COVID-19: dai decreti legge di febbraio e marzo 2020, ai DPCM alle ordinanze regionali e sindacali

La Costituzione prevede come diritti inviolabili di tutti la libertà personale, la libertà di circolazione, la libertà di soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, la libertà di fare attività di impresa. Oggi ci troviamo a vivere (sopravvivere) con una enorme compressione di tutte queste libertà, ma si tratta di una compressione legittima perché la stessa Costituzione prevede che quelle libertà possano essere limitate per ragioni di sanità pubblica. Il bilanciamento tra l’esigenza di intervenire a tutela della sanità pubblica e la tutela delle fondamentali libertà individuali dei cittadini è assai delicato e credo sarà oggetto di tante riflessioni nei prossimi mesi e nei prossimi anni, oltre che di molte sentenze.

Oggi però la domanda che tutti ci facciamo è: da dove nasce il potere del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Presidente della Regione e del Sindaco di emanare provvedimenti che limitano la nostra libertà di circolazione e di lavoro nella maniera dettagliata che ci viene impartita da un paio di mesi ?

Nasce da due decreti legge, uno del 23 febbraio e uno del 25 marzo.

Che cos’è un decreto-legge?  E’ un atto normativo avente forza di legge adottato dal Governo, entra subito in vigore ma ha effetti provvisori che decadono se il Parlamento non lo converte in legge entro 60 giorni. La Costituzione prevede che il Governo possa adottare un decreto-legge soltanto “in casi straordinari di necessità e urgenza”, che sicuramente in questo momento sussistono in maniera clamorosa.   Molto spesso, troppo spesso in verità, ogni Governo ha adottato decreti legge anche senza conclamate esigenze di necessità e urgenza, ma questa è un’altra storia.

Il primo è il decreto-legge n. 6 del 23 febbraio 2020 (che il Parlamento ha convertito nella legge  n. 13 del 5 marzo): è stato in vigore fino al 25 marzo, quando è stato abrogato dal decreto-legge  n. 19 che lo ha sostituito.

Ecco cosa stabiliva il decreto-legge n° 6 di febbraio: “allo scopo di evitare il diffondersi del COVID-19 … le autorità competenti … sono tenute ad adottare ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica”.  Le misure erano quelle che abbiamo subito nel primo mese di emergenza:  applicazione di misure di quarantena e sorveglianza attiva, divieto di spostamento tra comuni,  limitazione all’accesso o sospensione dei servizi del trasporto, sospensione di ogni tipo di manifestazione-evento-riunione, sospensione dell’attività scolastica, chiusura musei, chiusura di tutte le attività commerciali  (salvo il commercio di beni di prima necessità), sospensione delle attività lavorative per le imprese (escluse quelle che erogano servizi essenziali e di pubblica utilità e quelle che possono essere svolte in modalità domiciliare), chiusura o limitazione dell’attività degli uffici pubblici, previsione che l’accesso ai servizi pubblici essenziali e agli esercizi commerciali per l’acquisto di beni di prima necessità sia condizionato all’utilizzo di dispositivi di protezione individuale o all’adozione di particolari misure di cautela.

I DPCM

Il decreto-legge di febbraio prevedeva che queste misure venissero adottate con DPCM (decreti del Presidente del Consiglio dei ministri) e che, nelle more della loro adozione da parte del Presidente del Consiglio, nei casi di estrema necessità ed urgenza esse potessero essere adottate da altre autorità in due ipotesi:

Art. 32 della legge n. 833 del 1978: le ordinanze di carattere contingibile e urgente in materia di sanità pubblica sono emesse dal Ministro della Salute (con efficacia estesa all’intero territorio nazionale, o  a una sua parte), dal presidente della giunta regionale (con efficacia estesa alla regione o a parte del suo territorio comprendente più comuni) e dal sindaco (con efficacia sul territorio comunale).

Art. 117 del decreto legislativo n. 112 del 1998 e Art.  50  del decreto legislativo n. 267 del 2000: in caso di emergenze sanitarie a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco.  In caso di emergenza che interessi il territorio di più comuni, ogni sindaco adotta le misure necessarie fino a quando non intervengano provvedimenti dello Stato o della regione. Ma quando l’emergenza supera il livello locale, i provvedimenti d’urgenza (ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza), spetta allo Stato o alle Regioni in ragione della dimensione dell’emergenza e dell’eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali.

Il DL 19 del 25 marzo 2020: nuove restrizioni

Così è stato tra il 23 febbraio e il 25 marzo, perché il 25 marzo è stato approvato un nuovo decreto-legge (il n. 19, che il Parlamento non ha ancora convertito in legge) che ha ristretto ancora di più i confini della nostra libertà: “Per contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus COVID-19, su specifiche parti del territorio nazionale ovvero, occorrendo, sulla totalità di esso, possono essere adottate una o più misure per periodi predeterminati (massimo 30 giorni, reiterabili e modificabili anche più volte fino al 31 luglio 2020) e con possibilità di modularne l’applicazione in aumento ovvero in diminuzione secondo l’andamento epidemiologico del virus”.

Ecco le più stringenti misure previste dal decreto-legge di marzo, che possono essere adottate “ secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio nazionale o sulla sua totalità”:  limitazione della circolazione delle persone, anche prevedendo limitazioni alla possibilità di allontanarsi dalla propria residenza, domicilio o dimora se non per spostamenti individuali limitati nel tempo e nello spazio o motivati da esigenze lavorative, da situazioni di necessità o urgenza, da motivi di salute o da altre specifiche ragioni;  chiusura di strade e parchi; limitazioni o divieto di allontanamento e di ingresso in territori comunali, provinciali o regionali, nonché rispetto al territorio nazionale; quarantena precauzionale per chi ha avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva aliano, con divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione;  limitazione o divieto delle riunioni o degli assembramenti in luoghi pubblici o aperti al pubblico;  limitazione o sospensione di manifestazioni o iniziative o riunioni ;  sospensione delle cerimonie civili e religiose, limitazione dell’ingresso nei luoghi destinati al culto;  chiusura di cinema, teatri, discoteche e analoghi;  sospensione di congressi e convegni; limitazione o sospensione di eventi e competizioni sportive, possibilità di disporre la chiusura temporanea di palestre e centri sportivi; limitazione o sospensione delle attività ludiche, ricreative, sportive e motorie all’aperto;   sospensione o soppressione di servizi di trasporto; sospensione dell’attività scolastica; limitazione o sospensione dei musei; limitazione della presenza fisica dei dipendenti negli uffici pubblici; limitazione o sospensione delle attività commerciali di vendita al dettaglio e dei mercati  (salvo generi alimentari e di prima necessità, ma sempre evitando assembramenti, con obbligo per il commerciante di garantire la distanza di sicurezza;  limitazione o sospensione delle attività di ristorazione, limitazione o sospensione di attività d’impresa o professionali  e di lavoro autonomo (con possibilità di esclusione dei servizi di pubblica necessità previa assunzione di protocolli di sicurezza anti-contagio, con distanze di sicurezza e/o strumenti di protezione individuale;  limitazione ai fiere e mercati, a eccezione di quelli necessari per assicurare la reperibilità dei generi agricoli, alimentari e di prima necessità;  divieti o limitazioni per gli accompagnatori dei pazienti nelle sale di attesa  degli ospedali e delle RSA.

Il decreto-legge di marzo stabilisce, come quello di febbraio, che le misure sono adottate dal Governo con DPCM, ma pone molti più vincoli ai presidenti delle regioni e ai sindaci rispetto a quello di febbraio.

Cosa può fare il Presidente della regione (“nelle more dell’adozione dei DPCM e con efficacia limitata fino alla loro adozione”) ?  In relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel territorio regionale, può introdurre misure ulteriormente restrittive tra quelle individuate dal decreto-legge (di cui ho fatto l’elenco riassuntivo poco sopra).  Cioè la Regione non può fare ordinanze e decreti che allarghino le maglie delle restrizioni imposte dal governo con i DPCM, perché può soltanto irrigidire ciò che è già assai rigido.

Cosa può fare invece il Sindaco ? Può sempre adottare ordinanze contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l’emergenza, ma queste ordinanze non possono essere in contrasto con le misure statali.   Il che significa, in sostanza, che il sindaco deve conformarsi ai DPCM emanati dal Governo e ai provvedimenti del Presidente della Regione: la norma di legge non dice che il sindaco può introdurre misure ulteriormente restrittive rispetto a quelle previste dal governo o dalla regione, dice semplicemente che le ordinanze del Comune “non possono essere in contrasto con le misure statali”.   Mentre, se vogliamo, il compito del presidente della regione è guidato perché la legge stabilisce che può soltanto restringere e non allargare le misure, per i sindaci c’è una cornice un po’ più evanescente, quella del “non contrasto con le misure statali”: sembra abbastanza chiaro che misure restrittive diverse e ulteriori (direi sia in allargamento sia in restrizione) rispetto a quelle stabilite dalla legge o dai DPCM difficilmente possano considerarsi tutte legittime: un bel grattacapo per i sindaci, senz’altro.

LE SANZIONI

Un brevissimo cenno su una questione molto complicata, quella delle sanzioni per chi non rispetti le misure.  Per ridurre ai minimi termini:

il decreto-legge di febbraio stabiliva che “il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è punito ai sensi dell’articolo 650 del codice penale” (è il reato di “inosservanza di un provvedimento dell’Autorità” che viene punito con l’arresto fino a tre mesi oppure con l’ammenda fino a a € 206),

il decreto-legge di marzo stabilisce che “salvo che il fatto costituisca reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento è punito con la sanzione amministrativa da  400 a 3.000 euro  e non si applicano le sanzioni contravvenzionali previste dall’articolo 650 del codice penale”. Se il mancato rispetto delle misure avviene con l’utilizzo di un veicolo le sanzioni sono aumentate fino a un terzo.

Quindi, se con il decreto-legge di febbraio la violazione comportava l’apertura sistematica di un fascicolo per notizie di reato a carico del trasgressore e quindi di un vero e proprio procedimento penale, con il decreto-legge di marzo la violazione di per sé è punita con una sanzione amministrativa pecuniaria.

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