro il datore di lavoro azione ex art 2087 per il risarcimento del danno biologico differenziale come sopra descritto, o dei diversi danni non patrimoniali (pensiamo al morale o all’esistenziale), egli potrà esercitare tale diritto nel termine ordinario di dieci anni.

 

 

4.6. Danni da prodotto difettoso

 

Nel campo dei danni da prodotti difettosi ai sensi dell’art. 13 del d.p.r. 24 maggio 1988, n. 224, il diritto al risarcimento esercitabile dal danneggiato nei confronti del produttore si prescrive in tre anni dal giorno in cui il danneggiato ha avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza del danno, del difetto o dell’identità del responsabile[158]. Nel caso di aggravamento del danno, la prescrizione decorre prima del giorno in cui il danneggiato ha avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza di un danno di gravità sufficiente a giustificare l’esercizio di un’azione giudiziaria: eco che il legislatore accoglie e fa propria la migliore interpretazione giurisprudenziale sulla portata dell’art 2935 c.c, di cui si parla diffusamente nel capitolo dedicato alla decorrenza dei termini.

L’art. 14 stabilisce che il diritto al risarcimento si estingue alla scadenza del termine di decadenza di dieci anni dal giorno in cui il produttore o l’importatore nell’Unione Europea ha messo in circolazione il prodotto che ha cagionato il danno, precisando che la decadenza è impedita solo dalla domanda giudiziale, salvo che il processo si estingua, dalla domanda di ammissione del credito in una procedura concorsuale o dal riconoscimento del diritto da parte del responsabile.

 

 

4.7. Responsabilità degli organizzatori e delle agenzie di viaggio

 

Venendo al campo della responsabilità degli organizzatori di viaggi [159], il decreto legislativo 17 marzo 1995 n. 111 stabilisce all’art. 15, secondo comma, che il diritto al risarcimento del danno alla persona si prescrive in tre anni dalla data del rientro del viaggiatore nel luogo di partenza, mentre si prescrive in un anno il diritto al risarcimento dei danni diversi.  La norma fa salvo il termine di diciotto o dodici mesi per quanto attiene all’inadempimento di prestazioni di trasporto comprese nel pacchetto turistico per le quali si applica l’articolo 2951 del codice civile”

 

 

4.8.Danni da impiego pacifico di energia nucleare.

 

La legge 31 dicembre 1962, n. 1860, come modificata dal d.p.r. 10 maggio 1975, n. 519, disciplina l’impiego pacifico dell’energia nucleare, e stabilisce una sistema di responsabilità del tutto peculiare.

A norma dell’art. 15 l’esercente di un impianto nucleare . salvo che si tratti di incidente dovuto direttamente ad atti di conflitto armato, di ostilità, di guerra civile, di insurrezione o a cataclismi naturali di carattere eccezionale – è responsabile di ogni danno alle persone o alle cose causato da un incidente nucleare avvenuto nell’impianto nucleare o connesso con lo stesso, considerandosi connesso il danno cagionato direttamente dai combustibili nucleari o dai prodotti o rifiuti radioattivi immagazzinati, abbandonati, sottratti o perduti. L’esercente è, altresì, responsabile dei danni causati da radiazioni ionizzanti emesse da qualsiasi sorgente radioattiva che si trovi nell’impianto nucleare. Allorché dei danni sono causati congiuntamente da un incidente nucleare e da un incidente diverso da un incidente nucleare, il danno causato da questo secondo incidente, nella misura in cui non può essere separato con certezza dal danno causato dall’incidente nucleare, è considerato come un danno causato dall’incidente nucleare.

dall’art. 2, d.p.r. 10 maggio 1975, n. 519.

L’art. 19 stabilisce in lire 7.500 milioni il limite massimo delle indennità dovute dall’esercente di un impianto nucleare per danni causati da un incidente nucleare, ponendo a carico dello Stato il risarcimento per la parte eccedente fino alla concorrenza di lire 43.750 milioni; il risarcimento per la parte eccedente, fino alla concorrenza di lire 75.000 milioni è a carico delle parti contraenti delle convenzioni sulla responsabilità civile nel campo dell’energia nucleare ratificate e rese esecutive con la legge 12 febbraio 1974, n. 109, alle condizioni e con le modalità stabilite nelle suddette convenzioni.

L’art 22 impone l’esercente di un impianto nucleare di stipulare e mantenere una assicurazione per un ammontare pari a quello previsto dall’art. 19 o fornire altra garanzia finanziaria di pari importo.

E’ l’art. 23 a disciplinare la prescrizione: le azioni per il risarcimento dei danni alle cose e alle persone dipendenti da incidenti nucleari – che si debbono proporre davanti al Tribunale nella cui giurisdizione si trova l’impianto nucleare, e si debbono introdurre con atto di citazione da notificare anche al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, che ha sempre facoltà di intervenire – si prescrivono nel termine di tre anni dal giorno in cui il danneggiato abbia avuto conoscenza del danno e dell’indennità dell’esercente responsabile oppure avrebbe dovuto ragionevolmente esserne venuto a conoscenza. E’ anche previsto un termine di decadenza, laddove si dispone che nessuna azione è proponibile decorsi dieci anni dall’incidente nucleare, o venti anni dalla data del furto, della perdita o dell’abbandono in caso di danno causato da un incidente nucleare derivante da materie nucleari rubate, perdute o abbandonate e che non siano state recuperate.


[1] Fino a tempi recentissimi il codice civile francese ha invece mantenuto fede all’impianto originario, che si fondava sul termine prescrizionale unico di trenta anni previsto dall’art. 2262 CC: “Toutes les actions, tant réelles que personelles, sont prescrites par trente ans, sans que celui qui allègue cette prescription soit obligé d’en rapporter un titre, ou qu’on puisse lui opposer l’exception déduite de la mauvaise foi”. Oggi, … legge 1985

[2] Relazione al Re, n. 143.

[3] Ciò emerge chiaramente al n. 144 della Relazione al Re, in cui si legge: “nella molteplicità dei casi la prova del “fatto illecito” si fonda sulle deposizioni dei testimoni: col decorso del tempo il ricordo delle circostanze su cui questi sono chiamati a deporre, svanisce o si attenua, e si accrescono così i pericoli inerenti a siffatto mezzo di prova”.

[4] Sul punto si rinvia a AVETTA-CASTELNUOVO, La responsabilità civile negli infortuni sul lavoro e nelle malattie professionali, Milano, 2003; Franco, Diritto alla Salute e Responsabilità Civile del Datore di Lavoro, cit., 414 e ss. ; da ultimo Coppi c. Mariani Servizi srl, Cass., sez. lav., 19 dicembre 1997, n. 12891, in Gius, 1998, 5, 815; Suardi c. Soc. Generale ind. magnesia, Pret. Torino, 14 giugno 1996, in Giur. Piemontese, 1997, 229; Giuva c. Soc. FIAT Auto, Pretura di Torino, 17 maggio 1996, in Lavoro nella Giurisprudenza, 1996, 762. Sul termine decennale si vedano in particolare:  Az. municp. igene urbana c. Calloni, Cass., sez. lav., 1  febbraio 1995, n. 1168, in Notiziario giur. lav., 1995, n. 1168; Nuovo ist. it. arti grafiche c. Arnoldi, Cass. sez. lav., 5 aprile 1993, n. 4085; La Martira c. Società Fibront, Cass., sez. lav., 23 marzo 1991, n. 3115, in Orient. giur. lav., 1992, I, 174; INAIL c. Rotili, Cass., sez. un., 14 maggio 1987, n. 4441, in Notiziario giur. lav., 1987, 619, in Dir. lav., 1987, II, 544, in Foro it., 1988, I, 2685.

[5] Cfr. Peccenini, La r.c. per la circolazione dei veicoli, in La responsabilità civile, a cura di Cendon, Torino, 1998, Vol. XII, 136 ss.; Monateri e Bona, Il danno alla persona, cit., 439 ss.; Giannini e Pogliani, Il danno da fatto illecito, cit., 87 ss.

[6] Sui problemi della prescrizione nel caso di danni da reato: Feola, Risarcimento del danno da reato e interruzione della prescrizione, in Resp. civ. prev., 1997, 714; Monateri e Bona, Il danno alla persona, cit., 443-446; Giannini e Pogliani, Il danno da fatto illecito, cit., 91 ss., 103 ss.; Covino, Danno e reato, Torino, 1997, 189 ss.; Franzoni, Il danno alla persona, cit., 736-744. Cfr. infra ……

[7] Cfr. DALMOTTO, Prospettazioni alternative in tema di infortuni sul lavoro e scelta del giudice competente (concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale) in Giur. it., 1995, I, 1, 867. Per una ricostruzione problematica, ed una critica.  della distinzione tra i due regimi di responsabilità cfr. GIARDINA, F., Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale. Significato attuale di una distinzione tradizionale, Milano, 1993.

[8] In dottrina è stato osservato che questa regola si spiega “nello sfavore sociale che colpisce il fatto illecito e che rende inammissibile il presumere che il danneggiato tolleri liberamente il ritardo del danneggiante a riparare l’ingiusta lesione”, sfavore che “si traduce direttamente nel dato normativo della mora a carico del danneggiato fin dal momento della lesione”, Bianca, Dell’inadempimento delle obbligazioni in generale sub art. 1218-1229, in Comm. Cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, 2° ed., Bologna-Roma, 1979, 208. Cfr. Baldassari, La mora del debitore, in La responsabilità civile, a cura di Cendon, Torino, 1998, I, 161-163.

[9] Sul problema della prevedibilità del danno si rinvia da ultimo a Pinori e Petrelli, Il criterio della prevedibilità del danno contrattuale, in Risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale, a cura di Visintini, Milano, 1999, 129 ss.; Baldassari, La prevedibilità del danno, in La responsabilità civile, a cura di Cendon, Torino, 1998, I, 235 ss.; PINORI, Prevedibilità del danno, in Riv. Dir. Civ., 1994, 139 ss.; Cendon, Danno imprevedibile e illecito doloso, in Risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale, a cura di Visintini, Milano, 1984, 23 ss.

[10] Sul tema della prescrizione in r.c. cfr. Monateri, La responsabilità civile, cit., 371 ss. Sulla prescrizione nel campo del danno alla persona cfr. da ultimo Bona e Oliva, Prescrizione e danno alla persona, in Monateri, Il danno alla persona, Torino, 2000, Vol. II, 605 ss.

[11] Nel caso di responsabilità del produttore disciplinata dal d.p.r. 24 maggio 1988 n. 224 il diritto al risarcimento si prescrive in tre anni; nell’ipotesi di responsabilità degli organizzatori di viaggi, regolata dal d.lgs. 17 marzo 1995 n. 111 l’azione per i danni occorsi all’integrità psico-fisica del turista si prescrive in tre anni.

[12] Su cui: De Matteis, Il cumulo di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale: una regola di formazione giurisprudenziale, in Risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale, a cura di Visintini, Milano, 1999, 399 ss.; Visintini, Trattato breve della responsabilità civile, 2° ed., Padova, 1999, 197 ss.; Alpa, La responsabilità civile, Milano, 1999, 102 ss.; Baldassari, Concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, in La responsabilità civile, a cura di Cendon, Torino, 1998, Vol. I, 323 ss.; Monateri, la responsabilità civile, Torino, 1998, 672 ss.; Rossello, Responsabilità contrattuale ed aquiliana: il punto sulla giurisprudenza, in Contratto e impresa, 1996, 642; Giardina, Responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale, Milano, 1993; Monateri, Cumulo di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, Padova, 1989; Rossello, Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, in La responsabilità civileUna rassegna di dottrina e giurisprudenza, diretta da Alpa e Bessone, Torino, 1987, I, 291 ss.; Sacco, Concorso delle azioni contrattuale ed extracontrattuale, in Risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale, a cura di Visintini, Milano, 1984, 155 ss.; Ponzanelli, Concorso di responsabilità: le esperienze italiana e francese a confronto, in RCP, 1984, 36.

[13] Utilizzando le categorie dell’analisi economica, si intende per rimedio risarcitorio pieno un rimedio che internalizzi completamente una esternalità recata da un danneggiante potenziale. Limitato sarà pertanto un rimedio risarcitorio che lasci parte dell’esternalità laddove si è prodotta. Sull’uso del termine ‘esternalità‘ rimando a MATTEI, Tutela inibitoria e tutela risarcitoria, Milano, 1984, 33ss. Un rimedio risarcitorio che non internalizzi, ad es., i danni considerati imprevedibili, sarà pertanto un rimedio risarcitorio limitato.

[14] Migliore, dal punto di vista della vittima, che può essere influenzato da uno qualunque dei tratti differenziali che distinguono i vari rimedi, data la sua situazione concreta. Non ha senso discutere in astratto se il rimedio contrattuale o quello delittuale sia il “migliore”. In una data situazione, la vittima può preferire l’uno all’altro.

[15] Si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui sussistono i vari elementi della responsabilità extracontrattuale, compresa la presenza di un comportamento contrario alla diligenza standard, ma sia necessario, ad esempio, un comportamento consistente in colpa grave perché scatti il rimedio risarcitorio contrattuale.

[16] Si pensi, ad esempio, in astratto, ai casi di concorso tra responsabilità aggravate da cose in custodia e responsabilità professionali contrattuali di mezzi.

[17] Nelle opere citate SACCO, PONZANELLI e ROSSELLO hanno optato nei titoli delle loro opere per il termine ‘concorso’. Nel testo hanno però spesso fatto riferimento al ‘cumulo’. Sul diverso problema processuale del cumulo di domande, si veda l’indagine comparatistica del CONSOLO, Il cumulo condizionale di domande, Padova, 1985.

[18] Cfr. GABBA, Azione contrattuale e azione aquiliana di danno, in Nuove questioni di diritto civile, I, Torino, 1912, 229 cc.; CARADONNA, Concorso di colpa contrattuale ed extracontrattuale, in RDCo, 1922, I, 261 ss. Importanti discussioni su questo punto di terminologia si trovano anche in BARASSI, Teoria gen. delle obbligazioni, II, Milano, 1964, 424-426.

[19] Casi di concorso improprio emergono nel concorso alternativo di azione revocatoria (ex art. 2901 c.c.) o simulatoria, di redibitoria o estimatoria e di domanda di esecuzione o di risoluzione, ovvero nel caso dell’azione di eliminazione del vizio o dell’azione di riduzione del prezzo ex art. 1688 c.c.

[20] LIEBMAN, Azioni concorrenti, in Studi Ratti, Milano, 1934, 668.

[21] Si ricordino i già richiamati SACCO, PONZANELLI e ROSSELLO.

[22] Sul cumulo di responsabilità cfr. Monateri, Manuale della responsabilità civile, Torino, 2001, 19 e ss.; De Matteis, Il cumulo di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale: una regola di formazione giurisprudenziale, in Risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale, a cura di Visintini, Milano, 1999, 399 ss.; Visintini, Trattato breve della responsabilità civile, 2° ed., Padova, 1999, 197 ss.; Alpa, La responsabilità civile, Milano, 1999, 102 ss.; Baldassari, Concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, in La responsabilità civile, a cura di Cendon, Torino, 1998, Vol. I, 323 ss.; Monateri, La responsabilità civile, Torino, 1998, 672 ss.; Rossello, Responsabilità contrattuale ed aquiliana: il punto sulla giurisprudenza, in Contratto e impresa, 1996, 642; Giardina, Responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale, Milano, 1993; Monateri, Cumulo di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, Padova, 1989; Rossello, Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, in La responsabilità civileUna rassegna di dottrina e giurisprudenza, diretta da Alpa e Bessone, Torino, 1987, I, 291 ss.; Sacco, Concorso delle azioni contrattuale ed extracontrattuale, in Risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale, a cura di Visintini, Milano, 1984, 155 ss.; Ponzanelli, Concorso di responsabilità: le esperienze italiana e francese a confronto, in Resp. Civ. Prev., 1984, 36. Il cumulo di responsabilità viene, invero, dato per pacifico in tutti i casi di danno alla persona occorsi nell’ambito di rapporti alla cui base vi è un contratto, poiché in queste ipotesi si è tradizionalmente rilevata la lesione di un diritto assoluto. Il concorso di responsabilità caratterizza, ad esempio, proprio il campo della responsabilità medica, oggetto della vicenda che era all’esame della decisione in commento (cfr., ad esempio, Cass., 13 marzo 1998, n. 2750, in Giur. it., 1999, 2279, nonché, ex plurimis, tra la giurisprudenza di merito Trib. Milano, 19 febbraio 2001, in Riv. Giur. Polizia, 2002, 795, e App. Bologna, 19 dicembre 1991, in Riv. It. Med. Leg., 1994, 1082; la possibilità del cumulo nelle azioni per medical malpractice risale addietro nel tempo: per un caso di azione contro il medico cfr., ad esempio, Cass., 15 giugno 1954, n. 2016, in Giust. Civ., 1954, 1440; per un esempio di azione nei confronti della struttura ospedaliera vedi Trib. Larino, 30 marzo 1974, in Giur. Merito, 1976, 1, 155 e, ancor prima, App. Bologna, 16 marzo 1908, in Giur. it., 1908, I, 2, 384). Nell’ambito degli infortuni sul lavoro e della malattie professionali, in cui il contratto domina indubbiamente i rapporti tra datore e dipendente, la principale norma di riferimento in punto responsabilità, l’art. 2087 c.c., è stata da lungo tempo inquadrata dai giudici di legittimità e di merito come norma avente duplice natura, contrattuale e extracontrattuale (cfr., ex multis, Cass., sez. lav., 17 luglio 1995, n. 7768, in Notiziario Giur. Lav., 1995, 740) . Il concorso di responsabilità viene ammesso in varie ipotesi di trasporto di persone: nel trasporto su strada (cfr., ex plurimis, Trib. Milano, 26 gennaio 1995, in Danno e responsabilità, 1996, 612), nel caso di disastro aereo (cfr., ad esempio, Cass., 20 aprile 1989, n. 1855, in Foro it., 1990, I, 1970) e nell’ipotesi di trasporto su ferrovia.

[23] Per una ricostruzione del percorso storico si rinvia a quanto osservato in Monateri, La responsabilità civile, cit., 686 ss.

[24] Cfr. ex plurimis da ultimo cfr. Alitalia c. Gallone, Cass. 19-1-1996, 418 DR 1996, 611 e De Mico c. SCAC, Cass. 5-10-1994, n°8090, DR 1996, 611 e 614, con commento di SIMONE. Secondo tale schema di massime, le due responsabilità concorrono quando uno stesso fatto violi in pari tempo non solo diritti nascenti da contratto, ma anche diritti assoluti della vittima. Per la dottrina si rinvia alla nota 63.

[25] Cfr. i dati raccolti in SACCO, Concorso delle azioni, cit, 156; PONZANELLI, Concorso di responsabilità, 42. In giurisprudenza: Impianti Pei c. Tubiflex Cass. 6-3-1995 n. 2577; Cass. 3-4-1991 n. 3468 (ipotesi di appropriazione indebita commessa nel corso dell’esecuzione di un contratto di mandato); Cass., 14-5-1987, n. 4441, in Giust. civ., 1987, I, 1628.

[26] Cass., 22 settembre 1983, n. 5638, in Foro it. Rep., 1983, voce Resp. civ., n. 56.

[27] Cass., Sez. III, 19 agosto 2003, n. 12124, in www.dannoallapersona.it; Cass., Sez. III, 31 maggio 2003, n. 8827 e Cass., Sez. III, 31 maggio 2003, n. 8828, in Giur. It., 2004, con nota di Bona, L’«ottava vita» dell’art. 2059 c.c., ma è tempo d’addio per le vecchie regole!; in Foro it., 2003, I,  2272, con nota di Navarretta, Danni non patrimoniali: il dogma infranto e il nuovo diritto vivente; in Danno e responsabilità, 2003, 816, con note di Busnelli, Chiaroscuri d’estate: la Corte di cassazione e il danno alla persona, Ponzanelli, Ricomposizione dell’universo non patrimoniale: le scelte della Corte di cassazione, Procida Mirabelli di Lauro, L’art. 2059 c.c. va in paradiso; in Corriere Giuridico, 2003, 1017, con nota di Franzoni, Il danno non patrimoniale, il danno morale: una svolta per il danno alla persona. La sentenza n. 8828/2003 è altresì stata pubblicata in Resp. Civ. Prev., 2003, 675, con note di Cendon, Anche se gli amanti si perdono l’amore non si perderà. Impressioni di lettura su Cass. 8828/2003, Bargelli, Danno non patrimoniale ed interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., Ziviz, E poi non rimase nessuno.

[28] Così Cass., Sez. III, 31 maggio 2003, n. 8827, cit.; Cass., Sez. III, 31 maggio 2003, n. 8828, cit.; Cass., Sez. III, 19 agosto  2003, n. 12124, cit.

[29] Soluzione questa ben percorribile e su cui si rinvia a Bona e Monateri, Il nuovo danno non patrimoniale, Milano, 2004.

[30] Rinviamo a AVETTA-CASTELNUOVO, La responsabilità civile negli infortuni sul lavoro e nelle malattie professionali, Milano, 2003

[31] È la fondamentale sentenza resa dalla Corte Costituzionale nel caso Repetto / AMT di Genova, 14 luglio 1986 n. 184

[32] oggi, pare che il costrutto sia da rivedere, alla luce degli ultimissimi orientamenti sul 2059 espressi dalla Cassazione e dalla stessa Corte Costituzionale. Approfondiamo il punto nel paragrafo dedicato al danno morale

[33] Utilizziamo l’espressione onnicomprensiva di “danno non patrimoniale” poiché ci pare la più adatta a ricomprendere ogni voce che si caratterizzi per una certa autonomia rispetto alla sfera patrimoniale del soggetto (con particolare riferimento alla idoneità a produrre reddito): il danno biologico in se e per se, le sue componenti eventuali del danno estetico, alla vita di relazione, alla vita sessuale, alla capacità lavorativa generica (che nel biologico, laddove esistenti, restano assorbite concorrendo a farne variare la consistenza e quindi a “personalizzarlo”), il danno morale nell’accezione tradizionale di danno morale subiettivo (la pecunia doloris che indennizza la sofferenza patita dalla vittima del reato), il danno morale costituzionalizzato che comprende in se anche il danno esistenziale e che necessariamente deve essere risarcito – al di là di ogni restrizione – in caso di lesione di diritti ed interessi costituzionalmente protetti

[34] che, è noto, stabilisce che il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge ossia, ad esclusione di ipotesi marginali, quando il fatto integra una previsione astratta di reato.

Rinviando i lettori alle numerosissime pagine spese dalla dottrina sul 2059, richiamiamo l’attenzione alla genesi storica della norma, per evidenziare come la sua presenza non costituisca un dato necessario del nostro ordinamento.

Monateri (in “Alle soglie di una nuova categoria risarcitoria: il danno esistenziale”, in Danno e Responsabilità, n.11/99, 5) ricorda come la locuzione “danno non patrimoniale” non sia autoctona ma ricalcata su quella tedesca Nicht Vermoegen Shaden, come la formulazione del 2059 sia analoga al paragrafo 253 del BGB che recita “Per un danno non è danno patrimoniale, può pretendersi risarcimento in danaro solo nei casi determinati dalla legge”, ma come nell’operazione di trapianto nell’ordinamento italiano non si tenne conto che il par. 847 del BGB stabilisce che “nel caso di lesione del corpo o della salute l’offeso può pretendere un equo risarcimento in danaro anche per il danno che non è patrimoniale”.

E’ poi il Tribunale di Roma, nella persona del giudice unico Rossetti, con l’ordinanza 20 maggio 2002 (in Corriere Giuridico, n.10/2002, 1331) ad esporre come storicamente non vi fosse alcuna necessità per il legislatore del 1942 di formulare il 2059 così come ce lo ritroviamo: Rossetti – con un excursus che parte dal Digesto, passa per i glossatori ed i giureconsulti dell’era dello ius commune, per le ordinanze di Domat ed il Code Civil napoleonico, giungendo al nostro codice civile del 1865 – dimostra come fosse in realtà avulso dalla nostra tradizione giuridica il negare la risarcibilità del danno morale se non nei casi di reato, quantomeno fino agli inizi del ‘900 quando, per effetto di una pronuncia della Cassazione a S.U. del 1912 e della nuova Cassazione unica del 1924 e della giurisprudenza che ne seguì, si ebbe il mutamento di rotta. Quando i codificatori scrissero il 2059 è vero che recepirono il diritto vivente, ma solo quello che vollero trarre da un orientamento tutt’altro che pacifico, molto recente, non sorretto dalla tradizione.

[35] così ricorda la sentenza 184: “l’art. 2043 del c.c. è una sorta di “norma in bianco”: mentre nello stesso articolo è espressamente e chiaramente indicata l’obbligazione risarcitoria, che consegue al fatto doloso o colposo, non sono individuati i beni giuridici la cui lesione è vietata: l’illiceità oggettiva del fatto, che condiziona il sorgere dell’obbligazione risarcitoria, viene indicata unicamente attraverso l’“ingiustizia” del danno prodotto dall’illecito.”

[36] cfr la sentenza del Tribunale di Pisa del 2001 di cui parliamo diffusamente nel capitolo sui danni risarcibili

[37] Pret. Milano, 28 dicembre 1990, in Riv. It. Dir. Lav., 1991, II, 388, con nota di Pera.

[38] cfr la sentenza 3 ottobre 2001 del Tribunale di Pisa di cui parliamo nel paragrafo sul danno esistenziale

[39] impervia per il danneggiato sotto il profilo probatorio, come si vede nel caso del danno esistenziale (v. Cass. 9009/01, di cui ampiamente nel paragrafo sui danni risarcibili)

[40] Cfr. Cass. civ., sez. lav., 5 ottobre 1994 n. 8090, De Mico c. Soc. S.C.A.C.-Società Cementi Armati Centrifugati, e Morante c. Min. Giustizia, Cass. 22-9-1983, n. 5638, cit. e Meloni c. Meie Assicuratrice, Cass. 29-3-1983, n. 2278, in RGCT 1983, 709, dove si è visto che i fatti interruttivi dell’una prescrizione non valgono per l’altra. Lo stesso principio fu già espresso in Az. autofilotranviaria di Napoli c. Luciano, Cass. 13-10-1953, n. 3340, in Foro it., 1954, I, 1441: l’Est. Vistoso lo fondò sul carattere pubblicistico dell’art. 2043 c.c. che, nella fattispecie, doveva prevalere sul carattere più privatistico dell’art. 1681 c.c. (sic).

[41] De Mico c. Soc. cementi armati Cass., 5-10-1994, n. 8090, in Danno e responsabilità, 1996, 614, con nota di Simone (“il riferimento alle norme codicistiche relative alle due azioni risarcitorie – contrattuale ed aquiliana – é sufficiente ad evitare che l’oggetto del giudizio resti limitato ad una sola delle due forme di responsabilità“); Cass., 23-6-1994, n. 6064, in Foro it., 1995, I, 201 e Giur it., 1995, I, 1, 412 (“la deduzione degli estremi oggettivi e soggettivi della responsabilità é sufficiente ad indicare la causa petendi di entrambe le forme di responsabilità“); Cass., 23-6-1994, n° 6061 in Notiziario giurisprudenza lav., 1994, 619 (“la deduzione degli estremi oggettivi e soggettivi della responsabilità basta ad indicare la causa petendi per far valere sia l’azione ex contractu sia quella ex delicto”).

[42] Roy c. Vanessa, Cass., 3-12-1991, n. 12921 (“La domanda di risarcimento danni per responsabilità extracontrattuale [...] non può essere [...] proposta per la prima volta nel giudizio di appello per ampliare l’originaria domanda di risarcimento di danni per responsabilità contrattuale“); Cass., 27-7-1990, n. 7565 (“É domanda nuova, non proponibile per la prima volta in appello [...] quella che alteri anche uno soltanto dei presupposti della domanda iniziale, introducendo un petitum più ampio, oppure una diversa causa petendi, fondata [...] in particolare su un fatto giuridico costitutivo del diritto originariamente vantato radicalmente diverso“); Cass., 19-3-1979, n. 1593 (“proposta dal danneggiato domanda di risarcimento del danno ex contractu, non può farsi valere la responsabilità extracontrattuale per la prima volta nel giudizio di cassazione”).

[43]Cfr. Cass, 19-3-1979, n. 1539, Foro it. Mass., 1979; Cass. 8-1-1969, n. 28, Foro it. Mass., 1969, e cfr. Ditta Sordo c. S.a.i.m.a., Cass. 1-2-1968, n. 328, Foro it. Mass., 1968.

[44] Rispettivamente: Cass. 15-6-1954, n. 2016, Giust. civ., 1954, 1440; Foro pad., 1955, I, 152, nota di PERETTI GRIVA (nella motivazione si fece ancora riferimento alla violazione della legge penale); App. Roma 6-9-1983, Resp. civ. prev., 1984, 89; Foro it., 1983, I, 2838 nota PRINCIGALLI (in tal caso l’operazione era avvenuta in Inghilterra e l’azione contrattuale, retta da tale diritto, risultava ormai prescritta); Cass. 7-8-1982. n. 4437, Resp. civ. prev., 1984, 78. Tale possibilità è stata ammessa anche dalla giurisprudenza di merito: ad esempio cfr. T. Vicenza 27-1-1990 in Nuova giur. civ., I, 734, n. DI GREGORIO. Si tenga presente che la problematica del cumulo in materia di responsabilità del medico deve ora tenere presente dell’orientamento della Suprema corte, per cui la responsabilità del medico, ancorché non fondata sul contratto, ha natura contrattuale in forza del “contatto sociale” intercorso con il paziente: Cass., 22 gennaio 1999, n. 589, in Danno e responsabilità, 1999, 294, con nota di Carbone.

[45] Cfr. Di Biagio c. Cassa Maritt. merid., cit.; Fascetto c. Rapisarda, Cass. 17-3-1981, n. 1544, Giur. it., mass., 1981, 428; Nagel c. Mowlem, cit.; Scopesi c. Romano, Cass. 6-5-1971, n. 1282, Foro it., 1971, I, 1476; e cfr. PRINCIGALLI, La responsabilità del medico, Napoli, 1983, 25ss. Infra Capitolo … Sull’art. 2236 c.c. e la responsabilità medica cfr. da ultimo Monateri, Bona e Castelnuovo, Responsabilità da attività medico-sanitaria, in Monateri, Il danno alla persona, Torino, 2000, Tomo I, 395 ss.

[46] Ex plurimis Valentini c. Castaldini, Trib. Verona, 15 ottobre 1990, in Foro it., 1991, I, 2161, in Giur.it., 1991, I, 2, 697, in cui si legge che “la fonte di responsabilità contrattuale può concorrere, nei casi di responsabilità per attività sanitaria, con la responsabilità aquiliana, in base alla ormai pacifica tutela concorrenziale riconosciuta quando uno stesso fatto si rappresenti come violazione di diritti relativi e assoluti” (nella specie, era in questione la responsabilità di una USSL per il danno da lesioni antenatali).

[47] Moscufo c. Osped. Civile di Termoli, Trib. Larino 30-3-1974, Giur. Mer., 1976, I, 155; Trib. Velletri 19-3-1979 in Giur it., 1981, I, 2, 567. Si ricordi il consimile vecchio precedente di Vitari c. Alvisi, App. Bologna 16-3-1908, Giur. It., 1908, I, 2, 384.

[48] Ferri e altri c. Bessi, Trib. Firenze 12-6-1965, Arch. resp. civ., 1967, 84.

[49] Si vedano gli interventi di CATTANEO e GAMBARO in La responsabilità medica, Milano, 1982.

[50] L’attività dell’avvocato tende, forse, maggiormente ad incidere su diritti relativi che su diritti assoluti e, comunque, se si considerano le norme di deontologia professionale come recepite a livello normativo, la loro violazione potrebbe essere qualificata, ai fini dell’ingiustizia dell’art. 2043 c.c., come violazione di una norma protettiva della vittima.

[51] Cass. 27-7-1984, n. 4453, Foro it. Mass., 1984, per il caso di un tardivo ricorso avverso un licenziamento.

[52] Cass. 16-10-1980, n.5557, Arch. Resp. civ., 1981, 35.

[53] App. Roma 17-1-1977, Temi Rom., 1977, 253.

[54] In termini di contratto d’opera professionale ha statuito Mazzarelli c. Lambise, Cass. 10-12-1977, n. 5364, Foro it. Mass.; Ruggiero c. Grimaldi, Cass. 17-2-1981, n. 969, Resp. civ. prev., 1981, 747, dove si è pure detto che la limitazione dell’art. 2236 c.c. concerne solo le operazioni di particolari difficoltà, quali non sono generalmente quelle dell’avvocato; Cirenei c. Romoli, Cass. 13-12-1969, n. 3958, Giust. civ., 1970, I, 404; Mon. Trib., 1970, 767; Temi, 1970, 679 dove invece, fra l’altro, si è ammesso che l’art. 2236 c.c. trovi normalmente applicazione in tali rapporti; Caputo c. Catallo, Cass. 3-10-1968, n. 2791, Giur it., 1969, I, 1, 1939, nota di C. LEGA, che ha riconosciuto il fondamento degli obblighi del notaio solo nell’art. 1176 comma 2 c.c.

[55] Tale fu la tesi sostenuta a suo tempo dal CHIRONI, Colpa extracontrattuale, Torino, 1913, I, 171, 304 e, in giurisprudenza, da G. c. Miglio, App. Milano, 6-12-1966, Foro it., 1967, voce Notaio n. 66; Ditta De Leon c. Barone, Trib. Torino 23-5-1961, ivi, 1961, voce Notaio, n. 128; B. c. M., App. Milano 20-10-1961, ivi, 1961, voce cit., n°127; Martel c. Badia, Trib. Roma, 15-5-1959, ivi, 1959, voce Notaio, nn. 66‑68.

[56] Cass. 11-5-1957, BBTC, 1957, II, 336. Sul punto si veda anche D’ORAZI FLAVONI, La resp. civ. nell’esercizio del notariato, Riv. not., 1958, 375, e cfr. M. c. V., App. Firenze 20-7-1962, Riv. not., 1962, 865 nota GIULIANI; Migliorini c. Ventura, Cass. 11-3-1964, in Foro it., 1964, 1, 960, nota MORELLO.

[57] Cass. 29-10-1971, n. 3066, Foro it., 1972, I, 651.

[58] Cass. 24-5-1960, n. 1327, Foro it. Re, 1960 voce Notaio, nn. 73‑74.

[59] Cass. 16-2-1957, n. 553, Foro it., 1957, I, 774.

[60] Cfr. Puglisi c. Gervasi, Cass. 10-3-1970, n. 612, Foro it., 1970, I, 1710.

[61] Quarantotto c. Società Bellucci, Cass. 4-3-1981, n.1254, Resp. civ. prev. 1981, 748; Guglielmino c. Ciancico, Cass. 18-2-1981 n.982, ivi, e cfr. Dalfano c. Bottaro, Cass 12-1-1977, Foro it., 1977, 1, 653.

[62] Cass. 13-3-1980, n.1696, Est. Sgroi, Resp. civ. prev., 1980, 339.

[63] L’est. Sgroi ebbe a dire che tra i due soggetti esisteva un “contatto sociale” e “un contatto socialmente rilevante tra due membri della collettività” e che “il vincolo negoziale è per eccellenza creatore e intensificatore di contatti sociali”.

[64] Cass. 27-2-1980, Giust. civ., 1980, I, 1924, nota ALPA; Giur. it., 1980, 1, I, 1459.

[65] La Suprema corte non si fermò qui e ammise anche l’azione delittuale contro il produttore.

[66] Cass. 17-6-1967, n. 1430, Resp. civ. prev., 1968, 286.

[67] Naturalmente se, oltre al vizio, ricorre la truffa concorrono le due azioni in modo distinto ed autonomo e l’azione delittuale esperita nel processo penale non vale a interrompere la prescrizione dell’altra: Basiliola de Leitenburg c. Nuova Concessionaria S.r.l. e Ceva S.r.l., Cass 27-2-1986, n. 1277, Foro it., 1987, I, 273.

[68] In questo senso cfr. Responsabilità civile – Rassegna di Giurisprudenza e Dottrina – 1999, coordinata da Carbone, Milano, 2000, 88.

[69] Cass. 7-10-1967, n°2335, Resp. civ. prev., 1968, 252.

[70] Brignone c. Tanti, Cass. 30-7-1966, n. 2136, Arch. resp. civ., 1966, 741; Giur. it., 1967, I, 1, 658; Resp. civ. prev., 1967, 44.

[71] Cass. 24-3-1966, n. 781, Giur. comm., 1966, I, 1995.

[72] Cassa mutua prov. Bolzano c. Huber, Cass. 19-1-1977, n. 261, Giur. it. 1978, I, 1, 1791.

[73] Canafoglia c. Inail, App. Roma 30-3-1971, Foro pad., 1972, I, 552.

[74] Cass. 21-12-1968, n. 4143, Resp. civ. Prev., 1969, 238.

[75] Tedeschi c. Atac, Cass. 24-10-1960, n. 2875, Resp. civ. prev., 1961, 305. In dottrina cfr. LOPEZ DE GONZALO, La responsabilità civile del vettore, in La responsabilità civile, a cura di ALPA e BESSONE, cit., 32ss.; IANNUZZI, Il trasporto, in Comm. Scialoja Branca, Bologna–Roma, 1970, 84; IACCUANIELLO‑BRUGGI‑PAOLUCCI, Il contratto di Trasporto, Torino, 1980, 114.

[76] Cass. 19-3-1979, n. 1539, cit.

[77] Vergano c. Sabellini, Cass. 9-1-1979, n. 119, Arch. civ., 1979, 330.

[78] Sui rapporti tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale e sulla configurabilità del cumulo nel campo del trasporto ferroviario di persone si rinvia a Bona, Responsabilità da incidente ferroviario, in Monateri, Il danno alla persona, Torino, 2000, Tomo I, 394; Bona, Responsabilità delle Ferrovie dello Stato S.p.A. ed onere probatorio: verso la strict liability dell’amministrazione ferroviaria?, in Danno e responsabilità, 1999, 1232 ss.; Mirate, Responsabilità del vettore ferroviario per danni ai viaggiatori: dal concorso di azioni al cumulo di disciplina contrattuale ed extracontrattuale?, in Resp. Civ. prev., 1999, 748 ss.; Chiarolla, Piovono sassi: danni al viaggiatore e onere della prova, in Danno e resp., 1997, 597 ss.; De Marco, La r.c. nel trasporto di persone e cose, Milano, 1985, 235 ss.

[79] Cass. 9-1-1979, n. 119, cit.

[80] Cfr. da ultimo Cass., 26 ottobre 1998, n. 10629.

[81] Cass. 28-1-1972, n. 226, Giur. it., 1972, I, 1, 1797.

[82] Cass. 14-5-1979, n. 2773, Giur. civ., 1979, I, 1899.

[83] T. Genova, 14-2-1992, in Dir. Maritt., 1993, 769.

[84] Cass. 6-12-1956, n. 4371, Foro it., 1957, I, 800.

[85] Si è deciso che la responsabilità contrattuale concorre con la delittuale solo fino all’avvenuto scarico delle cose trasportate, pur se il danno si produsse in occasione della consegna materiale al destinatario, in Antifossi c. Nespoli, Cass. 12-2-1977, n. 632, Arch. Circ., 1977, 287, laddove un toro, già scaricato, fu negligentemente trattenuto dagli addetti del vettore e andò ad incornare proprio il destinatario.

[86] Cass. 20-6-1957, n. 2357, Foro pad., 1957, I, 1321.

[87] Cass. 17-9-1978, n. 5355, Foro it. mass., 1978.

[88] Cfr. LOPEZ de GONZALO, op. cit., 44ss., 49ss. Inoltre, sul tema specifico del vettore aereo cfr. Medina, Ancora sul concorso o  meno di responsabilità contrattuale e extracontrattuale del vettore aereo e sulla decadenza dell’azione di responsabilità, in Dir. Maritt., 1989, 1138.

[89] La responsabilità è limitata ai soli casi di dolo e colpa grave dall’art. 414 c. nav.; la prescrizione dall’art. 418 c. nav.; Malinverni c. Aereo‑club Novara, Cass. 7-7-1972, n. 2264, Foro it., 1973, I, 487, ha escluso il cumulo per il caso d’un trasporto aereo amichevole.

[90] Cass. 26-7-1983, n. 5121, Giur it., 1984, I, 1, 260, in applicazione degli artt. 422 e 423 c. nav., poiché altrimenti “sarebbero vanificati gli effetti” di tali articoli.

[91] Cass. 15-7-1976, n. 2796, Foro it. Re, 1976, voce Nave, n. 12.

[92] Martinoli c. Montedison, App. Trieste 27-6-1977, Foro pad., 1977, 27; Montedison c. Martinoli, Trib. Trieste 11-7-1975, Foro pad., 1977, 28. LOPEZ de GONZALO, op. cit., 52, giudica obiter le osservazioni sul cumulo fatte in tali casi.

[93] Soc. It. Medio Oriente Esp. c. Ditta Vanetti, App. Genova 28-2-1966, Dir. Mar., 1967, 187.

[94] Soc. Rimorchiatori Napoletani c. Amm. Difesa Marina, App. Napoli 30-4-1964, Foro pad., 1965, I, 222; Riv. dir. comm., 1965, I, 440, per l’Est. Melone, 224 “non v’è motivo per escludere tale tutela generale quando sussista un vincolo obbligatorio speciale”.

[95] Cass. 19-1-1996 n. 418. La sentenza confermata leggesi in Dir. Maritt., 1991, 1020 e in Dir. trasporti, 1992, 563 n. ZAMPONE.

[96] Cass., 20 aprile 1989, n. 1855, in Foro it., 1990, I, 1970,con nota di Carbone.

[97] P. Roma, 23-3-1988 in Dir. Maritt., 1989, 1138, con nota di MEDINA.

[98] Corte Cost. 6-5-1985, n. 132, Resp. civ. prev., 1985, 537.

[99] Ad esclusione però del trasporto marittimo, per l’intervento degli artt. 422 e 423 c. nav. cfr. Soc. Traghetti Isole Eolie c. Cerra, Cass. 26-7-1983, n. 5121, in Dir. mar., 1984, 845, con nota di LOPEZ DE GONZALO.

[100] cfr. Cazeneuve c. Soc. Mbm, Cass. 13-3-1980, n. 1696, Giur. it., 1980, I, 1, 1460; Resp. civ. e prev., 1980, 339.

[101] Cfr. da ultimo Baldassari, Concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, cit., 330 ss.

[102] Cass., 1 febbraio 1994, n. 1008, in RCP, 1996, 709.

[103] Cass., 13 gennaio 1993, n. 343, in VN, 1995, 674: “Qualora il cliente versi presso la propria banca assegni tratti su altre banche, con immediato accreditamento e prelievo dei relativi importi, e dette trattarie, cui i titoli vengano inviati per l’incasso, li trattengano in giacenza, fino alla scadenza del termine massimo consentito dall’art. 32 del r.d. 21-12-1993, n. 1736, in attesa di tardive affluenze di provvista, la responsabilità risarcitoria delle trattarie medesime, per il pregiudizio che la prima banca abbia subito in relazione alla consistenza delle sue esposizioni, deve ritenersi configurabile sia a titolo contrattuale, per violazione dei doveri discendenti da rapporto di mandato, sia a titolo extracontrattuale, alla stregua dei doveri di correttezza e di diligenza che gravano sugli istituti di credito per effetto della speciale disciplina, anche pubblicistica, cui sono soggetti”.

[104] Trib. Rieti, 19 marzo 1994, in GI, 1994, I, 2, 983, in cui si è affermato che, nell’ipotesi in cui il soggetto sponsorizzato effettui pubblicamente dichiarazioni lesive del buon nome e della reputazione commerciale dello sponsor, questo comportamento, oltre a risultare fonte di responsabilità contrattuale per inadempimento e giustificare quindi la risoluzione del contratto, costituisce altresì fonte di responsabilità extracontrattuale.

[105] Art 18 che dispone che il danneggiamento per sinistro causato dalla circolazione di un veicolo o di un natante per  i quali a norma della presente legge vi è l’obbligo di assicurazione ha azione diretta per il risarcimento del danno nei confronti dell’assicuratore, entro i limiti delle somme per le quali è stata stipulata l’assicurazione. Per l’intero massimale di polizza l’assicuratore non può opporre al danneggiato, che agisce direttamente nei suoi confronti, eccezioni derivanti dal contratto, né clausole che prevedano l’eventuale contributo dell’assicurato al risarcimento del danno. L’assicuratore  ha tuttavia diritto di rivalsa verso l’assicurato nella misura in cui avrebbe avuto contrattualmente diritto di rifiutare o ridurre la propria prestazione

[106] Cass. civ. sez. III, 15 gennaio 2003, n. 477 Puppatti c. Soc. Dolomiten Giovannini

[107] Trib. Catania, 25 ottobre 1988,  Giordano c. Mazzotta

[108] così Cass 31 maggio 2005 n. 11601

[109] Cfr. Cass. civ., sez. III, 25 settembre 1998 n. 9592, Censi c. Soc. Intercontinentale assicur

[110]senza che nessuna influenza possa attribuirsi, per derogare a quest’ultimo limite, al fatto che in sede penale, con sentenza passata in giudicato, l’assicuratore sia stato condannato quale responsabile civile, in solido con l’imputato assicurato, al risarcimento del danno in via generica nei confronti del danneggiato, giacché la solidarietà, disposta in via generale ed astratta dall’art. 538 c.p.p., non preclude ed, anzi, impone, l’accertamento, nei singoli casi concreti, del titolo in forza del quale ciascuno dei coobbligati è tenuto alla prestazione e se l’unicità di quest’ultima soffre o meno limitazioni per effetto di particolari disposizioni convenzionali o legali”, come si legge in Cass. civ., sez. III, 03 giugno 2002, n. 7993, Soc. Milano assicur. c. Versienti e altro

[111] Cass. civ., sez. III, 15 marzo 1994 n. 2442

[112] Cass. civ., 23 maggio 1988, n. 3559, Le assicuraz. d’Italia c. Vitiello

[113] Cass. civ. sez. III, 17 novembre 2003 n. 17372,  Lloyd Adriatico c. Angeletti

[114] Il successivo art. 47 c.str. classifica i veicoli, distinguendoli in a) veicoli a braccia; b) veicoli a trazione animale; c) velocipedi; d) slitte; e) ciclomotori; f) motoveicoli; g) autoveicoli; h) filoveicoli; i) rimorchi; l) macchine agricole; m) macchine operatrici; n) veicoli con caratteristiche atipiche.

[115] Pietrini c. Carbotti, Cass. civ. 18 marzo 1982, n. 1781, AGCS, 1982, 465; Lazzarini c. Scandurra, Cass.civ., 15 settembre 1981, n.5097, GCM, 1981.

[116] Imm. Torrazza Nuova c. RDC, Corte di Appello di Milano, 15 settembre 1978, AGCS, 1979, 182.

[117] Pozzi c. Società Elicopter, Cass. civ., 1 marzo 1986, n.1306, AGCS, 1987, 220; Vnot, 1986, 800.

[118] Soc. S.I.P.A.I. c. Cappellini, Cass. 24 marzo 1972, n. 924/72 e Cass. n. 557/56.

[119] Viviani c. Granese, Cass. 13 agosto 1989, n. 2383/60.

[120] Cass. n. 724/49.

[121] Vagnoni c. Di Buò, Cass. 27 febbraio 1980, n. 1378/80.

[122] A.T.A. N. c. Pergola, Cass. 20 novembre 1976, n. 4376/76.

[123] Bergamo c. Vismara, Cass. civ. 1 aprile 1980, n. 2111, Foro it., 1980, i, 1233.

[124] Iovinelli c. Califano, Cass. civ., 15 gennaio 1979, n.299, AGCS, 1979, 339.

[125] Piseroni c. Madoglio, Cass. 15 luglio 1972, n. 3617/72.

[126] Amicizia c. De Magistris, Cass. 7 luglio 1976, n. 4568/76.

[127] Piseroni c. Madoglio, Cass. 15 luglio 1972, n. 3617/72.

[128] Carradori c. Cipriani, Cass. 19 novembre 1979, n. 6043/79.

[129] De Rosa c. SAI,  Cass. 22 maggio 1980, n.3369, Arch.Civ. 1980, 554; AGCS, 1980, 454.

[130] Sacco c. Villone, Cass. civ. 7 febbraio 1979, n. 853, GCM, 1979.

[131] Darò c. Rinaldi, Cass. civ., 24 ottobre 1988, n. 5748, AGCS, 1989, 106.

[132] Cfr. Cass. civ., sez. III, 24 maggio 1993, n. 5831 Soc. Salvi c. Soc. Rebe

[133] Cass. 3 marzo 1998 n. 2331, Cass. 19 marzo 1997 n. 2424, Cass. 12 novembre 1996 n. 9874, Cass. 3 marzo 1995 n. 2471, Cass. 21 dicembre 1990 n. 12125

[134] cfr. anche Cass. 21 gennaio 2000 n. 681, Cass. civ., sez. III, 18 maggio 1999, n. 4801, Quaranta e altro c. Soc. Polaris assicur.

e App. Milano, 14 febbraio 2003 Padoan e altro c. Tassi

[135] Cfr. Paolucci, Il trasporto di persone, Torino, 1999, 2° ed., 225-226.

[136] Rinviando alla pubblicazioni del settore tra le quali ci permettiamo di indicare, anche per i riferimenti bibliografici la monografia di Andrea Castelnuovo e Alberto Avetta  “La responsabilità civile negli infortuni sul lavoro e nelle malattie professionali”, Iposa, Milano, 2003

[137] Il lavoratore per essere tutelato dall’assicurazione INAIL deve possedere i seguenti requisiti: essere adibito (in modo permanente o avventizio) ad una delle lavorazioni che la legge definisce rischiose; prestare opera manuale; svolgere la propria opera alle dipendenze e sotto la direzione altrui; percepire una retribuzione, in qualunque forma, anche in natura. Sono obbligati ad assicurarsi anche gli artigiani ed i lavoratori autonomi dell’agricoltura, i soci delle cooperative e di ogni altro tipo di società, anche di fatto, comunque denominata. Dal 16 marzo 2000 vanno, comunque, assicurati gli appartenenti all’area dirigenziale, i lavoratori parasubordinati, gli sportivi professionisti dipendenti. Dall’1 marzo 2001 sono assicurate anche le casalinghe.

Così stabilisce l’art 1 del T.U.: “é obbligatoria l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro delle persone le quali, nelle condizioni previste dal presente titolo, siano addette a macchine mosse non direttamente dalla persona che ne usa, ad apparecchi a pressione, ad apparecchi e impianti elettrici o termici, nonché delle persone comunque occupate in opifici, laboratori o in ambienti organizzati per lavori, opere o servizi, i quali comportino l’impiego di tali macchine, apparecchi o impianti.

L’obbligo dell’assicurazione ricorre altresì quando le macchine, gli apparecchi o gli impianti di cui al precedente comma siano adoperati anche in via transitoria o non servano direttamente ad operazioni attinenti all’esercizio dell’industria che forma oggetto di detti opifici o ambienti, ovvero siano adoperati dal personale comunque addetto alla vendita, per prova, presentazione pratica o esperimento.

L’assicurazione è inoltre obbligatoria anche quando non ricorrano le ipotesi di cui ai commi precedenti per le persone che, nelle condizioni previste dal presente titolo, siano addette ai lavori:

1) di costruzione, manutenzione, riparazione, demolizione di opere edili, comprese le stradali, le idrauliche e le opere pubbliche in genere; di rifinitura, pulitura, ornamento, riassetto delle opere stesse, di formazione di elementi prefabbricati per la realizzazione di opere edili, nonché ai lavori, sulle strade, di innaffiatura, spalatura della neve, potatura degli alberi e diserbo;

2) di messa in opera, manutenzione, riparazione, modificazione, rimozione degli impianti all’interno o all’esterno di edifici, di smontaggio, montaggio, manutenzione, riparazione, collaudo delle macchine, degli apparecchi, degli impianti di cui al primo comma;

3) di esecuzione, manutenzione o esercizio di opere o impianti per la bonifica o il miglioramento fondiario, per la sistemazione delle frane e dei bacini montani, per la regolazione o la derivazione di sorgenti, corsi o deflussi di acqua, compresi, nei lavori di manutenzione, il diserbo dei canali e il drenaggio in galleria;

4) di scavo a ciclo aperto o in sotterraneo; a lavori di qualsiasi genere eseguiti con uso di mine;

5) di costruzione, manutenzione, riparazione di ferrovie, tramvie, filovie, teleferiche e funivie o al loro esercizio;

6) di produzione o estrazione, di trasformazione, di approvvigionamento, di distribuzione del gas, dell’acqua, dell’energia elettrica, compresi quelli relativi alle aziende telegrafiche e radiotelegrafiche, telefoniche e radiotelefoniche e di televisione; di costruzione, riparazione, manutenzione e rimozione di linee e condotte; di collocamento, riparazione e rimozione di parafulmini;

7) di trasporto per via terrestre, quando si faccia uso di mezzi meccanici o animali;

8) per l’esercizio di magazzini di deposito di merci o materiali;

9) per l’esercizio di rimesse per la custodia di veicoli terrestri, nautici o aerei, nonché di posteggio anche all’aperto di mezzi meccanici;

10) di carico o scarico;

11) della navigazione marittima, lagunare, lacuale, fluviale ed aerea, eccettuato il personale di cui all’art. 34 del R.D.L. 20 agosto 1923, n. 2207, concernente norme per la navigazione aerea, convertito nella L. 31 gennaio 1926, n. 753;

12) della pesca esercitata con navi o con galleggianti, compresa la pesca comunque esercitata delle spugne, dei coralli, delle perle e del tonno; della vallicoltura, della miticoltura, della ostricoltura;

13) di produzione, trattamento, impiego o trasporto di sostanze o di prodotti esplosivi, esplodenti, infiammabili, tossici, corrosivi, caustici, radioattivi, nonché ai lavori relativi all’esercizio di aziende destinate a deposito e vendita di dette sostanze o prodotti; sono considerate materie infiammabili quelle sostanze che hanno un punto di infiammabilità inferiore a 125°C e, in ogni caso, i petroli greggi, gli olii minerali bianchi e gli olii minerali lubrificanti;

14) di taglio, riduzione di piante, di trasporto o getto di esse;

15) degli stabilimenti metallurgici e meccanici, comprese le fonderie;

16) delle concerie;

17) delle vetrerie e delle fabbriche di ceramiche;

18) delle miniere cave e torbiere e saline, compresi il trattamento e la lavorazione delle materie estratte, anche se effettuati in luogo di deposito;

19) di produzione del cemento, della calce, del gesso e dei laterizi;

20) di costruzione, demolizione, riparazione di navi o natanti, nonché ad operazioni di recupero di essi o del loro carico;

21) dei pubblici macelli o delle macellerie;

22) per l’estinzione di incendi, eccettuato il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;

23) per il servizio di salvataggio;

24) per il servizio di vigilanza privata, comprese le guardie giurate addette alla sorveglianza delle riserve di caccia e pesca;

25) per il servizio di nettezza urbana;

26) per l’allevamento, riproduzione e custodia degli animali, compresi i lavori nei giardini zoologici e negli acquari;

27) per l’allestimento, la prova o l’esecuzione di pubblici spettacoli, per l’allestimento o l’esercizio dei parchi di divertimento, escluse le persone addette ai servizi di sala dei locali cinematografici e teatrali (1);

28) per lo svolgimento di esperienze ed esercitazioni pratiche nei casi in cui al n. 5) dell’articolo 4 (2).

Sono considerati come addetti a macchine, apparecchi o impianti tutti coloro che compiono funzioni in dipendenza e per effetto delle quali sono esposti al pericolo di infortunio direttamente prodotto dalle macchine, apparecchi o impianti suddetti.

Sono pure considerate addette ai lavori di cui al primo comma del presente articolo le persone le quali, nelle condizioni previste dal presente titolo, sono comunque occupate dal datore di lavoro in lavori complementari o sussidiari, anche quando lavorino in locali diversi e separati da quelli in cui si svolge la lavorazione principale.

Sono altresì considerate addette ai lavori di cui ai numeri da 1) a 28) del presente articolo le persone le quali, nelle condizioni previste dall’art. 4, sono comunque occupate dal datore di lavoro anche in lavori complementari o sussidiari.

L’obbligo dell’assicurazione di cui al presente articolo non sussiste soltanto nel caso di attività lavorativa diretta unicamente a scopo domestico, salvo per i lavoratori appositamente assunti per la conduzione di automezzi ad uso familiare o privato.

Non rientrano nell’assicurazione del presente titolo le attività di cui al presente articolo quando siano svolte dall’imprenditore agricolo per conto e nell’interesse di aziende agricole o forestali, anche se i lavori siano eseguiti con l’impiego di macchine mosse da agente inanimato, ovvero non direttamente dalla persona che ne usa, le quali ricadono in quelle tutelate dal titolo secondo del presente decreto” (2).

(1) La Corte costituzionale con sentenza 21 marzo 1989, n. 137, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente numero, in relazione al successivo art. 4, n. 1, nella parte in cui non comprende tra le persone soggette all’assicurazione obbligatoria i ballerini e i tersicorei addetti all’allestimento, alla prova o all’esecuzione di pubblici spettacoli.

(2) La Corte costituzionale, con sentenza 7 aprile 1981, n. 55, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo, in relazione all’art. 4, n. 1, stesso testo unico, nella parte in cui non comprende nelle previsioni, di cui al terzo comma dell’art. 1 medesimo, le persone che siano comunque addette, in rapporto diretto con il pubblico, a servizio di cassa presso imprese, i cui dipendenti sono soggetti all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. La stessa Corte, con sentenza 19 dicembre 1985, n. 369, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827 ed 1 e 4 del presente decreto, nelle parti in cui non prevedono le assicurazioni obbligatorie a favore del lavoratore italiano operante all’estero alle dipendenze di impresa italiana. Infine, con sentenza 26 luglio 1988, n. 880, l’illegittimità costituzionale degli artt. 1 e 4, nelle parti in cui non prevedono l’assicurazione obbligatoria a favore degli artigiani italiani che lavorano all’estero.

[138] La Corte costituzionale, con sentenza 24 aprile 1986, n. 118, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui: a) non consente che, ai fini dell’esercizio dell’azione da parte dell’infortunato, l’accertamento del fatto di reato possa essere compiuto dal giudice civile anche nel caso in cui, non essendo stata promossa l’azione penale nei confronti del datore di lavoro o di un suo dipendente, vi sia provvedimento di archiviazione; b) non consente che, ai fini dell’esercizio dell’azione da parte dell’infortunato, l’accertamento del fatto di reato possa essere compiuto dal giudice civile anche nel caso in cui il procedimento penale, nei confronti del datore di lavoro o di un suo dipendente, si sia concluso con proscioglimento in sede istruttoria.

[139] La Corte Costituzionale, con sentenza 9 marzo 1967, n. 22, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo limitatamente ai commi terzo e quinto, nella parte in cui essi riproducono le norme dell’art. 4, terzo e quinto comma, del r.d. 1765/1935, anche esse dichiarate incostituzionali con la stessa sentenza. Il terzo e quinto comma del citato art. 4 del r.d. 17 agosto 1935, n. 1765, sono stati dichiarati incostituzionali, il primo nella parte in cui limita la responsabilità civile del datore di lavoro per infortunio sul lavoro derivante da reato, all’ipotesi in cui questo sia stato commesso dagli incaricati della direzione o sorveglianza del lavoro e non anche dagli altri dipendenti del cui fatto debba rispondere secondo il Codice Civile, e il secondo in quanto consente che il giudice possa accertare che il fatto che ha provocato l’infortunio costituisca reato soltanto nella ipotesi di estinzione dell’azione penale per morte dell’imputato o per amnistia, senza menzionare l’ipotesi di prescrizione del reato. Successivamente, la Corte, con sentenza 19 giugno 1981, n. 102, ha dichiarato: a) l’illegittimità costituzionale del combinato disposto dagli artt. 10 e 11, d.p.r. 30 giugno 1965, n. 1124, nella parte in cui preclude in sede civile l’esercizio del diritto di regresso dell’INAIL nei confronti del datore di lavoro qualora il processo penale promosso contro di lui o di un suo dipendente per il fatto dal quale l’infortunio è derivato si sia concluso con sentenza di assoluzione, malgrado che l’Istituto non sia stato posto in grado di partecipare al detto procedimento penale; b) l’illegittimità costituzionale del comma quinto dell’art. 10, d.p.r. n. 1124 del 1965, nella parte in cui non consente che, ai fini dell’esercizio del diritto di regresso dell’INAIL, l’accertamento del fatto reato possa essere compiuto dal giudice civile anche nei casi in cui il procedimento penale nei confronti del datore di lavoro o di un suo dipendente si sia concluso con proscioglimento in sede istruttoria o vi sia provvedimento di archiviazione; c) l’illegittimità costituzionale del combinato disposto dagli artt. 11 e 10, d.p.r. n. 1124 del 1965, nella parte in cui dispone che, nel giudizio civile di danno a carico del datore di lavoro per un infortunio di cui sia civilmente responsabile per fatto di un proprio dipendente, l’accertamento dei fatti materiali che furono oggetto di un giudizio penale sia vincolante anche nei confronti del datore di lavoro rimasto ad esso estraneo perché non posto in condizione di intervenire; d) l’illegittimità costituzionale, ex art. 27 legge n. 87 del 1953, del comma quinto dell’art. 10 del d.p.r. n. 1124 del 1965, nella parte in cui non consente che, ai fini dell’esercizio del diritto di regresso dell’INAIL, l’accertamento del fatto reato possa essere compiuto dal giudice civile anche nel caso in cui la sentenza di condanna penale non faccia stato nel giudizio civile instaurato dall’INAIL

[140] Corte Cost. 30 aprile 1986 n. 118, in Arch. Civ. 1986, 1060

[141] Cass 21 ottobre 1997 n. 10361

[142] Cass. 2 dicembre 1983 n.7224

[143] cfr la giurisprudenza degli anni ‘60 e ‘70 citata da Marando in “Le azioni di RC per infortuni sul lavoro e malattie professionali”, Milano, 1977, 64)

[144] cass. 13 luglio 1971 n.2287, Cass 21 giugno 1969 n.2236

[145] L’art. 68 del T.U. stabilisce che ”a decorrere dal quarto giorno successivo a quello in cui è avvenuto l’infortunio o si è manifestata la malattia professionale e fino a quando dura l’inabilità assoluta, che impedisca totalmente e di fatto all’infortunato di attendere al lavoro, è corrisposta all’infortunato stesso un’indennità giornaliera nella misura del sessanta per cento della retribuzione giornaliera calcolata secondo le disposizioni degli articoli da 116 a 120.  Ove la durata dell’inabilità, di cui al comma precedente, si prolunghi oltre i novanta giorni, anche non continuativi, la misura dell’indennità giornaliera è elevata, a decorrere dal novantunesimo giorno, al settantacinque per cento della retribuzione giornaliera calcolata secondo le disposizioni degli articoli da 116 a 120”. Dunque il periodo di franchigia corrisponde a 3 giorni di completa astensione dal lavoro oltre al giorno in cui si è verificato l’infortunio. Durante tale periodo la retribuzione è a carico del datore di lavoro che è obbligato a pagare per intero la giornata nella quale è avvenuto l’infortunio ed almeno il 60% della retribuzione (salvo migliori condizioni previste da contratti collettivi o individuali di lavoro) per i successivi tre giorni. A partire dal 4° sino al 90° giorno di astensione completa dal lavoro per inabilità temporanea assoluta, l’INAIL eroga il 60% della retribuzione media giornaliera calcolata sulla retribuzione lorda percepita dal lavoratore nei 15 giorni precedenti l’infortunio. Dal 91° giorno in poi la percentuale di cui sopra sale al 75%. Per specifiche categorie (artigiani, lavoratori agricoli autonomi e subordinati a tempo determinato, medici radiologi, ecc) il calcolo viene effettuato sulla base delle retribuzioni convenzionali stabilite con Decreto Ministeriale.

L’art. 73. Integra tale disposizione così recita:”il datore di lavoro è obbligato a corrispondere al lavoratore infortunato l’intera retribuzione per la giornata nella quale è avvenuto l’infortunio e il sessanta per cento della retribuzione stessa, salvo migliori condizioni previste da norme legislative e regolamentari, nonché da contratti collettivi o individuali di lavoro, per i giorni successivi fino a quando sussiste la carenza dell’assicurazione.”

[146] Sulle tappe della “questione INAIL” cfr.: Poletti, Danno alla salute e infortuni sul lavoro: dall’evoluzione giurisprudenziale alla riforma legislativa, in La valutazione del danno alla salute, a cura di Busnelli e Bargagna, 4° ed., Padova, 2001, 215 ss.;  Pirani, Danno biologico e rivalse INAIL prima della riforma di cui al D.lgs n. 38/2000, in Danno e responsabilità, 2000, 1264; Oliva e Bona, Il danno alla persona nella riforma INAIL: l’art. 13 del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38, in monateri, Bona, Oliva, Peccenini, Tullini, Il danno alla persona, Torino, 2000, Tomo II, 913 ss.;  Poletti, Ancora sulla reciproca estraneità tra il danno alla salute e le rendite previdenziali, in Resp. civ. prev., 1998, 374; Bile, Danno biologico e surrogazione dell’assicuratore sociale, in Danno e responsabilità, 1998, 733; Monateri-Bona, Il danno alla persona, Padova, 1998, 181 ss.; Vincenti, Azione di regresso ex articolo 11 testo unico del 1965 ed attuali limiti al recupero da parte dell’INAIL, in Riv. Giur. della Circolaz. e dei Trasp., n. 3/1997, 557 e ss; Salombrino, Indennizzo previdenziale, danno alla cenestesi lavorativa e diritto di surroga dell’assicuratore: un dibattito ancora aperto, in Riv. Giur. della Circolaz. e dei Trasp., 1997, n. 3, 612 e ss; Rodolfi, INAIL e INPS titolari dell’azione surrogatoria, ma l’indennizzo è a discrezione dei giudici, in Guida al Diritto-Sole 24-Ore, dossier mensile Aprile 1996, 29 e ss;  Franco, Diritto alla salute e responsabilità del datore di lavoro, Milano, 1995; Marando, Le azioni di rivalsa dell’Inail, in Resp. civ. e prev., 1995, 219; Alibrandi, Infortuni sul lavoro e malattie professionali, Milano, 1994; Ferrari Gennaro e Ferrari Giulia, Infortuni sul lavoro e malattie professionali, Padova, 1993; Navarretta, Capacità lavorativa generica, danno alla salute e nuovi rapporti tra responsabilità civile ed assicurazione sociale, in Resp. civ. e prev., 1992, 63; Assante, Diritto di surroga ex articolo 1916 cod. civ. e danno biologico alla luce della sentenza n. 356 del 1991 della Corte costituzionale, in Riv. Giur. della Circolaz. e dei Trasp., 1991, 102; Giannini, Riflessioni sulla sentenza della corte costituzionale n. 356 del 18 luglio 1991 in tema di esonero del datore di lavoro da responsabilità civile per gli infortuni e di surrogazione dell’assicuratore ex art. 1916 del codice civile, in Resp. civ. prev., 1991, 695; Poletti, Cronaca di un incontro annunciato: il danno alla salute e l’assicurazione contro gli infortuni, in Foro it., 1991, I, 1664; Poletti, Il danno biologico del lavoratore fra tutela previdenziale e responsabilità civile, in Foro it., 1991, 1, 3292.

[147] La giurisprudenza era oscillante tra le due posizioni: Pret. Milano, 28 settembre 1988 “Ove sussiste la responsabilità civile del datore di lavoro in caso di infortunio, al lavoratore che abbia subito una menomazione della integrità psicofisica, va riconosciuto, oltre al risarcimento del danno da invalidità permanente e il danno morale, anche il danno biologico derivante dalla lesione in sé della salute, quale presupposto di eventuali ulteriori pregiudizi patrimoniali e morali”; Pret. Firenze, 5 ottobre 1989 “Qualora sia stata accertata in sede penale la responsabilità del datore di lavoro in relazione all’infortunio occorso al dipendente, la determinazione del risarcimento spettante all’Inail ai sensi degli art. 10 e 11, t. u. 1124/1965, incontra come limite il complessivo ammontare del risarcimento che sarebbe effettivamente dovuto dal responsabile secondo le norme e gli ordinari criteri di liquidazione del danno vigenti nel campo delle responsabilità da fatto illecito; si dovrà pertanto tener conto, oltre che del danno patrimoniale, del danno non patrimoniale e di quello biologico”; Pret. Brescia, 31 maggio 1988 “Il lavoratore riconosciuto affetto da ipoacusia di natura professionale, costituendosi parte civile nel procedimento penale contro il datore di lavoro, può ottenere, oltre al risarcimento del danno patrimoniale e di quello morale, anche il risarcimento del danno biologico, o danno alla persona”; Pret. Roma, 14 giugno 1988 “Le misure che l’imprenditore deve adottare ai sensi dell’art. 2087 c. c. devono essere individuate anche con riferimento a posizioni di singoli lavoratori dotate di tratti di peculiarità; pertanto, nel caso in cui il lavoratore versi in una condizione patologica che ne determini una particolarissima vulnerabilità alla fatica, il datore di lavoro, in osservanza dei doveri di prudenza e diligenza, nonché delle norme tecniche e di esperienze di cui all’art. 2087 c. c., è tenuto ad attivarsi allo scopo di rintracciare un’adeguata collocazione al dipendente; la violazione di tale dovere determina per l’imprenditore un obbligo di risarcimento di danno, con riferimento non solo alla capacitàproduttiva di reddito del lavoratore, ma anche al cosiddetto danno biologico, inteso come menomazione dell’integrità psicofisica della persona in sé e per sé considerata, in quanto incidente sul <valore uomo in tutta la sua dimensione>”; Trib. Milano, 20 luglio 1990 “Il danno biologico subito dal dipendente a seguito di infortunio o di malattia professionale, rientra nella previsione dell’art. 10, d. p. r. 30 giugno 1965, n. 1124 e, pertanto, è indennizzato attraverso la liquidazione della rendita posta a carico dell’Inail, valendo anche in ordine ad esso il principio dell’esonero del datore di lavoro dal relativo risarcimento, salvo la sussistenza di specifiche ipotesi di responsabilità penale”; Pret. Livorno, 27 febbraio 1991 “Nel caso di malattia da lavoro, il risarcimento per danno biologico dovuto al lavoratore dal datore (ove ritenuto civilmente responsabile della malattia medesima), risulta dalla differenza – ragguagliata percentualmente al grado di invalidità accertato – tra la capitalizzazione della retribuzione mensile e la capitalizzazione della rendita corrisposta dall’Inail”.

[148] Gabrielli c. INAIL Corte cost., 15 febbraio 1991, n. 87, in Foro it., I, 1664, con nota di Poletti.

[149] [149], Salambat c. A.E.M. e Strobietto c. Ditta Emex Corte Cost., 18 luglio 1991, n. 356, in Foro it., 1991, I, 2347, con nota di De Marzo.

[150] Bracco c. Fall. soc. Axel Corte Cost., 27 dicembre 1991, n. 485, Giur. it. 1992, I,1, 794; Giust. Civ. 1992, I, 583; Dir. lav. 1992, II, 104.

[151] Corte Cost., 17 febbraio 1994, n. 37, Foro it., 1995, I, 84 (m), con nota di Castronono, Giur. it., 1995, I, 10, con nota di Nasi, Orient. giur. lav., 1994, 969, Dir. ed economia assicuraz., 1995, 307, con nota di Pontonio.

[152] Ed infatti la giurisprudenza si è assestata sull’intangibilità del danno biologico. Cfr. ex multis Cass. 16 giugno 2001, n. 8182 “In caso di operatività dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, l’esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per i danni occorsi al lavoratore infortunato e la limitazione dell’azione risarcitoria di quest’ultimo al cosiddetto danno differenziale nel caso di esclusione di detto esonero per la presenza di responsabilità di rilievo penale, a norma dell’art. 10 D.P.R. n. 1124 del 1965 e delle inerenti pronunce della Corte costituzionale, riguarda la sfera dell’ambito della copertura assicurativa, cioè il danno patrimoniale collegato alla riduzione della capacità lavorativa generica, e invece – in armonia con i principi ricavabili dalle sentenze della Corte costituzionale n. 356 e 485 del 1991 e con il conseguente nuovo orientamento della giurisprudenza ordinaria sui limiti della surroga dell’assicuratore – non riguarda il danno alla salute o biologico e il danno morale di cui all’art. 2059 cod. civ., entrambi di natura non patrimoniale, al cui integrale risarcimento il lavoratore ha diritto ove sussistano i presupposti della relativa responsabilità del datore di lavoro”.; Pret. Ischia 16 dicembre 1998: “la risarcibilità del danno biologico è sempre ammissibile nella ipotesi di violazione da parte del datore di lavoro degli obblighi previsti dall’art. 2087 c.c. Nel caso di infortunio sul lavoro non rileva la circostanza che il lavoratore infortunato sia stato indennizzato dall’Inail, non realizzandosi esonero di responsabilità, come previsto dall’art. 10 d.P.R. n. 1124 del 1965, in quanto la copertura assicurativa non ha ad oggetto il danno biologico. All’azione per il risarcimento del danno biologico non si può opporre l’esonero della responsabilità civile previsto dal d.P.R. n. 1124 del 1965 a favore del datore di lavoro”; Cass.15 settembre 1995 n. 9761 “A seguito delle sentenze della C. cost. n. 87, 356 e 485 del 1991, l’esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per i danni subiti dal lavoratore infortunato e la limitazione dell’azione risarcitoria di quest’ultimo al cosiddetto danno differenziale non riguardano quelle componenti del danno che non formano oggetto della copertura assicurativa, quali il danno alla salute, o biologico, ed il danno morale di cui all’art. 2059 c.c., l’integrale risarcimento dei quali può sempre essere richiesto autonomamente, e non a titolo di danno differenziale, indipendentemente dall’entità dell’indennizzo assicurativo, a nulla rilevando che quest’ultimo, in conseguenza dei peculiari criteri di determinazione sulla base di coefficienti predeterminati, superi il risarcimento astrattamente ottenibile secondo i criteri civilistici di liquidazione del danno patrimoniale, e restando esclusa, per la diversità del titolo e dei soggetti debitori, qualunque compensazione fra le somme dovute per l’uno e per l’altro dei titoli suddetti.; Trib. Parma 23 dicembre 1995 “Spetta al datore di lavoro risarcire autonomamente e per intero il danno biologico al lavoratore infortunato (indipendentemente dalla prestazione previdenziale da parte dell’Inail) in tutti i casi in cui si provi che l’infortunio o la malattia professionale sia addebitabile ad una colpa (anche se concorrente) dell’imprenditore o di qualsiasi suo sottoposto, di chi egli debba rispondere civilmente, determini o meno tale colpa una responsabilità penale, posto che per interpretazione della Corte costituzionale (sent. n. 87 e 356 del 1991), l’esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile di cui all’art. 10 d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, operante nell’ambito della copertura assicurativa obbligatoria, non ricomprende il danno predetto. Ad analoghe conclusioni si perviene nel caso in cui il datore di lavoro abbia stipulato una polizza che individui, quale oggetto della copertura assicurativa, una responsabilità civile modellata sul sistema risarcitorio ex art. 10, 11 d.P.R. n. 1124 del 1965”; Cass. 23 giugno 1992 n. 7663 “La regola dell’esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro, di cui all’art. 10 d. p. r. n. 1124 del 1965, non opera – alla luce dei principi enunciati dalla corte cost. con le sentenze n. 184 del 1986 e 356 del 1991 – con riguardo al risarcimento del danno biologico conseguente all’infortunio (nella specie, danno estetico) corrispondente ad una menomazione dell’integrità psicofisica della persona in sé considerata, autonomamente valutabile rispetto al danno patrimoniale derivante da una riduzione della capacità lavorativa e rispetto al danno non patrimoniale costituito dalla somma delle sofferenze fisiche e morali conseguenti alle lesioni subite”; Pret. Milano 5 marzo 1992 “Posto che l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, disciplinata dal d. p. r. 30 giugno 1965, n. 1124, ha per oggetto i soli danni patrimoniali, connessi alla menomazione della capacità lavorativa dell’infortunato, il datore di lavoro responsabile dell’infortunio è tenuto a risarcire integralmente, secondo le regole generali in materia di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, il danno morale e il danno biologico attinente a sfere diverse da quella lavorativa, a prescindere da qualunque indennizzo Inail eventualmente erogato, e senza che sia applicabile a tali tipi di danno l’esonero dalla responsabilità civile di cui all’art. 10 d. p. r. citato”; Pret. Livorno, 27 febbraio 1992 “L’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali non copre anche il danno biologico di per se stesso nella sua integralità, essendo volta a garantire la sola menomazione dell’attitudine al lavoro dell’assicurato; da ciò deriva che il datore di lavoro è tenuto al risarcimento integrale di tale specie di danno, operando l’esonero della responsabilità solo nei limiti in cui sussiste la copertura assicurativa e trovando applicazione, in mancanza, la responsabilità disciplinata dal codice civile”;

[153] la nuova disciplina ha innovato esclusivamente in materia di invalidità permanente, mentre nulla ha cambiato per quanto concerne l’inabilità temporanea assoluta per l’indennizzo della quale continueranno quindi ad essere erogate le indennità nelle stesse misure e con le medesime modalità previgenti. Continua ad applicarsi la disciplina originaria del T.U. anche per altre prestazioni assicurative come gli assegni per la “assistenza personale continuata”, gli “assegni di incollocabilità” , le “rendite di passaggioin caso di silicosi o asbestosi

[154] Nulla è stato modificato circa le prestazioni economiche ai superstiti in caso di morte dell’assicurato per causa lavorativa. Resta confermata pertanto, in caso di morte dell’assicurato per cause professionali, l’erogazione della rendita ai superstiti secondo la previgente disciplina prevista dal T.U. che conserva quindi contenuto di indennizzo del solo danno patrimoniale subito dai superstiti quale conseguenza diretta del loro rapporto di dipendenza economica con il defunto.

[155] Se al termine del periodo di inabilità temporanea non si rende ancora possibile l’accertamento medico-legale del danno biologico (come noto, occorre un certo periodo affinché si stabilizzino i postumi permanenti, perché il danneggiato deve giungere al “punto di non ritorno” in cui non si guarisce ulteriormente ne tuttavia si peggiora, o si dovrebbe peggiorare), è prevista l’erogazione di un indennizzo provvisoria, in vista di quella definitiva che dovrà poi essere effettuata non prima di sei mesi e non oltre un anno dalla ricezione della certificazione medica; il capitale definitivo non potrà comunque essere di importo inferiore a quello provvisorio, che in ogni caso non è ripetibile da parte dell’INAIL

[156] Cass. 20 giugno 1992 n.7577

[157] v. Cass. civ., sez. lav., 2 settembre 1995, n. 9285 Carino c. Fincantieri: “Il termine triennale di decadenza, di cui al comma 5 dell’art. 10 d.P.R. n. 1124 del 1965, opera solo relativamente al cosiddetto danno differenziale – ossia il danno patrimoniale eccedente quello coperto dall’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, al cui risarcimento il datore di lavoro è tenuto se l’infortunio e la malattia sono conseguenza di reato, non punibile a querela, commesso dal datore di lavoro o da coloro che egli ha incaricato della direzione o sorveglianza del lavoro – ma non anche per l’azione contestualmente promossa, ex art. 2087 c.c., per il risarcimento del danno biologico. Nel caso in cui l’azione penale non sia iniziata (compreso il caso della mancata apertura di un fascicolo penale) o non sia stato emesso decreto di archiviazione penale, il predetto termine di decadenza triennale decorre dalla data di estinzione, per prescrizione o per altra causa, del reato denunciato”. Pret. Torino, 14 giugno 1996, Suardi c. Soc. Generale ind. Magnesia: “Nel caso di danno biologico arrecato con la violazione dell’art. 2087 c.c., trattandosi di responsabilità contrattuale, si applica l’ordinario termine decennale di prescrizione ex art. 2946 c.c. In caso di malattie professionali progressivamente aggravatesi nel tempo, il diritto al risarcimento è frazionabile con ammissibilità della pretesa risarcitoria solo per la percentuale di invalidità protrattasi nel periodo infradecennale anche se la manifestazione della malattia è ultradecennale”. Cass. civ., sez. lav., 1 febbraio 1995, n. 1168 Az. municip. igiene urbana c. Calloni: “L’art. 2087 c.c., il quale fa carico al datore di lavoro di adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità del dipendente, introduce un dovere che trova fonte immediata e diretta del rapporto di lavoro, e la cui inosservanza, pertanto, ove sia stata causa di danno, può essere fatta valere dal dipendente medesimo con azione di risarcitoria contrattuale (nell’ordinario termine decennale di prescrizione), indipendentemente dal fatto che la violazione stessa integri estremi di reato, ovvero configuri anche un illecito aquiliano determinante l’esperibilità di azione extracontrattuale, in via concorrente, e, quindi, senza che l’eventuale preclusione di quest’ultima, come nel caso di decorso della prescrizione quinquennale, possa incidere sull’azione contrattuale”.

[158] Cfr. Campilongo, La r.c. del produttore, in la responsabilità civile, a cura di Cendon, Torino, 1998, Vol. XI, 527-528. Si noti che, come meglio emerge dall’analisi del limitation law inglese, l’impostazione data dal legislatore comunitario (artt. 10 e 11, direttiva 85/374/CEE) e ripresa nel d.p.r. 224/98 si ispira chiaramente al modello d’oltremanica, perlomeno nei suoi principi generali.

[159] Sul punto Silingardi e Morandi, La tutela del turista nella disciplina comunitaria, in Riv. Giur. Circolaz. Trasp., 1997, quadreno n. 28, 88 ss.; Vaccà, Commento agli articoli 14-19, in Viaggi, vacanze e circuiti tutto compreso. Commentario al decreto legislativo 17 marzo 1995 n. 111, in Nuove legge civili commentate, a cura di Roppo, 1997, 50.

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