SOSPENSIONE ED INTERRUZIONE DELLA PRESCRIZIONE

SOSPENSIONE ED INTERRUZIONE

DELLA PRESCRIZIONE

Sommario.   7.1 La sospensione.  7.2. L’interruzione: casi e modalità operative (in particolare, l’eccezione di interruzione).  7.3.  Tipicità dei casi di interruzione della prescrizione.  7.4. La domanda giudiziale.  7.5. L’atto di costituzione in mora.  7.6. Il riconoscimento del diritto.  7.7. Le trattative stragiudiziali.

 

 

 

Scheda di sintesi

Tanto le cause di sospensione quanto quelle di interruzione della prescrizione sono determinate dal codice con carattere di tipicità e tassatività.

Le cause di sospensione della prescrizione si suddividono in due categorie, previste rispettivamente – con carattere di tassatività – dagli artt. 2941 e 2942 CC, a seconda che derivino il loro fondamento dai rapporti tra le parti o dalla condizione in cui si trova il titolare del diritto.

Nell’ambito del danno alla persona, le cause di sospensione più ricorrenti sono quelle relative ai rapporti tra le parti, ed in particolare poniamo l’accento sulla sospensione tra i coniugi, che opera nei casi di responsabilità civile per violazione dei doveri coniugali e nei casi di commissione di fatti illeciti e reati contro la persona posti in essere da un coniuge nei confronti dell’altro: detta causa di sospensione si applica ai coniugi separati ma non anche ai conviventi more uxorio. Può ricorrer anche l’ipotesi di sospensione di cui all’art. 2941 n. 8, quella dell’occultamento doloso dell’esistenza dell’obbligazione: ne ipotizziamo l’applicazione al caso in cui il danneggiato si sia trovato nell’impossibilità di esercitare il proprio diritto perché posto in insormontabili difficoltà probatorie dalla controparte.

Nel momento in cui il creditore abbandoni la propria inerzia e compia un atto d’esercizio del diritto, il timer del decorso prescrizionale non solo si blocca, ma viene “resettato” per ricominciare a decorrere nuovamente: è il fenomeno dell’interruzione della prescrizione da parte del titolare, previsto dall’art. 2943 c.c., che si determina con la notifica dell’atto giudiziario o con un atto di costituzione in mora (che – sostanziandosi in una intimazione o richiesta scritta di adempimento non soggetta a particolari modalità di trasmissione -  deve contenere l’indicazione del soggetto obbligato, l’esplicitazione di una pretesa ancorché non specificamente quantificata).

La natura recettizia dell’atto giudizio al fine interruttivo delal prescrizione impone che esso venga portato a conoscenza della controparte, la quale deve avere conoscenza (legale, non necessariamente effettiva) dell’atto giudiziale o stragiudiziale del creditore. Analisi dei problemi della notifica nulla e delle notifiche a “recettizietà attenuata” (art. 139 c.p.c., art. 140, art. 143, art. 149): se la notifica è valida ad incardinare il processo, essa non può non essere altrettanto valida a perseguire ogni fine sostanziale connesso, e quindi anche il fine interruttivo della prescrizione.

Dev’esservi completa identità tra il diritto azionato con la domanda ed il diritto la cui prescrizione si mira ad interrompere: questioni sul danno alla persona.

La valenza interruttiva degli atti giudiziari “conservativi” e delle domande introdotte in corso di giudizio.

L’art. 2944 stabilisce che la prescrizione è interrotta dal riconoscimento del diritto da parte di colui contro il quale il diritto stesso può essere fatto valere.

La questione delle trattative stragiudiziali: non hanno efficacia interruttiva della prescrizione né possono importare rinuncia tacita a far valere la prescrizione, perché non costituiscono fatti incompatibili in maniera assoluta con la volontà di avvalersi della causa estintiva dell’altrui diritto. Tuttavia  comportano l’interruzione della prescrizione quando presentino i requisiti di una formale costituzione in mora oppure quando dal comportamento di una delle parti risulti il riconoscimento del contrapposto diritto di credito.

L’art. 2945 disciplina gli effetti e la durata dell’interruzione, disponendo che per effetto dell’interruzione s’inizia un nuovo periodo di prescrizione; che se l’interruzione è avvenuta mediante la notifica di atto giudiziario, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio; e che se il processo si estingue, rimane fermo l’effetto interruttivo e il nuovo periodo di prescrizione comincia dalla data dell’atto interruttivo.

L’eccezione di interruzione è eccezione in senso lato e può quindi essere rilevata d’ufficio dal giudice in qualunque stato e grado del processo sulla base di prove ritualmente acquisite agli atti

A differenza della sospensione della prescrizione, la quale non ha effetto nei confronti degli altri debitori in solido, l’interruzione della prescrizione ha effetto contro i condebitori solidali del convenuto.

 

 

 

7.1.  La sospensione

 

L’inerzia del titolare del diritto, se protratta per il tempo determinato dalla legge, ha l’effetto di condurre ad estinzione il diritto. Ma deve trattarsi di un’inerzia imputabile al creditore al quale, altrimenti, non sarebbe giusto addossare l’effetto dirompente della prescrizione: in presenza di determinate situazioni l’inerzia del titolare trova infatti una giustificazione legale tale da escludere che si possa utilizzare al fine del computo del tempo prescrizionale tutto il periodo in cui si protragga la causa di giustificazione dell’inerzia.

Le cause di sospensione della prescrizione si suddividono in due categorie, previste rispettivamente dagli artt. 2941 e 2942 CC, a seconda che derivino il loro fondamento dai rapporti tra le parti o dalla condizione in cui si trova il titolare del diritto.

A norma dell’art. 2941 (Sospensione per rapporti tra le parti) la prescrizione rimane sospesa: 1) tra i coniugi; 2) tra chi esercita la potestà di cui all’art. 316 o i poteri a essa inerenti e le persone che vi sono sottoposte; 3) tra il tutore e il minore o l’interdetto soggetti alla tutela, finché non sia stato reso e approvato il conto finale , salvo quanto e disposto dall’art. 387 per le azioni relative alla tutela; 4) tra il curatore e il minore emancipato o l’inabilitato; 5) tra l’erede e l’eredità accettata con beneficio d’inventario;  6) tra le persone i cui beni sono sottoposti per legge o per provvedimento del giudice all’amministrazione altrui e quelle da cui l’amministrazione è esercitata, finché non sia stato reso e approvato definitivamente il conto; 7) tra le persone giuridiche e i loro amministratori, finché sono in carica, per le azioni di responsabilità contro di essi; 8) tra il debitore che ha dolosamente occultato l’esistenza del debito e il creditore, finché il dolo non sia stato scoperto.

L’art. 2942 (Sospensione per la condizione del titolare) dispone che la prescrizione rimane sospesa: 1) contro i minori non emancipati e gli interdetti per infermità di mente, per il tempo in cui non hanno rappresentante legale e per sei mesi successivi alla nomina del medesimo o alla cessazione dell’incapacità; 2) in tempo di guerra, contro i militari in servizio e gli appartenenti alle forze armate dello Stato e contro coloro che si trovano per ragioni di servizio al seguito delle forze stesse, per il tempo indicato dalle disposizioni delle leggi di guerra.

Tanto la Cassazione [1] quanto la Corte Costituzionale [2] hanno ritenuto infondata la questione di costituzionalità della norma di cui all’art. 2942 c.c. – sollevata con riferimento agli art. 2, 3, 10, 24 e 30 della Carta fondamentale – nella parte in cui non prevede la sospensione del corso della prescrizione in favore del minore in caso di inattività dei genitori esercenti la relativa potestà che versino, rispetto al predetto, in una situazione di conflitto di interessi (nella specie, per essersi reso responsabile del danno causato al minore un altro figlio, anch’egli minorenne), e di conseguente, mancata nomina, al minore stesso, di un curatore speciale da parte del giudice tutelare: dal combinato disposto di cui agli art. 320 e 321 c.c., può desumersi, difatti, anche con riferimento all’ipotesi in parola, la esistenza, in seno all’ordinamento, di un idoneo rimedio, costituito dalla facoltà di nomina di un curatore speciale, da parte del giudice tutelare, su istanza del figlio stesso, del p.m., o di uno dei parenti del minore. Il citato art. 2942 c.c. non può, inoltre, legittimamente ritenersi integrato, sul punto, dall’art. 6 della convenzione europea dei diritti dell’uomo, nella parte in cui tale norma prevede “il diritto di ogni persona alla tutela giurisdizionale dei propri diritti”, al fine di ritenere implicitamente recepito, in seno alla norma statuale, il principio di sospensione della prescrizione “de quo”.

La S.C. osservava che l’orientamento della Corte Costituzionale è nel senso di riconoscere al legislatore un’amplia discrezionalità nella disciplina della prescrizione come istituto sostanziale diretto alla certezza dei rapporti giuridici, mentre, nel caso in esame, viene in evidenza la diversa situazione di una condotta omissiva (e cioè del mancato esercizio dei mezzi di tutela e dell’interruzione del termine di prescrizione) da parte del soggetto preposto alla tutela del minore, e cioè il genitore esercente la patria potestà. Da tale situazione deriva certamente la lesione di un diritto soggettivo del minore (patrimoniale o non), ma non già per la mancanza dei mezzi di tutela, quanto piuttosto per il loro mancato esercizio. Il che può essere questione di responsabilità civile, non di legittimità costituzionale del mancato utilizzo.

Le cause di sospensione della prescrizione si caratterizzano per la tassatività dei casi previsti dalla legge. Il principio di tassatività è coerente con l’impostazione di stretta legalità cui risponde la disciplina dei termini prescrizionali: se ogni diritto, salvo specifiche eccezioni, «si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge» (art. 2934 c.c.), non è possibile riconoscere ipotesi di sospensione che non siano anch’esse espressamente regolate dalla legge.

Nell’ambito del danno alla persona, le cause di sospensione più ricorrenti sono quelle relative ai rapporti tra le parti, ed in particolare poniamo l’accento sulla sospensione tra i coniugi, che opera nei casi di responsabilità civile per violazione dei doveri coniugali [3], e nei casi di commissione di fatti illeciti e reati contro la persona posti in essere da un coniuge nei confronti dell’altro.

La norma trova applicazione anche durante il regime di separazione personale, il quale non implica il venir meno del rapporto di coniugio ma una mera attenuazione del vincolo [4].

Quanto invece ai rapporti more uxorio, la Corte Costituzionale nel 1998 [5] ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2941 n. 1 sollevata, in riferimento agli art. 2 e 3 Cost., dal Tribunale di Bolzano il quale riteneva sussistere un’irragionevole disparità di trattamento tra coniugi e conviventi more uxorio, dovendosi intendere la famiglia di fatto come formazione sociale nella quale si svolge la personalità dell’individuo.

La Consulta ha rivendicato il proprio potere di vagliare la legittimità costituzionale di ingiustificate omissioni nell’ambito di un’ipotesi già determinata da parte del legislatore, a patto che la norma richiamata costituisca un valido tertium comparationis, tale da rendere illegittima l’omissione e conseguentemente doverosa la sentenza additiva. Nel caso di specie però ha ravvisato la mancanza di un parametro costituzionale cui ancorare la pretesa d parificare la coppia di fatto alla coppia legale.

Il punto focale è che “la convivenza more uxorio è un rapporto di fatto, privo dei caratteri di stabilità e certezza e della reciprocità e corrispettività dei diritti e dei doveri (…) che nascono soltanto dal matrimonio e sono propri della famiglia legittima». Pertanto in tema di successione nel rapporto di locazione la corte ha ritenuto illegittima l’omessa estensione di certe norme anche a favore dei conviventi more uxorio … il rapporto coniugale implica, secondo quanto previsto dalla legge, una serie di potenzialità che non si esauriscono nel mero dato materiale della convivenza accompagnato dall’affectio pur verificabile anche nel rapporto more uxorio. I diritti e i doveri inerenti al matrimonio si caratterizzano per la certezza e la disciplina legale del rapporto su cui si fondano; e da ciò consegue che la non omogeneità delle due situazioni non consente di estendere dall’una all’altra le regole sulla sospensione della prescrizione”.

Essendo il fondamento della prescrizione da ricercarsi nel fine di conferire stabilità ai rapporti patrimoniali, essa – dice la Corte – non può che avere criteri applicativi permeati di certezza, quali possono essere quelli connessi all’esistenza o al venir meno di un vincolo giuridico quale il matrimonio.

Mentre le altre ipotesi di sospensione, tanto quelle previste dall’art 2941 quanto quelle di cui all’art. 2942, non presentano particolari problemi interpretativi ne peculiari interferenze con la materia che ci interessa, più interessante è l’ipotesi di sospensione di cui all’art. 2941 n. 8, che ricorre quando sia posto in essere dal debitore un comportamento intenzionalmente diretto ad occultare al creditore l’esistenza dell’obbligazione, a patto che si tratti di una condotta ingannatrice e fraudolenta tale da comportare per il creditore una vera e propria impossibilità di agire, e non anche una mera difficoltà [6] di accertamento del credito.

Affinché ricorra la fattispecie prevista dall’art. 2941 n. 8 è necessario che sussista un comportamento doloso del debitore, cioé una attività diretta intenzionalmente ad occultare al creditore la esistenza della obbligazione e che tale comportamento abbia ingenerato una situazione obiettiva che precluda al creditore stesso la possibilità di fare valere il proprio diritto.

Benché non constino precedenti giurisprudenziali editi sul punto, si potrebbe ipotizzare l’applicazione di siffatto istituto nei casi in cui il danneggiato si sia venuto a trovare nell’impossibilità di esercitare il proprio diritto perché posto in insormontabili difficoltà probatorie dalla controparte (che, per esempio, gli ha volontariamente negato l’acquisizione di documenti di sua pertinenza), in modo da rendergli impossibile l’individuazione di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie di tort, occultandogli così l’esistenza stessa dell’obbligazione risarcitoria: ci pare insomma che, in un caso del genere, accanto ad una responsabilità evidenziale in capo a chi consciamente crei all’avversario difficoltà di acquisizione probatoria, si possa profilare nei casi più gravi anche un’ipotesi di sospensione del decorso prescrizionale, non essendo giusto che il trascorrere del tempo vada a detrimento del soggetto al quale il debitore tenti di sfuggire avvalendosi proditoriamente della vicinanza con le prove della sua stessa qualifica di debitore.

Pensiamo ad un caso di responsabilità medica o ad un caso di responsabilità datoriale per una malattia professionale lungo-latente o di responsabilità del produttore di farmaci dannosi, in cui i documenti ed in genere gli elementi probatori della responsabilità sono nelle mani del debitore: nulla di più facile per un debitore in mala fede che occultare tali elementi al danneggiato, magari sviandolo verso altre infondate prospettive “d’accusa”, al fine di allontanare da sé la richiesta risarcitoria.

La giurisprudenza, che sul tema di nostro specifico interesse non si è pronunciata (come dicevamo, non risultano precedenti editi), è per la verità piuttosto selettiva nell’attribuire valenza sospensiva alle condotte del debitore, richiedendo che il debitore ponga in essere un comportamento che sia intenzionalmente diretto ad occultare al creditore l’esistenza dell’obbligazione e che si concretizzi in una condotta ingannatrice, fraudolenta e tale da comportare per il creditore una vera impossibilità di agire e non una mera difficoltà di accertamento del credito[7] .

Per esempio, con riferimento ad una lettera circolare delle FF.SS. s.p.a. in cui si sosteneva che l’attuazione del disposto dell’art. 17 legge n. 42 del 1979 richiedeva un apposito provvedimento, non di competenza aziendale, e che pertanto non avevano motivo di esistere i timori del personale in ordine alla decorrenza della prescrizione del credito per compenso del lavoro straordinario, la Cassazione [8] ha escluso trattarsi di occultamento del debito, benché si trattasse di atto idoneo ad indurre il creditore in buona fede a non esercitare il diritto di credito, semmai tale da dar luogo ad un riconoscimento del debito con l’efficacia interruttiva prevista dall’art. 2944 c.c.

 

 

7.2.  L’interruzione: casi e modalità operative (in particolare, l’eccezione di interruzione)

 

La prescrizione opera come sanzione per l’inerzia del titolar del diritto protrattasi per un determinato periodo di tempo. Nel momento in cui il creditore abbandoni la propria inerzia e compia un atto d’esercizio del diritto, il timer del decorso prescrizionale non solo si blocca, ma viene “resettato” per ricominciare a decorrere nuovamente: è il fenomeno dell’interruzione della prescrizione da parte del titolare, previsto dall’art. 2943 c.c.

La norma dispone che la prescrizione sia interrotta dalla notifica dell’atto con il quale si inizia un giudizio di cognizione, conservativo od esecutivo, dalla domanda proposta nel corso di un giudizio, quand’anche il giudice adito sia incompetente. La norma inoltre stabilisce che prescrizione sia interrotta da ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore e dall’atto notificato con il quale una parte, in presenza di compromesso o clausola compromissoria, dichiara la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la domanda e procede per quanto le spetta alla nomina degli arbitri.

La legge riconosce effetto interruttivo oltre che all’atto con cui il creditore esercita il diritto anche ad un particolare atti del debitore: l’art. 2944 (Interruzione per effetto di riconoscimento) stabilisce che la prescrizione è interrotta dal riconoscimento del diritto da parte di colui contro il quale il diritto stesso può essere fatto valere.

L’art. 2945 disciplina gli effetti e la durata dell’interruzione, disponendo che per effetto dell’interruzione s’inizia un nuovo periodo di prescrizione; che se l’interruzione è avvenuta mediante uno degli atti indicati dai primi due commi dell’art. 2943 (atto giudiziario), la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio; che se il processo si estingue, rimane fermo l’effetto interruttivo e il nuovo periodo di prescrizione comincia dalla data dell’atto interruttivo; che nel caso di arbitrato la prescrizione non corre dal momento della notificazione dell’atto contenente la domanda di arbitrato sino al momento in cui il lodo che definisce il giudizio non è più impugnabile o passa in giudicato la sentenza resa sull’impugnazione.

L’istituto dell’interruzione si differenzia da quello della sospensione sia sul piano sostanziale che processuale.

Sotto il primo profilo, quello del diritto sostanziale, mentre la sospensione ha l’effetto di aprire una parentesi nel decorso del termine, l’interruzione opera una netta cesura, rendendo del tutto irrilevante il periodo di tempo decorso antecedentemente all’atto idoneo al suo prodursi. In altri termini, l’atto interruttivo crea una vera e propria frattura [9] nella linea temporale che lo divide dall’evento dannoso, privando di ogni efficacia il tempo già trascorso e dando così luogo al decorso di un nuovo termine di prescrizione. Come infatti espressamente prevede il primo comma dell’art. 2945 c.c.per effetto dell’interruzione s’inizia un nuovo periodo di prescrizione”.

Anche sotto il profilo processuale l’interruzione si presenta quale istituto nettamente distinto dalla sospensione: come più volte la Suprema Corte ha avuto occasione di ribadire questi due istituti non si presentano in rapporto di progressività, con la conseguenza che l’eccezione d’interruzione della prescrizione non può ritenersi né equipollente né comprensiva rispetto a quella di sospensione [10].

L’onere probatorio del convenuto che eccepisca la prescrizione del diritto azionato nei suoi confronti è assolto con la deduzione del decorso del tempo anteriormente all’atto di citazione; se, però, l’attore dimostri di aver tempestivamente interrotto il corso della prescrizione, torna a gravare sul convenuto l’onere della prova della tardività dell’atto della costituzione in mora. Peraltro, l’interruzione della prescrizione, in replica all’eccezione di prescrizione formulata dal debitore, configura una controeccezione mirante a paralizzare l’eccezione avversaria, assimilabile ad un’eccezione in senso stretto, e, pertanto, il controeccipiente ha l’onere non solo di provare i fatti su cui si fonda, ma anche di controdedurli, non potendo essere rilevati d’ufficio dal giudice neppure se la prova del fatto è acquisita al processo [11].

Occorre avvertire che la giurisprudenza ha subito varie oscillazioni sulla questione della qualificazione quale eccezione o mera difesa, con netta prevalenza sino a poco fa della prima ipotesi: secondo Cass. civ., sez. I, 12 luglio 2002, n. 10137, D’Andrea c. Com. Pietrelcina “l’interruzione della prescrizione, in replica all’eccezione di prescrizione formulata dal debitore, configura una controeccezione mirante a paralizzare l’eccezione avversaria, assimilabile alle eccezioni in senso stretto, e pertanto il controeccipiente ha l’onere non solo di provare i fatti su cui essa si fonda ma anche di dedurli, o quanto meno è necessario che essi siano implicitamente contenuti nelle argomentazioni difensive da lui sviluppate, non potendo l’esistenza di atti interruttivi essere rilevata d’ufficio dal giudice, neppure se la prova di essi è contenuta in documenti prodotti in giudizio”.

Secondo Cass. civ., sez. III, 28 marzo 2000, n. 3726, Triunfo C. Com. Merano, invece: “l’interruzione della prescrizione costituisce oggetto di una difesa e non di un’eccezione in senso stretto, cosicchè il giudice deve rilevare d’ufficio i fatti che l’hanno determinata, se essi risultano da prove acquisite al processo, e non è necessario che la parte difendendosi dall’eccezione di prescrizione opponga espressamente la prima intervenuta interruzione. Ciò perchè la prescrizione si basa non solo sul passaggio del tempo, ma sul mancato esercizio del diritto per un tempo determinato, cosicchè quando il diritto è stato in precedenza esercitato, l’eccezione di prescrizione non è fondata e il giudice, dovendo applicare il diritto al fatto, deve dichiararlo”.

Una recente pronuncia delle Sezioni Unite, la n. 15661 del 9 giugno 2005, ha rimesso in discussione tutta la questione della natura di eccezione in senso lato o in senso stretto ossia non rilevabile d’ufficio, ed ha concluso per la prima prospettiva affermando il principio per cui l’eccezione di interruzione è eccezione in senso lato e può quindi essere rilevata d’ufficio dal giudice in qualunque stato e grado del processo sulla base di prove ritualmente acquisite agli atti.

La distinzione tra i due tipi di eccezione è data per presupposta nel nostro ordinamento processuale civile, che però non la definisce. L’art. 112 c.p.c., secondo cui il giudice non può pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti, è infatti una norma in bianco, ossia da completare in sede di applicazione quanto alla nozione di eccezione officiosa oppure riservata all’iniziativa di parte.

Sotto il profilo definitorio, la Corte ricorda come la semplice constatazione dei fatti posti dall’attore a base della propria pretesa venga considerata come “mera difesa” (non è stato accolto il termine “obiezione”, proposto dalla dottrina fra le due guerre) mentre l’ammissione di quei fatti modificativi, impeditivi o estintivi (ad es. il pagamento del debito), venga definita come “eccezione in senso lato”.

La sistemazione teorica della materia, che in passato aveva dato (e ancor oggi spesso dà) filo da torcere agli operatori, deriva da una precedente sentenza delle stesse  Sezioni Unite, la n. 1099 del 3 febbraio 1998 che così aveva chiaramente statuito: “Sotto un primo, generalissimo aspetto, per eccezione puo’ intendersi qualunque difesa della quale il convenuto si serva per ottenere il rigetto della domanda, quindi anche la semplice negazione dei fatti allegati ex adverso. Non di rado, infatti, lo stesso legislatore usa il termine eccezione per indicare la contestazione dei fatti costitutivi (v., ad esempio, gli artt. 1271, 1272, 1273, 1462, 1945, 1993 cod. civ.).

In un senso piu’ ristretto, l’eccezione identifica una particolare difesa consistente nella contrapposizione di fatti ai quali la legge attribuisce immediatamente e direttamente una autonoma identita’ modificativa, impeditiva o estintiva degli effetti del rapporto sul quale si fonda la domanda: l’attivita’ difensiva a cio’ diretta e’ considerata espressamente dall’art. 2697 cod. civ., sia pure con specifico riguardo alla distribuzione dell’onere della prova e, quindi, per fini che rilevano sul piano della fissazione di una regola finale di giudizio, non gia’ su quello della possibilita’ o meno, per il giudice, di valutare fatti del tipo suddetto indipendentemente dall’istanza di parte.

Infine, ed in senso ulteriormente ristretto, l’eccezione comprende soltanto la contrapposizione di quei fatti che senza escludere la sussistenza del rapporto implicato dalla domanda, sono tuttavia tali che, in loro presenza, risulti accordato al convenuto e disciplinato dal diritto sostanziale un potere rivolto ad impugnandum jus, ossia una potesta’ esercitabile al fine di far venir meno il diritto dell’avversario.

In questi casi il legislatore costruisce la fattispecie in modo tale che la presenza di determinate circostanze non ha una autonoma efficacia produttiva della nuova situazione sostanziale, ma la consegue solo per il tramite di una manifestazione di volonta’ dell’interessato, che da sola o, a seconda delle ipotesi, previo accertamento giurisdizionale dell’avvenuta costituzione della fattispecie medesima, si inserisce all’interno di questa. Per conseguire il risultato difensivo, non basta qui l’allegazione del fatto, ma occorre che l’interessato scelga se conservare la situazione giuridica esistente ovvero ottenere che, secondo la norma di previsione, si produca quella nuova: cio’ che, in ipotesi affermativa, postula il compimento di un apposito atto di manifestazione di volonta’ in tale senso, non diversamente da quanto accadrebbe qualora la parte, in luogo dell’esercizio in via di eccezione della potesta’ conferitagli dalla legge, vi provvedesse in via di azione. …

In relazione all’opzione difensiva del convenuto consistente nel contrapporre alla pretesa attorea fatti ai quali la legge attribuisce autonoma idoneità modificativa, impeditiva o estintiva degli effetti del rapporto sul quale la predetta pretesa si fonda, occorre distinguere il potere di allegazione da quello di rilevazione, posto che il primo compete esclusivamente alla parte e va esercitato nei tempi e nei modi previsti dal rito in concreto applicabile (pertanto sempre soggiacendo alle relative preclusioni e decadenze), mentre il secondo compete alla parte (e soggiace perciò alle preclusioni previste per le attività di parte) solo nei casi in cui la manifestazione della volontà della parte sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva (come nel caso di eccezioni corrispondenti alla titolarità di un’azione costitutiva), ovvero quando singole disposizioni espressamente prevedano come indispensabile l’iniziativa di parte, dovendosi in ogni altro caso ritenere la rilevabilità d’ufficio dei fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultanti dal materiale probatorio legittimamente acquisito, senza che, peraltro, ciò comporti un superamento del divieto di scienza privata del giudice o delle preclusioni e decadenze previste, atteso che il generale potere – dovere di rilievo d’ufficio delle eccezioni facente capo al giudice si traduce solo nell’attribuzione di rilevanza, ai fini della decisione di merito, a determinati fatti, sempre che la richiesta della parte in tal senso non sia strutturalmente necessaria o espressamente prevista, essendo però in entrambi i casi necessario che i predetti fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultino legittimamente acquisiti al processo e provati alla stregua della specifica disciplina processuale in concreto applicabile”.

Tornando all’eccezione di interruzione, prima [12] che la sentenza n. 1099 apportasse questi chiarimenti ma anche dopo [13] , la giurisprudenza  tendeva a qualificare la nostra eccezione come eccezione in senso stretto, semplicemente parlando di “controeccezione”, da opporre a quella, omogenea, di prescrizione.

Vi era un opposto indirizzo [14] che propugnava la rilevabilità d’ufficio, sulla considerazione che una volta che il convenuto abbia proposto l’eccezione di prescrizione, sia devolva automaticamente al giudice l’accertamento di ogni fatto relativo alla vicenda estintiva, compreso quello interruttivo, il cui rilievo è perciò sottratto all’iniziativa esclusiva della parte interessata.

La pronuncia delle Sezioni Unite del 2005 parte da una constatazione: che fra l’eccezione di prescrizione, eccezione in senso stretto per espressa disposizione di legge (art. 2938 c.c.) e la controeccezione di interruzione che invece non è definita dal legislatore, non sussiste una somiglianza tale da consentirne la stessa disciplina processuale: “l’attore, di fronte all’eccezione di prescrizione, non può considerarsi titolare di alcuna posizione soggettiva diversa da quella dedotta in giudizio ma semplicemente è in grado di contrapporre all’eccipiente un fatto dotato di efficacia interruttiva. L’interesse a giovarsi di questo atto è compreso nell’interesse sottostante il diritto azionato, né certo potrebbe sottostare ad una distinta azione costitutiva. Il legislatore collega immediatamente l’effetto interruttivo ai fatti previsti degli artt. 2943 e 2944 cod.civ. onde l’eccezione non amplia i termini della controversia ma concorre a realizzare l’ordinamento giuridico nell’orbita della domanda, su cui il giudice deve pronunciarsi, ossia prendendo in considerazione d’ufficio gli atti interruttivi. Spetta dunque a lui il decidere la questione di prescrizione, ritualmente introdotta dal convenuto attraverso l’eccezione di cui all’art. 2938, tenendo conto del fatto, anche dedotto in giudizio prima dell’eccezione, idoneo a produrre l’interruzione, qualora l’attore abbia affermato il proprio diritto ritualmente e rettamente provandone sussistenza e persistenza”.

A differenza della sospensione della prescrizione, la quale non ha effetto nei confronti degli altri debitori in solido (art. 1310, 2° comma, c. c.), l’interruzione della prescrizione, avvenuta con la notificazione dell’atto con cui si inizia il giudizio (art. 2943, 1° comma) permane fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio stesso (art. 2945, 2° comma) ed ha effetto contro i condebitori solidali del convenuto (art. 1310, 1° comma), e, quindi, contro tutte le persone alle quali sia imputabile il fatto dannoso (art. 2055, 1° comma) [15] ; tale effetto permanente che impedisce, nelle more processuali, l’inizio di un nuovo periodo di prescrizione, non trova deroga nell’ipotesi di interruzione del processo (nella specie, per la sopravvenuta dichiarazione di fallimento del debitore), restando escluso solo se il processo si estingue (art. 2945, 3° comma, c. c.) [16] .

 

7.3.  Tipicità dei casi di interruzione della prescrizione.

 

Il Codice civile distingue essenzialmente tra due tipi diversi di interruzione della prescrizione, quello che si regge su un atto del titolare del diritto (art. 2943 c.c.) e quello che promana dal “colui contro il quale il diritto stesso può essere fatto valere” (art. 2944 c.c.).

Mentre nel secondo caso si ha un solo modo di interruzione (il riconoscimento del diritto), le modalità con le quali il titolare del diritto può interrompere la prescrizione sono plurime: si va infatti dalla “notificazione dell’atto con il quale si inizia un giudizio” (art. 2943, 1° comma, c.c.) ad “ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore” (art. 2943, 3° comma, c.c.).

La genericità della previsione si presterebbe ad una interpretazione estensiva tale da far ritenere che le modalità di interruzione della prescrizione siano sostanzialmente atipiche. In realtà, la giurisprudenza è solita ribadire come in materia di atti interruttivi della prescrizione operi il principio di tassatività e di tipicità, non essendo così ammissibili cause di interruzione della prescrizione al di fuori delle ipotesi espressamente previste dagli art. 2943 e 2944 c.c [17].

Abbiamo visto come la questione della conoscenza/conoscibilità dell’esistenza e della titolarità del diritto abbia la propria influenza sul decorso della prescrizione [18], vuoi perché a ciò conduce l’art. 2935, secondo il quale la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, vuoi perché la materia che ci interessa è disciplinata (anche) dall’art. 2947: conoscenza e conoscibilità da parte del danneggiato attengono all’individuazione del dies a quo, sia perché possono integrare una di quelle cause giuridiche impeditive dell’esercizio del diritto cui l’art. 2935 condiziona il decorso della prescrizione, sia perché costituiscono l’elemento psicologico la cui sussistenza rende possibile al danneggiato l’intrapresa dall’azione giudiziaria.

Il principio di tassatività delle ipotesi di interruzione della prescrizione impedisce che si possa configurare il problema della conoscenza/conoscibilità alla stregua di ipotesi atipica di interruzione: la questione della conoscenza/conoscibilità in capo al danneggiato di tutti gli elementi del fatto illecito attiene all’inizio del decorso del termine prescrizionale, che non parte se non nel momento in cui si provi che la vittima sia stata in grado di riconoscere il danno e soprattutto di individuare il presunto responsabile.

7.4. La domanda giudiziale.

 

A norma dell’ 2943 il danneggiato interrompe la prescrizione notificando al responsabile l’atto di citazione se il processo si inizia col rito ordinario, il ricorso con pedissequo decreto di fissazione d’udienza se il processo si inizia col rito del lavoro (pensiamo alle azioni i risarcimento dei danni da infortuni sul lavoro e malattie professionali), ed ancora il ricorso con decreto di fissazione d’udienza laddove la fase di cognizione sia preceduta da una procedimento cautelare

In presenza di compromesso o di clausola compromissoria, il danneggiato interrompe la prescrizione con la notifica dell’atto di promovimento del giudizio arbitrale roponendo la domanda e nominando l’arbitro (o gli arbitri) di propria elezione.

Anche la presentazione dell’istanza di insinuazione del credito nel passivo fallimentare, essendo equiparabile all’atto con cui si inizia un giudizio (art. 94, r. d. 16 marzo 1942, n. 267), determina l’interruzione della prescrizione del credito medesimo con effetti permanenti fino alla chiusura della procedura concorsuale, in applicazione del principio generale fissato dall’art. 2945, 2° comma, c. c., e tale interruzione opera anche nei confronti del condebitore solidale del fallito, ai sensi dell’art. 1310, 1° comma, c. c., il quale riguarda ogni atto interruttivo, tanto ad effetti istantanei, quanto ad effetti permanenti [19].

Anche la notifica del ricorso e del pedissequo decreto del presidente del tribunale per l’accertamento tecnico preventivo, che rientra nella categoria dei giudizi conservativi [20], determinano l’interruzione della prescrizione fino al deposito della relazione scritta da parte del consulente.

L’effetto interruttivo della prescrizione è prodotto anche dalla domanda proposta nel corso di un giudizio di appello giacché l’art. 2943, comma 2, c.c. non richiede che essa sia proposta nel corso di un giudizio di primo grado [21].

L’effetto interruttivo della prescrizione derivante dalla domanda giudiziale, purchè idonea ad instaurare un valido rapporto processuale, perdura fino al passaggio in giudicato della sentenza definitiva del giudizio, non solo in merito, ma anche su questioni pregiudiziali di rito (giurisdizione, competenza, difetto di presupposti processuali), ovvero preliminari di merito (prescrizione), in quanto anch’essa suscettibile di passare in giudicato in senso formale[22].  L’estinzione del processo (sia o meno dichiarata dal giudice) elimina l’effetto permanente dell’interruzione della prescrizione prodotto dalla domanda giudiziale ai sensi dell’art. 2945 comma 2 c.c., ma non incide sull’effetto interruttivo istantaneo della medesima, con la conseguenza che la prescrizione ricomincia a decorrere dalla data di detta domanda[23].

La norma in esame stabilisce espressamente che l’effetto interruttivo si verifica anche se il giudice adito è incompetente. Per la giurisprudenza [24] non è un problema neppure se il giudice adito sia carente di giurisdizione.

Caratteristica fondamentale dell’atto giudiziario interruttivo della prescrizione ai sensi dell’art. 2943 c.c. è la sua natura recettizia, ossia l’esigenza che esso venga portato a conoscenza della controparte [25].

L’effetto interruttivo della prescrizione esige, per la propria produzione, che il debitore abbia conoscenza (legale, non necessariamente effettiva) dell’atto giudiziale o stragiudiziale del creditore; esso, pertanto, in ipotesi di domanda proposta nelle forme del processo del lavoro, non si produce con il deposito del ricorso presso la cancelleria del giudice adito ma con la notificazione dell’atto al convenuto [26].

La recettizietà implica che l’atto giudiziario non produca alcun effetto interruttivo del termine di prescrizione in caso di nullità della notificazione. Non si può escludere però che l’atto di citazione, anche se inidoneo ad instaurare un valido rapporto processuale per la nullità della notifica, possa valere come richiesta di adempimento idonea a realizzare la costituzione in mora e ad interrompere il decorso della prescrizione, sempre però che sussista la prova (il cui onere ricade sul creditore) della avvenuta ricezione o conoscenza dell’atto da parte del debitore, prova ricavabile anche aliunde [27] .

Quid iuris però nel caso in cui la notifica dell’atto venga effettuata con modalità del tutto valide sotto il profilo processuale ma che non garantiscono che il debitore ne abbia l’effettiva conoscenza ?

Il codice di rito prevede che le notifiche vengano effettuate dall’ufficiale giudiziario “mediante consegna al destinatario” (art. 137 c.p.c.): ove possibile a “mani proprie del destinatario, ovunque lo trovi nell’ambito della circoscrizione dell’ufficio giudiziario al quale e’ addetto” (art. 138), oppure “nel comune di residenza del destinatario, ricercandolo nella casa di abitazione o dove ha l’ufficio o esercita l’industria o il commercio” (art. 139).

Le norme citate prevedono poi una serie di rimedi per il caso in cui l’ufficiale giudiziario non riesca a consegnare effettivamente l’atto al destinatario:

l’art. 138 dispone che se il destinatario rifiuta di ricevere la copia, l’ufficiale giudiziario ne da’ atto nella relazione e la notificazione si considera fatta in mani proprie,

l’art. 139 dispone che se il destinatario non viene trovato sul luogo di residenza o domicilio, l’ufficiale giudiziario consegna copia dell’atto a una persona di famiglia o addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda, al portiere o a un vicino di casa che accetti di riceverla,

l’art. 140 che se non e’ possibile eseguire la consegna per irreperibilità o per incapacità o rifiuto delle persone indicate nell’articolo precedente, l’ufficiale giudiziario deposita la copia nella casa del comune dove la notificazione deve eseguirsi, affigge avviso del deposito alla porta dell’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario, e gliene da’ notizia per raccomandata con avviso di ricevimento: la notifica effettuata ai sensi dell’art. 140 si perfeziona con il compimento delle formalità previste, sicché in tale momento l’atto si intende portato a legale conoscenza del destinatario, essendo irrilevante le vicende che seguono la spedizione della raccomandata con avviso di ricevimento;

l’art. 143 prevede che la notifica a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti venga effettuata secondo la nota procedura di deposito ed affissione, e si ha per eseguita nel ventesimo giorno successivo a quello in cui sono compiute le formalità prescritte.

Ebbene in tutti questi casi, la notifica è perfettamente valida ed efficace al fine di instaurare il rapporto processuale ma, basandosi su presunzioni (“si considera”, “si intende”, etc.), non soddisfa ex professo l’esigenza che sia garantita l’effettiva consegna dell’atto al destinatario: tuttavia, se la notifica è valida ad incardinare il processo, essa non può non essere altrettanto valida a perseguire ogni fine sostanziale connesso, e quindi anche il fine interruttivo della prescrizione. Se così non fosse, sarebbe ravvisabile una grave lesione – di palese incostituzionalità – del diritto del creditore di avvalersi di una delle modalità con cui la legge gli consente di procurasi l’effetto interruttivo, quello della notifica della domanda giudiziale: se si imputasse al creditore, del tutto incolpevole e privo del potere di interferire sul meccanismo notificatorio che è atto proprio dell’ufficiale giudiziario, la mancata effettiva consegna dell’atto al debitore per esser stata eseguita la notifica con una delle modalità a “recettizietà attenuata” sopra menzionati, lo si priverebbe ingiustamente del mezzo principale con cui interrompere la prescrizione.

Con riferimento alle notifiche a mezzo servizio postale, per lungo tempo il problema si è presentato senza lasciare grandi possibilità di trovare una soluzione equa in favore dell’incolpevole creditore notificante, perché il tenore della legge non consentiva una interpretazione quale quella appena proposta con riferimento alle notifiche non in mani proprie, laddove invece è proprio il disposto di legge che impone la soluzione pro-creditore.

L’art. 149 c.p.c. dispone che, se non ne e’ fatto espresso divieto dalla legge, la notificazione può eseguirsi anche a mezzo del servizio postale. La norma fa implicito, ma pacifico, richiamo alla legge 20 novembre 1982, n. 890 (Notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari), il cui art. 4 dispone che solo l’avviso di ricevimento costituisce prova dell’eseguita notificazione. Ciò stava a significare che la notifica si perfezionava solo con l’avvenuta ricezione della notifica da parte del destinatario.

E’ stato solo di recente che la norma ha trovato, finalmente, un correttivo da parte del giudice delle leggi: la Corte Costituzionale, con sentenza n. 477 del 26 novembre 2002, ha dichiara l’illegittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 149 del codice di procedura civile e dell’art. 4, comma terzo, della legge, n. 890 nella parte in cui prevede che la notificazione si perfeziona, per il notificante, alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario anziché a quella, antecedente, di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario.

La norma si pone infatti in contrasto sia con la garanzia costituzionale del diritto di difesa, in quanto espone il notificante, pur incolpevole, al rischio del disservizio postale, sia con il principio di eguaglianza, in quanto – in materia di notificazioni di atti giudiziari o di ricorsi amministrativi – altre norme dell’ordinamento attribuiscono rilevanza esclusiva alla data di spedizione dell’atto.

La garanzia di conoscibilità dell’atto da parte del destinatario deve coordinarsi con l’interesse del notificante a non vedersi addebitato l’esito intempestivo di un procedimento notificatorio parzialmente sottratto ai suoi poteri di impulso, sicché la soluzione costituzionalmente obbligata della questione non può che esser quella desumibile dal “principio della sufficienza del compimento delle sole formalità che non sfuggono alla disponibilità del notificante”.

E’ per tale ragione,ha stabilito che gli effetti della notifica a mezzo posta devono essere ricollegati – per quanto riguarda il notificante – al solo compimento delle formalità a lui direttamente imposte dalla legge, ossia alla consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario, essendo la successiva attività di quest’ultimo sottratta in toto al controllo ed alla sfera di disponibilità del notificante medesimo. E’ invece sempre valido, per il destinatario, il principio del perfezionamento della notificazione solo alla data di ricezione dell’atto, attestata dall’avviso di ricevimento, con la conseguente decorrenza da quella stessa data di qualsiasi termine imposto al destinatario medesimo.

Rebus sic stantibus, ci pare debba trovare facile soluzione la questione dell’interruzione della prescrizione mediante notifica a mezzo posta: per il creditore notificante l’effetto interruttivo si perfeziona in concomitanza col perfezionarsi della notifica, osai con la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario.

Questa soluzione è stata accolta dal Tribunale di Roma [28], il quale sottolinea che “non appare possibile escludere l’operatività dei principi enunciati dalla Corte Costituzionale nella sentenza in parola, anche perché non è dato discernere, in mancanza di una normativa in proposito, effetti processuali ed effetti sui termini sostanziali collegati all’atto di citazione”.

Esiste anche un precedente in senso contrario – del tutto inaccoglibile poiché si pone in netto contrasto con le ragioni in base alle quali la Corte ha pronunciato la sentenza n. 477 – del Tribunale di Benevento [29] il quale così motiva: “L’effetto interrutivo della prescrizione…esige, per la propria produzione, che il debitore abbia conoscenza (legale, non necessariamente effettiva) dell’atto giudiziale del creditore, e cioè che questo sia portato nella sua sfera di conoscenza o conoscibilità, conformemente alla natura recettizia degli atti presi in considerazione dall’art. 2943 c.c.  Sotto tal profilo, la consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario, se vale ad impedire decadenze processuali per il notificante, non è sufficiente ad impedire l’effetto sostanziale della prescrizione, che presuppone la conoscenza o conoscibilità dell’atto da parte del destinatario, ed implica l’impossibilità di una scissione soggettiva del momento in cui l’effetto interruttivo si produce”.

La domanda giudiziale di risarcimento del danno vale ad interrompere la prescrizione solo in quanto venga proposta contro l’effettivo debitore e sia portata, quindi, a sua conoscenza, restando escluso che abbia effetto interruttivo la proposizione della domanda nei confronti di chi, estraneo in realtà al fatto produttivo del danno, sia stato erroneamente convenuto in giudizio dalla parte attrice, sulla quale incombe l’onere dell’esatta individuazione dei destinatari della propria pretesa, che resta quindi preclusa dalla prescrizione maturata nelle more del processo contro l’apparente responsabile[30]: compete infatti esclusivamente all’attore identificare i “destinatari” della propria pretesa giudiziaria (cfr. artt. 24 cost., 99 e 101 c.p.c.), salve le eccezioni espressamente previste, con carattere di eccezionalità, ex art. 14 preleggi, da particolari disposizioni (cfr., ad esempio, art. 102, comma 2, c.p.c., nonché art. 107 stesso codice). La conseguenza è che deve escludersi, in radice, che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno possa ritenersi interrotta con la chiamata in causa di un soggetto diverso, assolutamente estraneo al rapporto principale, certo essendo che sono atti interruttivi della prescrizione solo quelli comunque portati a conoscenza del debitore e non, certamente, quelli diretti contro terze persone (ancorché erroneamente ritenute reali debitori).

Restando sul tema della necessità che sia individuato il soggetto nei confronti del quale si interrompe il decorso della prescrizione, merita ricordare la dibattuta questione che si presenta in casi di coassicurazione [31] con clausola di delega, mediante la quale i coassicuratori conferiscono ad uno solo di essi l’incarico di compiere gli atti relativi allo svolgimento del rapporto assicurativo. La querelle concerne la valenza dell’atto di interruzione che l’assicurato-danneggiato invii al coassicuratore delegato: vale ad interrompere la prescrizione nei confronti di tutti i coassicuratori o no?

Sul punto, già da tempo oggetto di oscillazioni giurisprudenziali, annotiamo come con due recenti pronunce la Corte di Cassazione si sia contraddetta nello spazio di pochi mesi, lasciando sostanzialmente aperta la questione.

Secondo un primo orientamento [32] la clausola di delega abilita il delegato a ricevere l’atto di denuncia del sinistro con richiesta di liquidazione dell’indennizzo, con la conseguenza che l’atto medesimo interrompe la prescrizione anche con riferimento alla quota di indennizzo a carico dei coassicuratori deleganti; secondo altro orientamento[33], la clausola di delega, pure quando preveda che la denuncia di sinistro sia fatta al solo delegato, non interferisce con la limitazione di responsabilità di ciascun coassicuratore alla propria quota sicchè, salvo il caso di conferimento al delegato di rappresentanza con procura rilasciata a norma dell’art. 77 c.p.c., la citazione in giudizio del delegato non interrompe la prescrizione del diritto all’indennizzo nei confronti dei coassicuratori.

Nella coassicurazione, anche quando il contratto sia formalmente unico, si generano separati rapporti assicurativi, in relazione ai quali ciascun assicuratore è titolare di autonome posizioni sostanziali e processuali, rimanendo escluso il vincolo della solidarietà: dunque, escluso che si tratti di obbligazione solidale in quanto pacificamente (contrattualmente) divisa pro quota tra i vari coassicuratori, il delegato che venga citato in giudizio per il pagamento dell’intero indennizzo non sarà in effetti tenuto che per la propria quota. La clausola di delega per la gestione della polizza ha ad oggetto il compimento di tutti gli atti inerenti allo svolgimento del rapporto assicurativo, ma non interferisce con l’indicato regime e vale ad armonizzare il frazionamento della garanzia assicurativa con l’esigenza dello svolgimento unitario del rapporto [34].

L’art 2943 dispone che la prescrizione venga interrotta anche dalla domanda proposta nel corso di un giudizio.

In questo caso la recettizietà (nel senso stretto del portare la domanda a conoscenza della parte personalmente) viene talvolta ad attenuarsi, se si considera che la tipica domanda avanzata in corso di causa è la riconvenzionale: mentre nel rito del lavoro la memoria di risposta contenente la riconvenzionale viene notificata al ricorrente a cura della cancelleria, nel rito ordinario essa non è notificata ma semplicemente proposta con la comparsa di costituzione e risposta che il convenuto deposita: “l’art. 2943, c. c., nel prevedere l’efficacia interruttiva della prescrizione in relazione al compimento di atti giudiziali, si riferisce soltanto ad atti tipici e specificamente enumerati, quali l’atto introduttivo del giudizio ovvero la domanda riconvenzionale, non già a qualsiasi atto del processo genericamente considerato” [35].

Oltre alla riconvenzionale, possiamo poi pensare alla chiamata del terzo (che si notifica, nel rispetto dell’esigenza di recettizietà), e alla domanda formulata dal terzo interventore autonomo (che invece trova ingresso nel processo con il mero deposito).

Nei casi dubbi, la giurisprudenza oscilla tra un certo rigore, per cui “la comparsa conclusionale, in cui è tardivamente manifestata la pretesa del creditore, non equivale alla domanda proposta all’inizio o nel corso del giudizio e perciò non rientra nelle previsioni dei primi due commi dell’art. 2943 c. c.; essa, in quanto non notificata personalmente alla controparte, non equivale neppure all’atto di costituzione in mora di cui al 4° comma dell’art. citato e perciò non serve ad interrompere la prescrizione del credito[36], ed un orientamento più largheggiante, per cui, per esempio, “nel rito del lavoro la produzione in giudizio mediante deposito in cancelleria, in allegato al ricorso introduttivo, di documenti contenenti una richiesta di pagamento rivolta alla controparte, vale ad interrompere la prescrizione del credito azionato, senza necessità che i documenti stessi vengano notificati unitamente al ricorso[37].

Non ogni domanda giudiziale ha effetto interruttivo della prescrizione, ma solo quella con cui si chiede il riconoscimento e la tutela del diritto rispetto al quale si eccepisca la prescrizione, il che significa che dev’esservi completa identità tra il diritto azionato con la domanda (identificata sotto il profilo soggettivo dalle parti, e sotto il profilo oggettivo da petitum e causa petendi) ed il diritto la cui prescrizione si mira ad interrompere: insegna infatti la giurisprudenza che “non si può riconoscere effetto interruttivo della prescrizione al risarcimento del danno conseguente ad occupazione appropriativa, nè al ricorso proposto al TAR per ottenere l’annullamento del decreto di esproprio e degli atti presupposti e consequenziali (facendosi, con questo valere non un diritto soggettivo, ma un interesse legittimo), nè alla domanda giudiziale con la quale venga proposta opposizione alla stima, essendo il diritto al risarcimento del danno ed il diritto alla indennità di occupazione e di espropriazione, entità ontologicamente diverse, dipendendo la loro origine, da fonti diverse[38] e che “non ogni domanda ha effetto interruttivo della prescrizione, ma soltanto quella con cui l’attore chiede il riconoscimento e la tutela giuridica del diritto del quale si eccepisca poi la prescrizione. pertanto, la domanda proposta per chiedere l’adempimento di un’obbligazione per legge, o per convenzione o per atto dell’autorità non vale ad interrompere la prescrizione dell’azione, successivamente esperita, di arricchimento senza causa[39].

Laddove insorgano dubbi sull’identità tra il diritto al risarcimento fatto valere in domanda e quello della cui prescrizione si discute, nel settore di nostro interesse è necessario intendersi sulla nozione dei danni, perché si possono verificar svariate ipotesi: l’attore potrebbe aver domandato il risarcimento del danno biologico permanente ma non anche del danno biologico temporaneo, o il risarcimento del danno morale ma non dell’esistenziale, oppure potrebbe aver formulato una domanda ad ampio spettro (chiedendo il ristoro dei ”danni tutti subiti”) e magari aver poi specificato e distinto la domanda articolando e distinguendo le  varie voci di danno.

In linea di massima il principio cardine è quello dell’infrazionabilità del procedimento di liquidazione, derivante dal carattere strutturalmente unitario del diritto al risarcimento del danno, che però non opera qualora con l’unica domanda siano state chieste specifiche somme per le singole voci di danno che conservano una loro autonomia ai fini liquidatori nell’ambito dell’ unicità del diritto risarcitorio [40] : “in tema di risarcimento dei danni da responsabilità civile, la domanda di risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, proposta dal danneggiato nei confronti del soggetto responsabile, comprende necessariamente anche la richiesta volta al risarcimento del danno biologico anche se non dovesse contenere alcuna precisazione in tal senso, in quanto la domanda, per la sua onnicomprensività, esprime la volontà di riferirsi ad ogni possibile voce di danno. Ne consegue che solo nel caso in cui nell’atto di citazione siano indicate specifiche voci di danno, e tra esse non sia indicata quella relativa al danno biologico, l’eventuale domanda proposta in appello costituisce domanda nuova, e come tale inammissibile” [41] .

A questo punto, secondo un primo orientamento, “ricorre la fattispecie processuale della “emendatio libelli”, e non anche della (non consentita) “mutatio”, nella ipotesi di originaria specificazione del danno in determinate voci, e di successiva deduzione, nel corso del medesimo grado di giudizio, di voci ulteriori, con correlativo ampliamento del “petitum mediato”, ma all’esito di una variazione nella sola estensione del “petitum” immediato, ferma restandone l’identità e l’individualità ontologica. Le varie voci di danno non integrano, pertanto, una pluralità e diversità strutturale di “petitum”, ma ne costituiscono soltanto delle articolazioni (o “categorie” interne) quanto alla sua specificazione quantitativa” [42].

Secondo un opposto orientamento, invece, “non è possibile estendere al danno biologico il principio secondo il quale ricorre la fattispecie processuale dell’”emandatio libelli” nell’ipotesi di originaria specificazione del danno in determinate voci e di successiva deduzione, nel corso del medesimo grado di giudizio, di ulteriori voci con ampliamento del “petitum” mediato, invariato rimanendo il “petitum” immediato. Infatti il danno biologico costituisce un “tertium genus”, sicchè la relativa richiesta introduce un nuovo tema di indagine e di decisione in qualunque grado del giudizio intervenga e concreta, perciò, una inammissibile “”mutatio libelli”" anche se non formulata nel corso giudizio di primo grado” [43].

Il primo dei due orientamenti ci pare preferibile per due ordini di ragioni: perché è aderente al principio della struttura unitaria del diritto al risarcimento del danno, e soprattutto perché è più compatibile dell’altro con la nuova teorica del danno non patrimoniale: non è più condivisibile il parlare di danno biologico come tertium genus, riecheggiando la tradizionale tripartizione del danno (patrimoniale, morale, biologico) dopo che le sentenze gemelle del 2003 hanno riportato la categorizzazione dei danni ad un sistema bipartito patrimoniale/non patrimoniale, il primo ricondotto nel 2043, il secondo in un 2059 riempito di contenuti nuovi (il biologico, l’esistenziale, il morale subiettivo e quant’altro valga oggi a specificare il contenitore del danno non patrimoniale costituzionalizzato).

La norma in esame riconosce efficacia interruttiva ai giudizi conservativi, tra i quali abbiamo citato l’ A.T.P. ed i sequestri, e ricordiamo ora l’azione revocatoria [44] in rapporto al diritto di credito e, nella sostanza, l’azione di simulazione [45] .

Merita annotare un orientamento della Cassazione [46] che individua funzione conservativa nel giudizio davanti al TAR per l’annullamento dell’atto amministrativo illegittimo rispetto al diritto al risarcimento del danno:e ebbene, rispetto al diritto al risarcimento del danno derivato dall’esecuzione di provvedimenti illegittimi della p.a., la domanda che il privato propone al giudice amministrativo per ottenere l’annullamento di tali provvedimenti determina l’interruzione della prescrizione, fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce quel giudizio.

Tradizionalmente, prima che con la nota sentenza n. 500 del 1999 la Cassazione assestasse uno scossone alla necessaria pregiudiziale amministrativa sul diritto al ristoro del danno, si affermava che, se il privato è titolare di una situazione di diritto soggettivo e la pubblica amministrazione adotta un provvedimento il cui effetto giuridico consiste nel determinare l’estinzione di quel diritto, il privato deve prima ottenere l’annullamento del provvedimento illegittimo dal giudice amministrativo e solo dopo che la situazione soggettiva è restituita alla condizione originaria può agire per ottenere dal giudice ordinario il risarcimento del danno per il pregiudizio che l’esecuzione del provvedimento gli ha cagionato. Secondo questa impostazione, il privato può agire per il risarcimento del danno solo quando, annullato il provvedimento, è messo nella condizione di poter far valere come danno ingiusto il pregiudizio arrecato ad una situazione giuridica, che solo l’annullamento del provvedimento ablatorio consente ancora di qualificare come diritto soggettivo.

La sentenza n. 500 però ha ribaltato quella prospettazione, insegnano che “l’azione di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. nei confronti della P.A. per esercizio illegittimo della funzione pubblica bene è proposta davanti al giudice ordinario, quale giudice al quale spetta, in linea di principio” – secondo la disciplina del riparto delle giurisdizioni anteriore al D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 – “la competenza giurisdizionale a conoscere di questioni di diritto soggettivo, poiché tale natura esibisce il diritto al risarcimento del danno, che è diritto distinto dalla posizione giuridica soggettiva la cui lesione è fonte di danno ingiusto (che può avere, indifferentemente, natura di diritto soggettivo, di interesse legittimo, nelle sue varie figure correlate alle diverse forme di protezione, o di interesse comunque rilevante per l’ordinamento)“; quindi “rispetto al giudizio che… può svolgersi davanti al giudice ordinario, non sembra ravvisabile la necessaria pregiudizialità del giudizio di annullamento. Questa è stata infatti in passato costantemente affermata per l’evidente ragione che solo in tal modo si perveniva all’emersione del diritto soggettivo, e quindi all’accesso alla tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c., riservata ai soli diritti soggettivi, e non può quindi trovare conferma alla stregua del nuovo orientamento, che svincola la responsabilità aquiliana dal necessario riferimento alla lesione del diritto soggettivo. E l’autonomia tra le due giurisdizioni risulta ancor più netta ove si consideri il diverso ambito dei giudizi, ed in particolare l’applicazione, da parte del giudice ordinario, ai fini di cui all’art. 2043 c.c., di un criterio di imputazione della responsabilità non correlato alla mera illegittimità del provvedimento, bensì ad una più complessa valutazione, estesa all’accertamento della colpa, dell’azione amministrativa denunciata come fonte di danno ingiusto“.

A questo unto, secondo la sentenza del 2000 in commento, “al giudizio iniziato e proseguito dalla parte davanti al giudice amministrativo prima di proporre la domanda di risarcimento del danno davanti al giudice ordinario, o si riconosce funzione di atto di esercizio della situazione di interesse protetto alla stessa stregua della domanda di risarcimento del danno o non gli si può negare natura di giudizio conservativo in rapporto a quest’ultimo”.

La Corte dunque ipotizza due ricostruzioni dogmatiche del fenomeno, entrambe funzionali a riconoscere effetto interrutivo ella prescrizione del diritto al risarcimento all’instaurazione del giudizio amministrativo d’annullamento: “può porsi l’accento sulla situazione di base di cui il privato è titolare: quella a conseguire e mantenere attraverso l’agire legittimo della pubblica amministrazione un bene della vita, e considerare che l’azione di annullamento e quella di risarcimento ne costituiscono strumenti di difesa, volti a realizzare l’interesse, in forma specifica o per equivalente[47].

Può invece porsi l’accento sul diritto al risarcimento del danno che al privato spetta per aver visto realizzata in ritardo o sacrificata la situazione di interesse a conseguire o mantenere il bene della vita, e considerare l’azione di annullamento come mezzo che, essendo volto a consentire di realizzare in forma specifica l’interesse, salvaguarda anche la possibilità di ottenere nella forma del risarcimento quanto la parte non ha potuto conseguire attraverso la pronuncia del giudice amministrativo e l’ottemperanza dell’amministrazione” [48] .

 

 

7.5. L’atto di costituzione in mora

L’art. 2943, 4° comma c. c., quando stabilisce che la prescrizione è interrotta da ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore, fa riferimento alla costituzione in mora di cui all’art. 1219, 1° comma [49] e non già anche al 2° comma dello stesso articolo, ove sono indicati i casi in cui la costituzione in mora non è necessaria [50].

Perché un atto abbia efficacia interruttiva della prescrizione ai sensi dell’art. 2943, comma 4, c.c., deve presentare un elemento soggettivo, costituito dalla chiara indicazione del soggetto obbligato, ed un elemento oggettivo, consistente nell’esplicitazione di una pretesa e nella intimazione o richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto nei confronti del soggetto indicato, con l’effetto sostanziale di costituirlo in mora [51]; non bastano ad integrare il requisito oggettivo le semplici sollecitazioni prive del carattere di intimazione e di espressa richiesta formale al debitore [52].

L’unico requisito formale richiesto dalla legge per la costituzione in mora è la richiesta scritta di adempimento [53] mentre, sotto il profilo sostanziale, la manifestazione di volontà del titolare di far valere il suo diritto non richiede formule particolari e neppure l’esatta indicazione dell’ammontare del credito [54].

La lettera di interruzione della prescrizione può ben essere inviata dal legale della parte giacchè, ai fini della costituzione in mora, non è richiesto che il mandato risulti da atto scritto, mentre dalla esistenza di tale mandato costituisce idonea prova presuntiva il fatto che lo stesso legale abbia poi assunto il patrocinio della parte nel giudizio instaurato per ottenere il riconoscimento del diritto[55]: la procura ad emettere un atto di costituzione in mora è a forma libera [56] , poichè l’art. 1392 c.c., secondo cui la procura non ha effetto se non è conferita con le forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere, trova applicazione per i soli atti negoziali, tra i quali non rientra la costituzione in mora (applicazione in tema di interruzione della prescrizione).

La richiesta di pagamento produce l’interruzione della prescrizione con effetto istantaneo. Non si ritiene però ammissibile che l’effetto interruttivo sia riconducibile ad una pluralità di atti, succedutisi nel tempo, dal complesso dei quali possa ricavarsi la volontà dell’interessato di far valere il proprio diritto in quanto, se la singola intimazione non è idonea a costituire in mora l’obbligato, l’effetto interruttivo non si verifica affatto; ne consegue che non produce alcun effetto interruttivo un atto, astrattamente valido ai fini della interruzione della prescrizione, ove lo stesso intervenga quando si è già verificata l’estinzione del diritto per mancato esercizio dello stesso nel tempo indicato dalla legge [57].

La lettera che esprime, pur con l’invito ad un accordo transattivo, l’intenzione di ottenere il risarcimento del danno ancorché non indichi il preciso ammontare del credito [58] ha efficacia interruttiva [59]. In particolare, la Cassazione ha ritenuto corretta la decisione dei giudice del merito per “avere ritenuto che con la lettera (“Ho avuto mandato ….. di agire per ottenere il risarcimento dei danni patiti. Vi invito a prendere contatti con il mio studio …..) sia stata chiaramente comunicata l’intenzione dell’infortunato di pretendere dall’impresa il risarcimento dei danni, intenzione non esclusa dall’invito ad un accordo transattivo, è (quale applicazione dei parametri indicati dagli artt. 1362 e segg. cod. civ.) interpretazione assolutamente coerente con il significato delle parole e con il senso complessivo dell’atto”.

L’atto stragiudiziale di costituzione in mora del debitore, al fine dell’interruzione della prescrizione, non è soggetto a particolari modalità di trasmissione, nè alla normativa sulla notificazione degli atti giudiziali [60].

L’uso della lettera raccomandata [61] costituisce prova certa della spedizione, attestata dall’ufficio postale attraverso il rilascio della ricevuta, da cui, anche in mancanza dell’avviso di ricevimento, può desumersi la presunzione del suo arrivo a destinazione in considerazione dei particolari doveri che la raccomandata impone al servizio postale, in ordine al suo inoltro e alla sua consegna [62] .

La raccomandata con cui il danneggiato in seguito a sinistro stradale, in ottemperanza al disposto dell’art. 22, l. n. 990 del 1969, formula la richiesta di risarcimento al responsabile del danno o al suo assicuratore, integra senz’altro atto di costituzione in mora anche agli effetti interruttivi della prescrizione.

La dichiarazione del sinistro alla compagnia assicuratrice costituisce atto di esercizio del diritto al conseguimento del risarcimento poiché ne è implicita la richiesta: l’avviso di sinistro (art. 1913 c.c.) svolge la funzione di mettere l’assicuratore in grado di accertare tempestivamente le cause del sinistro e l’entità del danno prima che possano disperdersi le eventuali prove. Tale funzione non esclude, peraltro che l’atto scritto con cui l’assicurato dà notizia all’assicuratore del verificarsi dell’evento coperto da garanzia consista anche in un atto di costituzione in mora idoneo ad interrompere la prescrizione. Se è vero, infatti, che l’avviso di sinistro costituisce un onere per l’assicurato, potendo incidere sul diritto all’indennità (art. 1915 c.c.), è pur vero che l’assicurato comunica l’evento all’assicuratore proprio al fine di ottenere l’indennità e che, nella normalità dei casi, l’atto in questione è espressione inequivoca della volontà di ottenere l’adempimento da parte dell’assicuratore. Recentemente la Cassazione [63], discostandosi da un precedente orientamento [64] ha ritenuto che l’avviso scritto di sinistro dato all’assicuratore costituisca anche manifestazione della volontà dell’assicurato di esercitare il diritto all’indennità e consista dunque in un atto di costituzione in mora idoneo ad interrompere la prescrizione, salvo che il tenore specifico dell’avviso di sinistro sia tale da far escludere che con esso l’assicurato abbia inteso far valere anche la propria pretesa.

 

7.6. Il riconoscimento del diritto.

L’art. 2944 (Interruzione per effetto di riconoscimento) dispone stabilisce che la prescrizione è interrotta dal riconoscimento del diritto da parte di colui contro il quale il diritto stesso può essere fatto valere.

Il riconoscimento può esser espresso e consistere in una dichiarazione di volontà consapevolmente diretta all’intento di riconoscerlo, ovvero implicito e concretarsi in un comportamento obiettivamente incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa del creditore [65].

E’ ricorrente nella giurisprudenza della Cassazione l’affermazione del principio per cui il riconoscimento non ha natura negoziale ma costituisce un atto giuridico in senso stretto, di carattere non recettizio, il quale non richiede, in chi lo compie, una specifica intenzione ricognitiva, occorrendo solo che esso contenga, anche implicitamente, la manifestazione della consapevolezza dell’esistenza del debito e riveli i caratteri della volontarietà [66]: il riconoscimento richiede soltanto la consapevolezza dell’esistenza del diritto altrui e non deve necessariamente concretarsi in uno strumento negoziale, cioe’ in una dichiarazione di volonta’ mirante a certi effetti, mentre poi la dichiarazione ricognitiva puo’ rivolgersi (anziche’ al creditore) ad un terzo ovvero alla generalita’ [67].

Dunque l’effetto interruttivo deriva dal riconoscimento, inteso come atto volontario cosciente (consapevole dichiarazione dell’esistenza dell’altrui diritto), anche se non esprime necessariamente una volontà negoziale di ricognizione o di accertamento:  nei negozi di ricognizione e di accertamento l’ordinamento collega alla volontà dei soggetti (atto di autonomia privato) l’effetto dagli stessi perseguito. Invece, il riconoscimento indicato all’art. 2944 c.c. si deve qualificare come un atto giuridico in senso stretto, nel quale rileva la volontarietà (cosciente) dell’atto, ma non la volontà dell’effetto.

In qualche pronuncia la Suprema Corte [68] sembra pretendere un certo rigore, indicando che nel riconoscimento debbono essere rilevabili i requisiti della volontarietà, della consapevolezza, della inequivocità (nel senso che debba necessariamente rendersi manifesto un atteggiamento incompatibile con la volontà di disconoscere il diritto che altri pretenda), della esternazione o recettizietà (seppur non direttamente nei confronti del titolare del diritto), e che detti requisiti debbono essere necessariamente tutti rinvenibili in quell’atto, che in questo senso e in questi termini si configura come unitario. Corollario di tale impostazione è che non sarebbe possibile costruire un riconoscimento componendo un puzzle a posteriori attraverso l’integrazione a mezzo dei risultati di un’attività probatoria svolta nel processo[69].

 

 

7.7. Le trattative stragiudiziali.

 

Una querelle che, nel settore che ci interessa, involge spesso l’istituto dell’interruzione della prescrizione per riconoscimento dell’avente diritto riguarda la questione delle trattative stragiudiziali, con particolar riferimento a quelle che intercorrono tra danneggiato (o, più spesso, il suo legale) e l’assicuratore per la responsabilità civile del danneggiante.

Se si scorre un repertorio di giurisprudenza ci si imbatte in una serie costante di massime che danno l’impressione di un indirizzo consolidato per cui le trattative per comporre bonariamente la vertenza, non avendo quale loro precipuo presupposto l’ammissione totale o parziale della pretesa avversaria e non rappresentando, quindi, riconoscimento del diritto altrui ai sensi dell’art. 2944 c.c., non hanno efficacia interruttiva della prescrizione né possono importare rinuncia tacita a far valere la prescrizione, perché non costituiscono fatti incompatibili in maniera assoluta, senza cioé possibilità alcuna di diversa interpretazione, con la volontà di avvalersi della causa estintiva dell’altrui diritto, come richiesto dal terzo comma dell’art. 2937 [70].

Corollario di tale orientamento è che le bonarie trattative per la liquidazione dell’indennizzo, le offerte transattive, la corrispondenza intercorsa tra assicurato ed assicuratore comportano invece l’interruzione della prescrizione quando tali atti presentino i requisiti di una formale costituzione in mora [71] , oppure quando dal comportamento di una delle parti risulti il riconoscimento del contrapposto diritto di credito [72] e la transazione viene, perciò, a mancare per difetto di accordo sul quantum e non già per questioni attinenti all’esistenza del diritto. “l’accertamento conservativo vale a interrompere la prescrizione ove dalla valutazione del comportamento delle parti risulti che il riconoscimento del diritto di credito. Se, però, l’accertamento sia compiuto, invece che dalla parte, da un suo rappresentante e contenga l’esplicita pattuizione che l’efficacia dell’accertamento è subordinata in toto, anche quanto all’esistenza del diritto (nella specie: indennizzabilità di un sinistro) all’approvazione del rappresentato, l’accertamento stesso non produce alcun effetto se e fino a quando non intervenga l’approvazione, non valendo senza approvazione a impegnare il rappresentato”  [73].

Non solo. Secondo la Corte di Cassazione [74] occorre censurare l’indiscriminata, categorica generalizzazione per cui sarebbero privi di conseguenze interruttive della prescrizione anche comportamenti che, nella buona fede e nell’affidamento, sono socialmente e civilmente espressivi proprio di riconoscimento, quanto meno parziale, del diritto altrui interferente nel proprio patrimonio: “la buona fede, regola primaria dell’ordinamento civile, impera anche in quelle “operazioni” tra soggetti – (vuoi “trattative” – rif. art. 1337 cod. civ. -, vuoi veri e propri atti negoziali – art. 1375 cod. civ. – o di parziale adempimento d’obbligazione – art. 1175 cod. civ. -) – le quali attengano al lodevole, e socialmente sempre auspicabile, tentativo di prevenire le liti. Allora, ognuno di quei soggetti e’ parte nei confronti dell’altro e si presenta all’altro come lui solidamente interessato a realizzare un tale assetto economico-giuridico del rapporto specifico che non nuoccia ad alcuno di essi. L’affidamento, al riguardo, e’ reciproco e responsabile. Così, quelle “operazioni” possono essere impegnative anche “se non raggiungono l’effetto desiderato” e lo possono proprio per quella responsabilità che la buona fede e l’affidamento generano, ovviamente nei soli limiti della certazione da essi oggettivamente risultante. Ora, e’ possibile che il mancato “effetto desiderato” attenga solo alla liquidazione e non anche all’esistenza di un credito. E’, cioè, possibile, il riconoscimento di un credito illiquido. In tal caso, le “operazioni” svoltesi fra le parti possono integrare riconoscimento del diritto altrui (come ragione di credito), interruttivo della prescrizione di quella contrapposta posizione giuridica soggettiva, perché quella “mancanza” non cancella con un colpo ritorsivo di spugna la responsabilità corrispondente all’affidamento della controparte nella parziale certazione oggettiva precedentemente avvenuta. Allora, l’inevitato giudizio di merito, pur potendo accendere la lite su ogni profilo della pretesa, perché non sempre quella c.d. oggettiva certazione è confessione[75].


[1] Cass. civ., sez. III, 9 giugno 1999 n. 5694, Biagini c. Soc. Allsecures assicur.

[2] Corte cost. (ord.), 4 novembre 1987 n. 374, Ravarotto c. Comp. assicuraz. Milano

[3] Trib. Milano, Sez. IX, 10 febbraio 1999, est. Fraccon, in Famiglia e diritto, 2001, 185, con nota di Bona, ebbe proprio a pronunciarsi su di un caso del genere: in una causa di divorzio promossa dal marito, la moglie si costituiva aderendo alla domanda attorea, ma in via riconvenzionale chiedeva l’accertamento e la conseguente declaratoria della “responsabilità ex art. 2043” dell’ex marito, con la condanna dello stesso al risarcimento dei danni subiti, “da quantificarsi in via equitativa nella somma di L. 50.000.0000 o in quell’altra somma maggiore o minore che verrà ritenuta di giustizia”. A fondamento della pretesa la donna, premesso di non avere intrattenuto rapporti sessuali durante il fidanzamento con il futuro sposo, esponeva che sin dal primo giorno del matrimonio il marito avrebbe palesato un totale disinteresse sessuale nei suoi confronti, che tale situazione si sarebbe protratta per tutta la prosecuzione della convivenza (durata per oltre venti anni) e che solo in quattro occasioni avrebbero avuto una relazione sessuale anche se in modo del tutto incompleto. Aggiungeva inoltre la convenuta che il medico curante del marito, su richiesta di quest’ultimo, l’aveva informata, a circa un anno di distanza dal matrimonio, della patologia di cui soffriva il coniuge (“carenza di mascolinità”). Sempre stando al racconto della donna, il marito avrebbe iniziato delle terapie, interrompendole tuttavia subito dopo e mettendo dunque la stessa nelle condizioni di rivolgersi nel 1969 ad un legale per avviare la separazione, poi non seguita avendo il coniuge garantito di riprendere le cure. Promessa poi non mantenuta, con il conseguente ulteriore allontanamento di quest’ultimo dalla vita intima con la moglie. Oggetto dell’azione attorea era dunque la richiesta della condanna del marito al risarcimento del danno alla vita di relazione e del danno biologico, danni patiti in primis per la frustrazione dell’aspettativa di maternità.  In particolare, la donna asseriva di avere subito una vera e propria sindrome ansioso-depressiva, della quale si sarebbe accorta solo in seguito alla separazione, avvenuta con venti anni di ritardo a causa dell’opposizione dei propri famigliari. Per l’attrice il comportamento del coniuge andava inquadrato come ipotesi di violazione del dovere di assistenza nella sfera affettiva e in quella della sessualità. Tra le difese del marito, vi era proprio quella di prescrizione quinquennale dell’azione risarcitoria, che il Tribunale milanese ha rigettato sullla base dell’art. 2941 c.c.

[4] Cass. civ., 23 agosto 1985 n. 4502, Bresciaroli c. Finzi

[5] Corte Cost, sentenza 29 gennaio 1998 n. 2, Karadar – Rovari

[6] ex multis, ci limitiamo a citare Cass. civ., sez. II, 28 settembre 1994, n. 7898 Perozzi c. Santarelli

[7] cfr. Cass. civ., sez. I, 3 maggio 1999, n. 4389, Banca pop. Novara c. Genovese

[8] Cass. civ. sez. lav., 8 maggio 2003, n. 7039, Molina c. Ferr. Stato

[9] Così Roselli, F., Art. 2943: interruzione da parte del titolare, in La prescrizione, a cura di Vitucci, P., Il Codice Civile – Commentario, diretto da Schlesinger, P., Milano, 1999, Tomo II, 4: “l’interruzione produce una frattura che impedisce di tener conto del tempo già decorso”.

[10] Ancora da ultimo cfr. Carnevale c. Ferr. Stato, Cass. civ., Sez.lav., 15 luglio 2002, n.10254, in Mass. Giur. It., 2002. Sul punto cfr. infra ……

[11] Az. agr. F.lli Bruni C. Ist. diocesiano sostentamento clero, Cass. civ., Sez.II, 27/06/2002, n.9378, Mass. Giur. It., 2002. Cfr. poi Cass. civ., sez. III, 13 dicembre 2002, n. 17832:”In tema di prescrizione dell’azione risarcitoria ex art. 2043 c.c. ed in ipotesi di fatto lesivo suscettibile di produrre un progressivo aggravamento del danno originario, il termine di cui all’art. 2947 c.c. decorre dal momento in cui si manifesta l’iniziale danno nella sfera giuridica altrui. In tale caso, la parte che eccepisce la prescrizione ha l’onere di provare che gli specifici danni dedotti in giudizio si sono manifestati in epoca idonea a far ritenere fondata l’eccezione medesima e la relativa valutazione della prova concreta una mera “quaestio facti”, come tale non censurabile in sede di legittimità.”

[12] Cass. 7 dicembre 1996 n. 10904, 1 ottobre 1997 n. 9583, 25 ottobre 1997 n. 10526

[13] Cass. 20 giugno 2002 n. 9016, 27 giugno 2002 n. 9378, 12 luglio 2002 n. 10137, 14 novembre 2002 n. 16032, 28 luglio 2003 n. 15188, 14 luglio 2004 n. 14276

[14] Cass. 28 marzo 2000 n. 3276

[15]In tema di responsabilità civile ed in ipotesi di sinistro stradale risalente alla responsabilità di più conducenti, la solidarietà tra costoro, i proprietari dei mezzi e i rispettivi assicuratori, nasce direttamente dalla regola generale dell’art. 2055, comma 1, c.c., secondo cui “se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno”. Ne consegue che, poiché la domanda giudiziale di risarcimento proposta nei confronti di un compartecipe del fatto illecito ha effetto interruttivo del decorso del termine di prescrizione anche nei confronti degli altri, di tale effetto interruttivo può giovarsi il compartecipe perseguito dal danneggiato – ai sensi dell’art. 1310, comma 1, c.c. – ai fini del computo del termine di prescrizione per la sua azione di regresso, con la quale egli subentra nei diritti del creditore, nelle stesse condizioni di esperibilità” (Cass. civ. sez. III, 17 novembre 2003, n. 17372,Soc. Lloyd Adriatico c. Angeletti)

[16] Cass. 3 dicembre 2002 n. 17825, Caputo c. Assitalia; Cass. civ., 21 giugno 1988, n. 4244, Pattara c. Palmerini

[17] Di Giovambattista C. Soc. Siad assicur. ed altri, Trib. Spoleto, 26 febbraio 1996, in Rass. Giur. Umbra, 1996, 655.

[18] Ente reg. sviluppo agr. Calabria C. Grandinetti, Cons. Stato, Sez.VI, 2 giugno 1993, n.391, in Cons. Stato, 1993, I, 733.

[19] Cass. civ., 07/04/1983, n.2449, Merli C. Min. fin., in Fallimento, 1983, 1039, e in Dir. Fall., 1983, II, 691, nota di RAGUSA MAGGIORE

[20] Cass. civ., sez. II, 24 agosto 2000, n. 11087 Sinisi C. Enel; Cass. civ., sez. III, 6 aprile 1999, n. 3294 Soc. Ico Mascia c. Soc. Donelli

[21] Cass. civ., sez. III, 22 gennaio 2002, n. 696, Martignetti c. Cons. autostrade sic

[22] Cass. civ., sez. III, 17 dicembre 1999, n. 14243,  Perazzo c. Olmo e altro

[23] Cass. civ., sez. III, 18 dicembre 1996, n. 11318, Costa e altro c. Bucchiarone e altro

[24] Cass. civ., 20 marzo 1987, n. 2781, Scarano c. Isveimer

[25] Bagagli C. Vuono, Cass. civ., Sez.II, 26 agosto 1986, n.5212, in Mass. Giur. It., 1986. Pret. Catania, 11/05/1989, Inps C. San Marino assicuraz., in Arch. Giur. Circolaz., 1989, 594, e in Arch. Civ., 1989, 869: “ai fini della interruzione della prescrizione è sufficiente che il creditore abbia inviato al debitore lettera raccomandata contenente la costituzione in mora: è onere del debitore provare di non avere avuto conoscenza, senza colpa del contenuto della lettera“.

[26] Cass. civ., sez. lav., 08 maggio 2001, n. 6423, Deiana C. Inps, dove correttamente si osserva che è un falso problema quello della disparità di trattamento con le azioni promosse con rito ordinario, nelle quali è l’attore a scegliere quando eseguire la notifica (ossia…quando il suo legale ha predisposto l’atto di citazione): “attesa la disciplina prevista per l’inizio dell’azione giudiziaria, infatti, a qualsiasi creditore e’ consentita la facolta’ di interrompere la prescrizione con atto stragiudiziale per non incorrere nel rischio di una non tempestiva conoscenza da parte del debitore dell’atto interruttivo giudiziale, sia pure determinata da una non tempestiva emissione del decreto di fissazione di udienza da parte del giudice”. Nello stesso senso si veda Cass. civ. sez. lav., 6 marzo 2003, n. 3373, Romeo c. Inps

[27] Cass. civ., 14/05/1985, n.3003, Inail C. Busia, in Mass. Giur. It., 1985, e in Giust. Civ., 1986, I, 1746

[28] Trib. Roma 1 settembre 2003, in Foro Italiano, 2005, parte I, 1277con nota di Caponi il quale da atto dell’assenza di precedenti in materia.  In effetti un precedente c’è, sebbene in relazione a fattispecie anteriore alla entrata in vigore della l. 20 novembre 1982, n. 890: Cass. 10 dicembre 1984 n. 6493, Soc. Dalmine c. Ianni, aveva affermato che “nel caso in cui l’atto interruttivo della prescrizione ai sensi dell’art. 2943 c. c. sia notificato a mezzo posta, occorre tener presente che, anche ai fini della produzione dell’effetto interruttivo suindicato, la notifica non si esaurisce con la spedizione dell’atto, ma si perfeziona con la consegna del relativo plico al destinatario e che della data di questa fa piena prova solo l’avviso di ricevimento di cui all’art. 177 del r. d. 18 aprile 1940, n. 689”.

[29] Trib. Benevento 22 marzo 2004, ibidem

[30] Vairetti Lissoni C. Com. Talemona, Cass. civ., Sez.III, 10/02/1995, n.1490, Mass. Giur. It., 1995.

[31] nel contratto di coassicurazione si attua la ripartizione del rischio tra i coassicuratori, ciascuno dei quali è tenuto al pagamento dell’indennizzo in proporzione della quota di rischio che si è assunta e l’assicurato non può pretendere da lui il pagamento di una somma maggiore

[32] Cass. 19 maggio 2004 n. 9469, conforme a Cass. 28 agosto 2000 n. 11228, e

[33] sentenza n. 1754 del 28 gennaio 2005, conforme a  Cass. 22 maggio.1992 n. 6147; Cass. 22 giugno 2001 n. 8605; Cass. 9 giugno 2003 n. 9194; Cass. 12 dicembre 1997 n. 12610

[34] Cass. 12 dicembre 1997 n. 12610

[35] Cass. civ., Sez.lav., 06/11/1986, n.6517, De Carolis C. Soc. ed. Il Messaggero, Giur. It., 1987, I,1, 1403

[36] ibidem

[37] Cass. civ., sez. lav., 27 maggio 1996, n. 4870, Soc. Alcatel c. Stifano

[38] Cass. civ., sez. I, 22 agosto 1997, n. 7858, Marchetti e altro c. Com. Ancona

[39] Cass. civ. sez. III, 9 aprile 2003, n. 5575Soc. Ilat c. Corvini e altro

[40] Cass. civ., sez. III, 23 novembre 2001, n. 15138, Locatelli Locatelli e altri C. Soc. Intercontinentale assicur

[41] Cass. civ. sez. III, 26 febbraio 2003, n. 2869Salvini e altro c. Assitalia

[42] Cass. civ., sez. III, 6 agosto 1997, n. 7275 Mencarelli c. Usl Valdichiana. Ex multis citiamo inoltreCass. 1 settembre 2000 n. 11491 per cui è un “l’ampliamento quantitativo della somma originariamente richiesta, compiuto in corso di giudizio in sede di precisazione delle conclusioni alla udienza di cui all’art. 420 c.p.c., non incidendo sul petitum immediato, ma soltanto su quello mediato, relativo all’entità del bene da attribuire, non costituisce mutatio ma semplice emendatio libelli, ammessa ai sensi della lettura congiunta della norma suddetta e dell’art. 414 stesso codice, in quanto non muta i termini originari della contestazione (Cass. 25 luglio 1984 n. 4370; Cass. 14 marzo 1991 n. 2693; arg. ex Cass. 25 maggio 1992 n. 6245)”.

[43] Cass. civ., sez. III, 05 luglio 2001, n. 9090, Garieri Darieri C. Soc. Geas assicur. Soc. Geas assicur. e altri

[44] Cass. 25 maggio 1994 n. 5081: “L’azione revocatoria introduce non un giudizio conservativo nello specifico significato dell’art. 2943 c.c., ma pur sempre un giudizio di cognizione preordinato all’accertamento dell’inefficacia nei confronti del creditore-attore del negozio dispositivo posto in essere dal debitore, con la conseguenza che all’atto introduttivo del giudizio deve attribuirsi efficacia interruttiva del termine di prescrizione del credito dell’attore in revocatoria.”

[45] Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 1997, n. 9679, Ghinsberg c. Cassa risp. Verona: “La domanda di simulazione proposta da chi si dichiari legittimato in quanto creditore del simulato alienante comporta non solo la allegazione, come fatto di legittimazione, di uno specifico credito ma anche la dimostrazione del pregiudizio che alla soddisfazione di questo può derivare dall’alienazione del bene; sicchè la domanda di simulazione proposta dal creditore del simulato alienante costituisce esercizio di quello specifico credito attraverso il giudizio e vale pertanto ad interromperne la prescrizione secondo quanto dispone l’art. 2943 c.c.”

[46] Cass. 28 marzo 2000, n. 3726 Parti in causa  Triunfo C. Com. Merano

[47] Attribuire all’azione di annullamento, funzione di esercizio dell’unica situazione giuridica di base, con la conseguenza di escludere il maturare della prescrizione anche in rapporto al diritto al risarcimento del danno, trova riscontro nel principio altra volta enunciato dalla Corte, in particolare nella sentenza 1 ottobre 1997 n. 9589, dove si è affermato che “La domanda giudiziale proposta davanti ad un giudice ordinario o speciale da uno dei soggetti del rapporto giuridico ed avente ad oggetto la sussistenza o meno degli elementi costitutivi del rapporto stesso, ha efficacia interruttiva della prescrizione ai sensi degli artt. 2943 e 2945 c.c. con riguardo a tutti i diritti che si ricolleghino con stretto nesso di causalità a quel rapporto senza necessità che il titolare proponga nello stesso (o in altro) giudizio una specifica domanda diretta a farli valere”.

[48] annullamento e risarcimento del danno costituiscono forme di tutela della medesima situazione di base, le quali presentano interferenze da vari punti di vista.

Perché solo impugnando il provvedimento davanti al giudice amministrativo, la parte può ottenere che un giudice sospenda l’esecuzione (art. 21 L. 6 dicembre 1971, n. 1034), conseguendo il risultato di escludere o limitare il pregiudizio che è esposta a risentire per effetto della colposa esecuzione del provvedimento.

Perché, attraverso tale giudizio, la parte può conseguire un accertamento, destinato ad avere effetti di giudicato, a riguardo di un elemento della fattispecie costitutiva del diritto al risarcimento del danno, qual è appunto la contrarietà a diritto del provvedimento, dalla cui esecuzione il danno sarà derivato.

Perché l’annullamento obbliga l’amministrazione a conformarsi al giudicato (art. 37, terzo comma, della legge 1034 del 1971) e dunque è in grado di elidere ulteriori conseguenze dannose derivanti dall’attuazione che il provvedimento abbia già avuto.

La parte, dunque, quando agisce per l’annullamento dell’atto davanti al giudice amministrativo, dà inizio ad un giudizio che manifesta, quantomeno, la volontà di assicurarsi, sulla base della situazione di interesse protetto lesa dal provvedimento, utilità giuridiche rilevanti nella prospettiva, oltre che della tutela in forma specifica della medesima situazione di interesse, di una futura condanna al risarcimento del danno per il pregiudizio non potuto evitare.

[49] Cass. civ., Sez.II, 22/10/1992, n.11549, Soc. tintoria Lomazzi C. Soc. Stamperia, Mass. Giur. It., 1992: “L’art. 2943 c. c., nell’attribuire efficacia interruttiva della prescrizione agli atti di costituzione in mora, si riferisce agli atti rivestiti della forma scritta, quali le intimazioni o richieste fatte per iscritto (art. 1219 c. c.), per cui non sono idonee ad interrompere la prescrizione le sollecitazioni verbali, neanche se la prova di queste possa essere indirettamente desunta da un atto scritto che ad esse abbia fatto riferimento“. Trib. Spoleto, 20/03/1996, Soc. Toccafondi autotrasp. C. Piccioni, Rass. Giur. Umbra, 1996, 655: “Le richieste e le diffide verbali sono inidonee ad interrompere la prescrizione ai sensi dell’art. 2943 c.c., secondo il quale costituiscono cause interruttive soltanto la domanda giudiziale o altri atti che valgono a costituire in mora il debitore, costituzione che, ex art. 1219 c.c., avviene unicamente con intimazione o richiesta fatta per iscritto“.

[50] Cass. civ., Sez.III, 12/09/1986, n.5555, Lloyd Adriatico assicuraz. C. Albanese, in Arch. Giur. Circolaz., 1986, 777; e in Foro It., 1987, I, 487

[51] D’Angelo C. Cotral, Cass. civ., Sez.lav., 15 novembre 2002, n.16131, in Mass. Giur. It., 2002. Az. agr. F.lli Bruni C. Ist. diocesiano sostentamento clero, Cass. civ., Sez.II, 27/06/2002, n.9378, Mass. Giur. It., 2002; Cama C. Ferr. StatoCass. civ., Sez.lav., 28/11/2001, n.15067Mass. Giur. It., 2001

[52] Az. agr. F.lli Bruni C. Ist. diocesiano sostentamento clero, Cass. civ., Sez.II, 27/06/2002, n.9378, Mass. Giur. It., 2002

[53] Cass. 6 agosto 1996, n. 7181 Cass. 6 agosto 1996, n. 7181

[54] Cass. 5 marzo 1976, n. 737; 2 dicembre 1982, n. 6567

[55] Trib. Sup. Acque, 23 febbraio 1995 n. 19, Luongo c. Az. cons. Alto Calore

[56] Cass. civ., sez. lav., 16 agosto 1993 n. 8711, Soc. Parioli immob. c. Guidi

[57] D’Angelo C. Cotral, Cass. civ., Sez.lav., 15 novembre 2002, n.16131, in Mass. Giur. It., 2002.

[58] Cass. civ., 02/12/1982, n.6567, Soc. Saimi C. Gemignani, in Mass. Giur. It., 1982

[59] Soc. Sicit C. Santolin, Cass. civ., Sez.lav., 20/06/2002, n.9016, Mass. Giur. It., 2002

[60] Cass. civ., sez. lav., 16 maggio 2003, n. 7715, Inps c. Zerbino

[61] Cass. civ., Sez.III, 05/10/1998, n.9861, Fronza C. Giovannini

[62] La lettera raccomandata costituisce prova certa della spedizione, attestata dall’ufficio postale attraverso la ricevuta, da cui, anche in mancanza dell’avviso di ricevimento, può presumersi il suo arrivo a destinazione, mentre il ricorso a forme di spedizione computerizzate esige la prova dell’effettiva spedizione dell’atto (applicazione in materia di atto interruttivo della prescrizione: Cass. civ., Sez.I, 16/09/1986, n.5617, Lloyd Adriatico assicuraz. C. Soc. Sasva, in Giur. It., 1987, I,1, 1419

[63] 14 febbraio 2000, n. 1642 sez. III, Mariniello srl c. Cidas e Polaris, in Mass. Giur.It, 2000

[64] espresso da Cass. 3 luglio 1993 n. 7276 che, sia pure a livello di obiter dictum, considera l’avviso di sinistro privo degli effetti di un atto di costituzione in mora

[65] il pagamento di una somma a titolo di acconto di un eventuale maggior debito non ha efficacia interruttiva della prescrizione, in quanto esso non comporta il riconoscimento, neppure implicito, dell’entità del debito residuo. Così si legge in Cass. civ. sez. III, 10 febbraio 2003, n. 1945, Enpals c. Rosini

[66] Cass. civ., sez. II, 29 aprile 2003, n. 6651, Stevens Berner c. Rodinò di Miglione

[67] Cass. 16 dicembre 1982 n. 6941; Cass. 16 maggio 1991 n. 5518; Cass. 1 giugno 1991 n. 6203; Cass. sez.lav. 21 gennaio 1994 n. 576

[68] cfr. Cass. civ., sez. I, 16 giugno 2000, n. 8248 Bonomi C. Fall. soc. CO.GE.FI

[69] in questo senso, secondo Cass. civ., sez. I, 16 giugno 2000 n. 8248, Bonomi C. Fall. soc. CO.GE.FI. in sede di opposizione allo stato passivo proposta da un legale che si dichiarava creditore della società fallita per prestazioni professionali svolte per la stessa, è da escludersi il valore ricognitivo, ai fini della interruzione della prescrizione, del credito nell’affermazione, resa dal curatore in giudizio, di aver rinvenuto in bilancio una posta debitoria denominata “debiti verso professionisti”, con un dettaglio allegato nel quale rientrava anche la posizione dell’opponente

[70] per tutte: Cass. civ. 13.1.75 n. 133, e di recente Cass. civ., sez. III, 17/10/2002 n.14748, Santoro e altri C. De Gregorio Cattaneo, in Diritto e Giustizia, 2002, f. 39, 74; Mass. Giur. It., 2002; Arch. Civ., 2003, 831; Gius, 2003, 4, 461; Guida al Diritto, 2003, 2, 64. Come si legge in Cass. civ., sez. III, 12 agosto 1992 n. 9539, Bardaro c. Riondinoil riconoscimento di un credito illiquido, in sede di trattative per un componimento amichevole della vertenza, può avere effetto interruttivo della prescrizione della contrapposta posizione giuridica altrui, in quanto fonte di responsabilità corrispondente all’affidamento della controparte nella parziale certazione oggettiva precedentemente avvenuta”.

[71] Cass. civ., sez. III, 06/08/1999 n.8477,  Lloyd Adriatico assicur. C. Corghi Mass. Giur. It., 1999

[72] Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 1995 n. 1882 De Simone c. De Simone: “La rinuncia alla prescrizione per effetto di atto incompatibile con la volontà di avvalersene può conseguire anche ad una proposta transattiva, qualora questa, anzichè presupporre la contestazione del diritto della controparte, venga formulata in circostanze e con modalità tali da implicare ammissioni del diritto stesso

[73] Cass. civ., sez. III, 07/11/2003, n.16717, Siret Srl C. Uap Italiana assicurazioni Spa, in Guida al Diritto, 2004, 1, 62

[74] Cass. civ., sez. III, 14 febbraio 2000, n. 1642, Mariniello C. Soc. Polaris assicur. Nello stesso senso v. anche Trib. Napoli, sez. II, 15 maggio 2002 – Giudice Criscuolo - Il Fusillo S.a.s. c. Nuova MAA Assicurazioni S.p.A.

[75] Cass. 12 agosto 1992, n. 9539

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