COVID-19 E PROSPETTIVE DI RIFORMA DELLA RESPONSABILITA’ MEDICA
il medico e l’emergenza Covid 19 tra azioni di responsabilità civili e penali
RIFLESSIONI DELL’AVV ANDREA CASTELNUOVO
PER CONTO DI SNAMI NAZIONALE
(SINDACATO NAZIONALE AUTONOMO MEDICI – PRESIDENTE DOTT. ANGELO TESTA )
NOTA INVIATA A GOVERNO E CAMERE, 19 APRILE 2020
Quella determinata dal Covid-19 è una situazione di emergenza tale da sconvolgere, ora e nel prossimo futuro, tutte le linee guida e i parametri che in una situazione di normalità hanno retto il complesso sistema della responsabilità civile e penale del medico.
Una situazione di incertezza, di inarrestabile rincorrersi degli eventi in cui il medico si trova ad agire senza il normale conforto del sapere scientifico, delle buone pratiche stabili e condivise dalla comunità scientifica cui appartiene, senza le dotazioni per la protezione propria e del proprio paziente, di percorsi assestati tra territorio e ospedale.
Una situazione che però, è prevedibile, prima o poi finirà nelle aule di giustizia.
LO SCIACALLAGGIO
In un panorama già complesso e desolante abbiamo assistito, con una tempestività raccapricciante, a numerosi tentativi di sciacallaggio da parte di organizzazioni che paventavano e sollecitavano sui social e sul Web denunce penali e cause civili contro medici e ospedali, solleticando l’idea il diffondersi del virus che potesse essere ascritto a loro responsabilità: una follia che SNAMI ha immediatamente denunciato a numerosi ordini professionali forensi e alla Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato.
Il primo tema è quindi quello di impedire questa forma di pubblicità ingannevole, di viscido tentativo di accaparramento di clientela in spregio alle norme che disciplinano la deontologia e la professionalità della classe forense, di artificiosa implementazione di contenziosi giudiziari certamente infondati ma portatori di ulteriore sofferenza e di enormi costi economici e sociali: accanto alla nostra iniziativa di denuncia, abbiamo visto che pressoché tutti gli Ordini degli Avvocati e il Consiglio Nazionale Forense (oltre che tutte le rappresentanze ordinistiche, sindacali e scientifiche della classe medica) hanno preso le distanze dagli avvoltoi, stigmatizzandone l’attività e procedendo in maniera anche dura nei loro confronti.
Oltre a essere pubblicità ingannevole e pratica contraria a tutti i principi espressi dal codice deontologico forense, il tentativo di sciacallaggio può configurare anche fattispecie di reato, come minimo “pubblicazione e diffusione di notizie false esagerato tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico” (art 656 CP) e “procurato allarme” (art 658 CP).
SNAMI chiede pertanto che questo tipo di pratiche vengano tenute sotto costante controllo e rese oggetto di repressione immediata ed efficace da parte delle autorità giudiziarie e di controllo competenti.
LA RESPONSBILITA’
Il secondo tema è quello della responsabilità civile e penale del medico per fatti che si verifichino, con danno del paziente, in questo periodo di emergenza sanitaria.
La normativa attuale è in grado di far fronte a questa clamorosa emergenza ?
L’assetto penalistico (i reati di lesioni colpose e omicidio colposo, così come riformati dalla legge 24 del 2017) e quello civilistico (che si dipana tra responsabilità contrattuale delle strutture sanitarie pubbliche e private e dei medici professionisti, e responsabilità extracontrattuale dei medici dipendenti, con una dicotomia portata anch’essa dalla legge 24), sono strumenti idonei o rischiano di essere armi spuntate o armi troppo pericolose ?
Come trovare il punto di equilibrio tra l’esigenza di tutelare gli utenti del servizio sanitario nazionale, il servizio sanitario medesimo e il medico in un momento in cui tutti gli assetti ordinamentali sono stati scombussolati da un evento di portata epocale?
Abbiamo bisogno di normativa emergenziale oppure no?
SNAMI è a conoscenza del fatto che in questi giorni numerose proposte di modifica sono all’esame del Parlamento, secondo due linee direttrici: da una parte il tema della responsabilità delle strutture sanitarie nei confronti dei propri dipendenti (la Asl, l’azienda ospedaliera, la struttura privata sono datori di lavoro del proprio personale sanitario), dall’altra il tema dell’opportunità di limitare o radicalmente escludere la responsabilità del medico e delle strutture sanitarie per fatti connessi causalmente o anche solo cronologicamente all’emergenza Covid-19.
IL MEDICO QUALE DANNEGGIATO
L’infezione da Covid-19 contratta nell’esercizio dell’attività di medico è da considerarsi alla stregua di infortunio sul lavoro o magari addirittura di malattia professionale? E trova sufficiente copertura nella normativa vigente?
Probabilmente la risposta potrà essere positiva per i medici dipendenti di strutture pubblico private, qualche avvisaglia l’abbiamo rilevata da alcune notizie stampa che riportavano orientamenti espressi da uffici locali Inail.
Più problematico per il medico libero professionista (che non ha un datore di lavoro) e per il medico convenzionato con il SSN (che è parasubordinato, ha un datore di lavoro ma sfuggono per lui i caratteri della subordinazione e tutte le norme di tutela della dipendenza).
I canoni della responsabilità del datore di lavoro per la sicurezza e l’incolumità del proprio dipendente, che corre lungo le direttrici dell’articolo 2087 del codice civile e del testo unico 81/2008, potrebbero rivelarsi strumenti poco efficaci alla luce della estrema novità dell’emergenza che stiamo vivendo: prevedibilità, prevedibilità, misure idonee e assetti organizzativi sono criteri in base ai quali si può imputare una responsabilità al datore di lavoro pubblico o privato per fatti tanto nuovi ?
I modelli organizzativi ai sensi della legge 231/2001 sono tali da rendere esente, in caso di malattia o morte del medico dipendente, le aziende sanitarie private?
Quid, per le aziende sanitarie pubbliche?
Ma soprattutto che tipo di tutela per il libero professionista e per il medico convenzionato?
Abbiamo visto che le proposte di riforma sul tema tengono conto della estrema difficoltà di gestione di questa criticità inaspettata e inusitata e, fondamentalmente, sono nel senso di esonerare da responsabilità le persone fisiche che devono farsi carico, per ruolo, dell’emergenza.
Questa impostazione potrebbe essere accolta con favore, ferma restando la responsabilità della struttura. E fermo restando che quelle persone fisiche, quei pubblici dipendenti o quegli operatori privati, non si macchino di reati (abuso d’ufficio, omissione o ritardo di atti d’ufficio, per rimanere al minimo, fino ad arrivare a fatti veri propri di corruzione).
Oltre a quella politica, c’è una responsabilità penale e civile per la mala gestione del fenomeno, per la iniziale sottovalutazione, e i sistemi di imputazione di responsabilità esistenti sono idonei per gestire un fenomeno del genere?
A noi pare che non si possano e non si debbano costruire colpi di spugna perché questo sarebbe ingiusto e costituzionalmente illegittimo, con tutta probabilità.
E che invece si debbano costruire subito sistemi in cui vi sia l’assunzione da parte dello Stato (e/o delle regioni) di oneri di indennizzo e riparazione che prescindano da un accertamento di una specifica colpa: il medico infettato nell’esercizio delle proprie funzioni per effetto del virus merita sicuramente un equo ristoro, lo meritano i suoi congiunti ed eredi nel caso in cui egli sia caduto nell’esercizio del suo ministero. Senza addossare a questa particolare categoria di danneggiati peculiari oneri probatori o procedimentali.
Abbiamo letto nelle proposte di riforma che “Le condotte dei datori di lavoro di operatori sanitari e sociosanitari operanti nell’ambito o a causa dell’emergenza COVID-19, nonché le condotte dei soggetti preposti alla gestione della crisi sanitaria derivante dal contagio non determinano, in caso di danni agli stessi operatori o a terzi, responsabilità personale di ordine penale, civile, contabile e da rivalsa, se giustificate dalla necessità di garantire, sia pure con mezzi e modalità non sempre conformi agli standard di sicurezza, la continuità dell’assistenza sanitaria indifferibile sia in regime ospedaliero che territoriale e domiciliare. Dei danni accertati in relazione alle condotte di cui al comma 1, compresi quelli derivanti dall’insufficienza o inadeguatezza dei dispositivi di protezione individuale, risponde civilmente il solo ente di appartenenza del soggetto operante ferme restando, in caso di dolo, le responsabilità individuali”.
È fuor di dubbio che un colpo di spugna totale che impedisca qualsiasi tipo di valutazione delle condotte sarebbe non solo inopportuna ma costituzionalmente illegittima.
Ci pare anche che potrebbe meritare approvazione una riforma che preveda una soglia di esenzione, magari anche meno tranchant di quella che si legge in proposte come quella testé riportata, per i soggetti che si trova a gestire l’emergenza.
SNAMI tuttavia ritiene che, in aggiunta a queste considerazioni già oggetto di proposte di riforma, potrebbe farsene una ulteriore e propone un percorso aggiuntivo: istituire subito, a copertura degli eventi tutti connessi all’emergenza Covid-19, in favore di tutti gli esercenti le professioni sanitarie (senza distinzioni di sorta) un social security system: un sistema di indennizzo pubblico che prescinda dagli accertamenti tipici dei sistemi di responsabilità civile (fatto dannoso, nesso di causa, colpa o dolo) e che invece si configuri come indennizzo o equa riparazione su basi di responsabilità oggettiva.
Mutatis mutandis, tanto per fare un esempio, un sistema tipo quello previsto dalla legge 210 del 1992 sull’indennizzo per le complicanze irreversibili d vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati. Magari, con l’occasione, migliorando e semplificando i complessi percorsi amministrativi giudiziari che hanno connotato esperienze di quel genere.
RESPONSABILITA’ CIVILE E PENALE DEL MEDICO
RESPONSABILITA’ CIVILE
Fondamentalmente, al di là delle diverse formulazioni delle varie proposte di riforma di cui abbiamo letto, l’idea è quella di circoscrivere il più possibile responsabilità penale e civile del medico ai casi più gravi, inserendo l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo quale elemento essenziale della fattispecie: questo è sicuramente un punto essenziale che condividiamo.
Abbiamo letto di proposte di riforma di esenzione pressoché totale da responsabilità, per cui per il periodo di emergenza legato al contenimento dell’epidemia Covid-19 tutte le prestazioni rese da strutture private e pubbliche ed a tutti i loro dipendenti sanitario amministrativi sono considerate rese nel legittimo adempimento di un dovere, e in condizioni di forza maggiore e di stato di necessità, anche ove rese con mezzi e secondo modalità non sempre conformi ai normali standard di sicurezza o alle ordinarie procedure sanitarie e amministrative, in quanto giustificate dalla necessità di garantire la continuità dell’assistenza sanitaria e dell’attività amministrativa di supporto ad essa. Ciò è riferito sia alle specifiche prestazioni assistenziali dirette al Covid-19, che alla complessiva attività assistenziale e amministrativa che dall’emergenza Covid-19 abbia visto reso anomalo il proprio normale funzionamento.
Questo tipo di proposte vengono poi ulteriormente declinate limitando la responsabilità sia civile sia penale del medico al dolo (condotta volontariamente finalizzate alla lesione: statisticamente insignificante) e ad un criterio di colpa grave identificato con la “macroscopica, intenzionale ed ingiustificata violazione dei principi basilari che regolano la professione manageriale, sanitaria, amministrativa e tecnica”.
Altre proposte di riforma prevedono che per tutti gli eventi avversi che si siano verificati o abbiano trovato causa durante l’emergenza epidemiologica COVID-19, strutture sanitarie e medici (ma anche gli amministrativi) rispondano civilmente o per danno erariale solo per dolo o colpa grave (consistente nella macroscopica e ingiustificata violazione dei principi basilari che regolano la professione sanitaria o dei protocolli o programmi emergenziali predisposti per fronteggiare la situazione in essere; considerati la proporzione tra le risorse umane e materiali disponibili e il numero di pazienti su cui è necessario intervenire nonché il carattere eterogeneo della prestazione svolta in emergenza rispetto al livello di esperienza e di specializzazione del singolo operatore).
Concordiamo pienamente sul fatto che i giudici della responsabilità civile, quando si troveranno ad affrontare il contenzioso avente ad oggetto fatti verificatosi in questi momenti, dovranno tener conto della situazione che stiamo vivendo. Riteniamo pertanto giusto che questo dovere venga reso il più possibile cogente, con norme di diritto positivo il più possibile chiare e sottratte ad un eccesso ermeneutico.
Un primo aspetto di criticità che vogliamo rilevare, però è che un conto è giudicare fatti in cui il virus abbia avuto una qualche causalità o concausalità nella condotta oggetto di giudizio (magari, anche, “solo” per aver determinato una ineluttabile inefficienza di sistema), un conto è giudicare fatti in cui il virus è del tutto neutro. Non sarebbe giusto, ci pare, ne sarebbe politicamente corretto introdurre un colpo di spugna totale tale da coprire anche malpractices del tutto avulse dal tema coronavirus.
Pur essendo opportuna una migliore definizione del concetto di colpa grave che, insieme a quello inverso della colpa lieve, da sempre è oggetto di enorme dibattito nelle aule di giustizia ed è tutt’altro che sopito, il rischio che intravediamo è che questo tipo di contenziosi avranno non una facilitazione o una via preferenziale verso la soluzione, ma avranno invece ulteriori complicazioni proprio per le nuove definizioni e i nuovi paletti: il rischio cioè è che ci si ritrovi con un contenzioso ancora più complesso da gestire rispetto a quello che occorre gestire oggi con la normativa ordinaria, pur riformata nel 2017.
Un secondo tema è quello che bisognerà che i giudici considerino, e in questo il legislatore attuale che voi rappresentate e giusto si faccia carico di dare linee guida ben precise, il fatto che in questo momento di immensa emergenza i normali criteri di specializzazione e specialità della classe medica sono in subbuglio totale: neolaureati, medici in pensione sono stati reclutati in massa per far fronte all’emergenza; specialisti di ogni area e branche sono stati destinati ai reparti Covid pur senza avere esperienza e specifica formazione.
Per non parlare dei medici di medicina generale, di quelli di continuità assistenziale, di quelli del 118, che si sono trovati a gestire in prima linea un fenomeno essendo lasciati fondamentalmente del tutto soli e privi di mezzi: dai dispositivi di protezione individuale che ancora oggi non sono disponibili nella quantità e qualità necessarie, in linee guida precise, con sistemi di comunicazione informatica che rimetta in vera ed effettiva connessione col paziente e con le strutture sanitarie che si sono rivelati spesso addirittura fallaci se non inefficienti.
Quando si tratterà di giudicare l’operato di tutti questi medici, tra qualche mese o addirittura tra molti anni (perché la giustizia arriverà, ma non arriverà domani mattina), si sarà in grado di tener conto di queste circostanze e di dar loro la dovuta valenza scriminante, giustificativa, esimente limitativa di responsabilità?
È necessario che il giudice della responsabilità civile e penale del medico e in particolare del medico di medicina generale e di continuità assistenziale tenga ben presente il momento nel quale il fatto che egli si troverà ad esaminare e avvenuto in condizioni di criticissima emergenza: chiediamo dunque che il legislatore si faccia carico di impartire regole di giudizio tali per cui mai si valuti l’operato di un medico in condizioni completamente diverse da quelle ordinarie come se invece fosse stato tenuto in un momento normale. Chiediamo cioè che la condizione di emergenza, di incertezza, la scarsità di dotazioni tecniche, tecnologiche e scientifiche costituiscano una importante e insindacabile causa di esclusione della responsabilità o di limitazione tale da non far correre il rischio a nessun medico in prima linea di vedersi attribuita una responsabilità per fatti che prescindono dalla sua sfera di controllo.
Il sindacato non chiede un ingiusto colpo di spugna, non chiede la salvezza di chi abbia sbagliato con colpa grave, con intollerabile imperizia e/o imprudenza, ma ritiene che legislatore debba farsi carico di definire, ora per allora, criteri specifici in base ai quali i giudici non possano sbagliare, non possano cioè non tenere in considerazione la estrema precarietà del momento che stiamo vivendo.
Tornando all’esame delle proposte di riforma sulla responsabilità civile per i fatti avvenuti in questi momenti d’emergenza, il tema dell’elemento soggettivo della responsabilità (dolo e colpa) non è l’unico a dover esser tenuto in considerazione, perché anche altri temi sono meritevoli di valorizzazione e forse anche più importante. Ne evidenziamo alcuni, ponendoli all’attenzione del Governo e del Parlamento:
a) il tema della impossibilità definitiva o temporanea, totale o parziale, della prestazione (artt 1256 ss CC): nemo ad impossibilia tenetur dovrebbe essere il principio ispiratore della riforma al vostro esame, con una delineazione del perimetro e dell’area dell’impossibilità che sia di particolare efficacia scriminante, con la minor dose possibile di affidamento alla discrezionalità del giudice nel tratteggiarne le dimensioni;
b) il tema delle scriminante dello stato di necessità (art 54 CP) e dell’adempimento di un dovere o di un ordine legittimo della pubblica autorità (art 51 CP), con il loro effetto di causa di giustificazione anche in sede civile, oltre che penale;
c) il tema del risarcimento e della liquidazione del danno: si possono limitare le responsabilità, ma si possono anche limitare i risarcimenti ed è sicuramente più facile incidere su questo secondo corno della questione piuttosto che su quello dei criteri di imputazione della responsabilità. Istituire cap (ossia tetti risarcitori), istituire tabelle risarcitorie differenti rispetto a quelle ordinarie, per esempio. Oppure (in un tentativo di estrema semplificazione, onde evitare di introdurre nuovi sistemi e nuove regole), prendere quale parametro di riferimento quanto già previsto dal comma 5 dell’art 9 della legge 24 del 2017: quella norma, come noto, prevede una peculiare modalità di limitazione il quantum del risarcimento che potrebbe essere presa quale parametro di riferimento anche per disciplinare i gestori dei “danni da emergenza coronavirus”. La norma ha ad oggetto il giudizio di rivalsa, davanti alla Corte dei Conti, nei confronti del medico che abbia dato causa a un danno, risarcito dall’azienda, per dolo o colpa grave. Stabilisce che “ai fini della quantificazione del danno … si tiene conto delle situazioni di fatto di particolare difficoltà, anche di natura organizzativa, della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica, in cui l’esercente la professione sanitaria ha operato” e che “l’importo della condanna … per singolo evento, in caso di colpa grave, non può superare una somma pari al triplo del valore maggiore della retribuzione lorda o del corrispettivo convenzionale conseguiti nell’anno di inizio della condotta causa dell’evento o nell’anno immediatamente precedente o successivo.”
d) nulla osterebbe ad introdurre, ritagliandola sul momento emergenziale e per i fatti ad esso connesso, una norma di totale esenzione del medico da qualsivoglia responsabilità civile diretta nei confronti del danneggiato, allocandola invece alle strutture sanitarie pubbliche o private che siano: si farebbe comunque una valutazione del tema della colpa, magari introducendo una esenzione di responsabilità della struttura laddove la condotta del sanitario non superi la soglia della colpa grave (magari nella sua nuova forma “cifrata e tagliata” che abbiamo letto nei progetti di riforma). Dopo di che, si potrebbe anche introdurre una forma di rivalsa calmierata ai solo caso di dolo o colpa grave.
Alcune delle proposte di riforma di cui abbiamo letto istituiscono un doppio binario: da una parte strutture sanitarie e medici rispondono per dolo o colpa grave mentre gli amministratori e gestori delle strutture, per condotte proprie, rispondono soltanto per dolo: prevedono che si risponda di condotte gestionali o amministrative solo se dolosamente poste in essere in palese violazione dei principi basilari delle professioni del Servizio sanitario nazionale.
Un doppio binario che ci pare poco giustificabile alla luce del fatto che il fronte emergenziale riguarda tutti, sia i soggetti a capo dell’ente decisionale, sia quelli operativi, e emerge una certa illogicità nel trattare i primi con più favore rispetto ai secondi.
RESPONSABILITA’ PENALE
Abbiamo letto di varie proposte di riforma normativa della responsabilità penale per i reati di lesioni (art 590 CP) e di omicidio colposo (art 589 CP) commessi dall’esercente la professione sanitaria (art. 590 sexies CP, come introdotto dalla legge 24 del 2017).
Alcuni progetti di riforma prevedono che per tutti gli eventi avversi che si siano verificati od abbiano trovato causa durante l’emergenza epidemiologica COVID-19, la punibilità penale è limitata ai soli casi di colpa grave. La colpa si considera grave unicamente laddove consista nella macroscopica e ingiustificata violazione dei principi basilari che regolano la professione sanitaria o dei protocolli o programmi emergenziali eventualmente predisposti per fronteggiare la situazione in essere.
Altri progetti prevedono che per tutta la durata dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, l’esercente una professione sanitaria non è punibile per i reati di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale quando il profilo di colpa sia determinato da indisponibilità di mezzi o il soggetto abbia agito in situazione di urgenza allo scopo di salvaguardare la vita o l’integrità del paziente. Nei casi contemplati dal precedente periodo, qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, in deroga a quanto previsto dall’articolo 590-sexies, secondo comma, del codice penale, la punibilità è sempre esclusa».
È indubbio che introdurre un esplicito riferimento alla soglia della gravità della colpa per determinare la punibilità penale del medico costituisca un passo avanti, peraltro piuttosto in linea con le ultime indicazioni date dalla Corte di Cassazione, nell’opera di costruzione di una interpretazione condivisa del nuovo articolo 590 sexies CP introdotto dalla legge Gelli-Bianco 24 del 2017.
E’ però altrettanto indubbio, così come l’esperienza della normativa previgente insegna (il riferimento è alla riforma c.d Balduzzi del 2012), che introdurre in una norma penale concetti ondivaghi come la colpa lieve o la colpa grave normalmente non determina una situazione di migliore chiarezza ma lascia alle dinamiche decisionali di ogni singolo processo margini molto larghi di discrezionalità interpretativa.
Ben vengano, però, definizioni e paletti normativi che tengano conto degli stati di necessità o dell’impossibilità della prestazione che siano tali da scriminare condotte che, altrimenti e al di fuori della situazione emergenziale, potrebbero essere fonte di responsabilità.
Abbiamo anche letto di progetti di riforma che attribuiscono al medico la possibilità di avvalersi del gratuito patrocinio (cioè della possibilità di ottenere che il pagamento delle spese per la propria assistenza legale vengano sostituite dallo stato) in deroga ai limiti di reddito previsti dalla normativa vigente che attribuisce questo beneficio soltanto al di sotto di una certa soglia di reddito, molto bassa peraltro.
Non ci pare di aver letto di proposte di riforma che tocchino anche altri temi di rilevanza penalistica, che sottoponiamo all’urgente disamina di Governo e Parlamento.
Il riferimento è al reato previsto dall’articolo 328 CP, ossia l’omissione o il ritardo o rifiuto il compimento di atti d’ufficio: è evidente che si dovrà tenere in considerazione la situazione emergenziale nella eventuale valutazione della condotta di un medico di medicina generale di continuità assistenziale o del 118 (e anche del medico ospedaliero), qualora si tratti di valutare la sua condotta alla luce di questa fattispecie incriminatrice. I canoni ermeneutici ordinari però non ci paiono sufficienti e quindi si sottopone all’esame del legislatore l’opportunità di inserire criteri di esenzione o limitazione di responsabilità per impossibilità della prestazione o per stato di necessità.
Idem per quanto riguarda il reato di cui all’articolo 331 CP, interruzione di servizio pubblico di pubblica necessità