Induzione indebita a dare e promettere utilità

art. 319-quater codice penale
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da sei anni a dieci anni e sei mesi.
Nei casi previsti dal primo comma, chi dà o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre anni.
La differenza fondamentale tra concussione ed induzione indebita sta nel fatto che nella prima figura vi è un abuso costrittivo del pubblico ufficiale, attuato mediante violenza o minaccia di un male ingiusto e notevole, da cui deriva una grave limitazione, seppur senza un totale annullamento, della libertà di autodeterminazione del destinatario.
Con il termine “induzione” si intende una persuasione, suggestione, pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario, il quale disponendo di più ampi margini decisionali, finisce con il prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta perché motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico: a differenza della concussione, qui viene punito anche il soggetto passivo indotto, sebbene con una pena più mite.
CASISTICA
CASO 1: Condannato per induzione indebita l’imputato che nella veste di intermediario, giudice tributario in quiescenza, ha prospettato ad un commercialista il rigetto del ricorso se non avesse pagato il 5% dell’importo contestato, in tal modo costringendo l’indicato patrocinatore a promettere, per conto delle ricorrenti, la somma di 15.000 Euro e quindi a versarne una parte, pari a 3.000 Euro, nelle sue mani. (Cass. pen. Sez. VI, 29/11/2018, n. 12203)
CASO 2: Condannati per il reato di induzione indebita due Marescialli della Guardia di Finanza, che abusando della loro qualità e dei loro poteri hanno indotto un imprenditore a promettere indebitamente il pagamento di un debito, rappresentandogli che, in caso contrario, avrebbero attivato dei controlli di polizia tributaria nei confronti della sua società. (Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 08-03-2018) 15-06-2018, n. 27723)

CASO 3 La condotta di sollecitazione, punita dal comma quarto dell’art. 322 cod. pen., si distingue sia da quella di costrizione (cui fa riferimento l’art. 317 cod. pen., nel testo modificato dall’art. 1, comma 75 legge n. 190 del 2012) che da quella di induzione (che caratterizza la nuova ipotesi delittuosa dell’art. 319 quater cod. pen, introdotta dalla medesima l. n. 190) in quanto si qualifica come una richiesta formulata dal pubblico agente senza esercitare pressioni o suggestioni che tendano a piegare ovvero a persuadere, sia pure allusivamente, il soggetto privato, alla cui libertà di scelta viene prospettato, su basi paritarie, un semplice scambio di favori, connotato dall’assenza sia di ogni tipo di minaccia diretta o indiretta sia, soprattutto, di ogni ulteriore abuso della qualità o dei poteri. (Nella specie, la Corte ha ritenuto che la sentenza impugnata avesse correttamente ravvisato la sussistenza del reato di cui al comma quarto dell’art. 322 cod. pen. con riferimento alla richiesta di danaro formulata tramite intermediario da un funzionario comunale ad un avvocato, la cui nomina era stata in precedenza caldeggiata dallo stesso funzionario al soggetto privato interessato ad una pratica cui l’agente era preposto quale responsabile del procedimento, e motivata anche con l’esigenza di percepire una retribuzione per la prestazione di una attività di supporto a quella svolta dal professionista in relazione all’ “iter” amministrativo). Cass. pen. Sez. VI Sent., 04/02/2014, n. 23004 (rv. 259951)

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