INFORTUNI SUL LAVORO E MALATTIE PROFESSIONALI NELL’AMBITO DEL SOCIAL SECURITY SYSTEM

INFORTUNI SUL LAVORO E MALATTIE PROFESSIONALI NELL’AMBITO DEL SOCIAL SECURITY SYSTEM

 

Sommario: 1.1. L’infortunio 1.2. La malattia professionale 1.3. L’infortunio in itinere

1.1. L’infortunio

 

L’art. 2 del T.U. 1124 del 1965 – che recita “l’assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’inabilità temporanea assoluta che importi l’astensione dal lavoro per più di tre giorni” – fornisce una nozione di infortunio che non coincide con il significato comune del termine né con un significato economico contrattuale, in quanto è individuata da specifici parametri normativi, la sola ricorrenza dei quali determina il sorgere dell’oggetto dell’assicurazione (vis ab externo, vis puntuativa, vincolo di occasionalità, morte o inabilità).

Non solo, ma non ogni infortunio con dette caratteristiche è indennizzabile, poiché la legge individua alcune lavorazioni come attività che espongono, più di altre, al rischio di infortunio e come tali sono identificate e protette: infatti l’art. 1 del T.U. dispone che l’assicurazione INAIL è obbligatoria nei confronti dei lavoratori addetti a determinate macchine (comma 1, prima parte e comma 4) o comunque occupati in ambienti organizzati per lavori nei quali si faccia impiego di tali macchine (comma 1, seconda parte) o che siano addetti ad una delle lavorazioni “pericolose” oggetto dell’elenco tassativo di cui al comma 3, nn. 1-28, e nei confronti, altresì, di quanti svolgano lavori complementari o sussidiari di quelli espressamente considerati (commi 5 e 6).

Ai fini della tutela assicurativa è dunque necessario che ricorra il requisito oggettivo della prestazione, da parte del lavoratore, di un’attività definita rischiosa dall’art. 1 ovvero della occupazione dello stesso lavoratore, pur non direttamente impegnativi, in opifici, laboratori o ambienti dove un’attività del genere sia esercitata. Ciò significa che non tutti i luoghi di lavoro costituiscono “ambiente di lavoro assicurativamente rilevante”, ma solo quelli interni ad una struttura (opificio o ambiente organizzato) caratterizzati dalla presenza delle macchine indicate nel comma 1 dell’art. 1 ovvero nei quali si svolgano le attività che il comma 3 considera come suscettibili di esporre a rischio assicurabile anche al di fuori dell’impiego di macchine. In buona sostanza il “rischio ambientale” esiste quando il lavoratore infortunato sia venuto a trovarsi, in ragione del proprio lavoro, in situazione riconducibile a quelle legislativamente definite.

Dunque l’esposizione al rischio diretto o ambientale indotto da macchine, apparecchi o impianti ovvero dalle attività di lavoro è requisito imprescindibile dell’operatività del regime di tutela ed è il criterio per l’individuazione dei destinatari di tale regime, dovendo l’assicurazione tendenzialmente ritenersi estesa a tutti i soggetti, anche non espressamente indicati nell’art. 4 del T.U. che, per le più varie ragioni di lavoro o connesse al lavoro, siano esposti al medesimo rischio obiettivamente riferibile alle “attività protette”.

Il campo della tutela assicurativa infortunistica è quindi oggetto di delimitazioni frutto di scelte discrezionali del legislatore, in quanto tali non sindacabili neppure dalla Corte Costituzionale: ove l’esposizione al rischio legislativamente definito non sussista o sussista in misura difforme, i principi costituzionali non solo non determinano l’illegittimità delle norme che diversamente dispongano ma neppure sono idonei a costituire l’altrimenti necessario criterio ermeneutico che deve guidarne l’applicazione.

Dicevamo che gli elementi essenziali per cui l’infortunio sia tutelato sono l’occasione di lavoro e la causa violenta.

Ad integrare l’occasione di lavoro – richiesta all’art. 2 perché l’infortunio subito da un lavoratore dia luogo alla erogazione delle prestazioni dell’assicurazione obbligatoria – non è sufficiente che l’evento dannoso si sia verificato durante lo svolgimento dell’attività lavorativa o sul luogo di lavoro, ma è necessario che l’evento lesivo sia ricollegabile, in modo non meramente marginale, all’esposizione dell’infortunato al rischio indotto dall’ambiente, dalle macchine o persone costituenti le condizioni oggettive dell’attività protetta: in altri termini, occorre che fra la prestazione lavorativa e l’evento vi sia un esso di derivazione eziologica quanto meno mediata ed indiretta, essendo l’evento dipendente dal rischio inerente all’attività lavorativa (ossia che il danno provenga dall’apparato produttivo) o connesso al compimento di tale attività (ossia che il rischio di danno per il lavoratore sia immanente nell’ambiente di lavoro [1].

Il rischio coperto dall’assicurazione è solo il “rischio specifico” la cui specificità risiede nel collegamento eziologico che lo connette al lavoro, e non anche il “rischio generico” cui soggiace la generalità dei soggetti a prescindere dall’esplicazione di una data attività lavorativa [2]. Il rischio generico però può rientrare nell’oggetto dell’assicurazione obbligatoria quando esso venga aggravato dall’occasione di lavoro.

Interessante notare come la giurisprudenza [3] escluda la sussistenza del nesso eziologico tra occasione di lavoro ed infortunio qualora l’attività nel corso della quale l’infortunio si sia verificato sia da qualificare come attività illecita penalmente perseguibile o sia eseguita per compiere un illecito.

Il secondo requisito cui è subordinata l’indennizzabilità dell’infortunio è che esso sia dovuto ad una causa violenta, come previsto dall’art. 2 del T.U.: essa consiste innanzitutto in un evento che, con forza concentrata e straordinaria, agisca dall’esterno verso l’interno dell’organismo del lavoratore, dando luogo alle alterazioni lesive; può anche consistere nello sforzo [4] che il lavoratore abbia dovuto fare per vincere una forza antagonista peculiare della prestazione o dell’ambiente di lavoro, tale da determinare, con azione rapida ed intensa [5], una lesione dell’organismo [6].

Secondo la giurisprudenza in tale concetto rientra anche lo stress emotivo improvviso, dipendente da evento eccezionale ricollegabile al lavoro svolto dall’assicurato, ancorché le conseguenze lesive si determinino in tal caso con il concorso di una situazione morbosa preesistente[7]: come ricorda la S.C. [8]la condizione fisiopatologica preesistente è sempre elemento da valutare con attenzione da parte del giudice al fine di stabilire la sussistenza o meno nel caso concreto degli estremi dello sforzo come causa violenta di infortunio, in quanto una predisposizione morbosa dovuta a tali condizioni soggettive può far sì che il dispendio di energie per un atto di lavoro, il quale di per sé pur non richiederebbe l’erogazione in misura ordinariamente tale da essere lesiva, provochi nella concreta situazione di menomazione del soggetto, la brusca rottura del preesistente precario equilibrio organico e dia luogo a conseguenze invalidanti.

Anche l’infarto causato da stress (per il suo attuarsi in un brevissimo arco temporale) dovuto ad attività lavorativa particolarmente intensa puo’ costituire “causa violenta” di infortunio sul lavoro [9] perché la connessione causale e topografica fra l’attività lavorativa e la lesione non è esclusa dal contributo causale di fattori preesistenti o contestuali di qualsivoglia altra origine. Secondo la Corte, poiché l’atto lavorativo può esaurirsi anche in un’azione che non esuli “dalle condizioni abituali e tipiche delle mansioni alle quali il lavoratore è addetto”, ove la morte sia stata determinata dall’infarto lo “sforzo” non è fattore necessario. Notiamo che sono stati ritenuti irrilevanti – non escludendo la connessione causale – tanto il fatto che l’attività lavorativa avesse contribuito alla determinazione della lesione attraverso un’azione lenta e progressiva e con meccanismi di stress ripetutisi nel tempo quanto la circostanza che fosse intercorsa una breve separazione temporale e spaziale fra attività lavorativa e lesione, anche perché il CTU aveva accertato che concausa dell’infarto era stata la situazione di stress immediatamente precedente all’infarto.

 

Vediamo che la definizione di infortunio rilevante per il social security system corre lungo direttrici determinate dalla discrezionalità dal legislatore.

Dobbiamo però tener presente che il sistema dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro non ha solo funzione di garanzia indennitaria per i lavoratori infortunati ma ha anche l’effetto di esonerare il datore dalla responsabilità civile di diritto comune, sicché è lecito ritenere che solo all’interno degli stretti confini in cui opera la copertura assicurativa conservi legittimità la scelta discrezionale del legislatore di includere o escludere determinati eventi: al di fuori delle ipotesi ricomprese nella garanzia INAIL e quindi nell’esonero da responsabilità, ci sembra che la tutela risarcitoria debba rimanere comunque piena: ciò significa che, in ossequio al disposto dell’art. 32 Cost. ed in armonia con le pronunce della Consulta sulla questione INAIL di cui parliamo in altro paragrafo, permane il diritto soggettivo perfetto del lavoratore di esigere dal datore il rispetto delle norme e l’adozione di misure volte ad evitare infortuni e malattie professionali in via preventiva e di ottenere il risarcimento del danno costituito dalla menomazione della integrità psico fisica conseguente alla violazione dell’anzidetto obbligo di sicurezza.

Ci pare che i limiti posti dal legislatore all’operatività del social security system sarebbero certamente costituzionalmente illegittimi laddove si ritenesse di farli operare anche nell’ambito del tort system che, per ratio e per l’intima connessione con i diritti della personalità costituzionalmente garantiti, non può tollerare di esser circoscritto.

 

1.2. La malattia professionale

 

La malattia professionale è un evento patologico che trova causa nell’esercizio di determinate mansioni e/o nell’esposizione a determinati agenti patogeni ed agisce sulla capacità lavorativa della persona diminuendone lentamente e per gradi l’integrità dell’organismo. Il vigente sistema di tutela in seno al social security system si fonda su una presunzione legale del nesso di causalità tra le tecnopatie elencate in un’apposita tabella e le corrispondenti lavorazioni nocive.

La lista infatti prevede che la copertura INAIL valga solo se la tecnopatia sia stata contratta nell’esercizio di una determinata mansione o lavorazione.

Mentre l’infortunio è coperto dall’assicurazione obbligatoria purché avvenuto in occasione di lavoro, la malattia deve trovare eziologia nell’ambiente di lavoro: si suole dire che, rispetto alla copertura assicurativa, per l’infortunio basta il rapporto di occasionalità mentre per la malattia serve quello più intimo di causalità. In realtà la differenza tra malattia ed infortunio alberga nel modo con cui la patologia viene a svilupparsi, caratterizzandosi la malattia quale causa lenta, l’infortunio quale causa violenta.

L’art. 3 del T.U. del 1965 dispone che l’assicurazione è obbligatoria per le malattie professionali indicate nella tabella allegato n. 4 (ad eccezione di silicosi ed asbestosi che trovano disciplina nella tabella allegato n.8), contratte nell’esercizio e a causa delle lavorazioni specificate nella tabella stessa e che al settore delle malattie si applicano generalmente le disposizioni concernenti gli infortuni.

Si tratta di una tabella fissa nella sua funzione di tipizzazione delle tecnopatie, che però prevede la possibilità di aggiornamento: se già l’art 3 del T.U. originario prevedeva che la tabella delle malattie potesse essere modificata o integrata con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, di concerto con il Ministro per la sanità, sentite le organizzazioni sindacali nazionali di categoria maggiormente rappresentative [10], oggi, in base all’art. 10 della legge 38 del 2000, è previsto che sia una commissione scientifica per l’elaborazione e la revisione periodica dell’elenco delle malattie ad avere il compito di proporre la modifica e l’integrazione delle tabelle (cui poi provvede il Ministro del lavoro di concerto con quello della salute sentite le organizzazioni sindacali nazionali di categoria maggiormente rappresentative).

Fissità e tassatività della tabella (aggiornamenti a parte) costituivano il vero limite del sistema tabellare che, benché generalmente ritenuto accettabile in quanto compensato dalla presunzione legale di collegamento eziologico col lavoro operante a vantaggio del lavoratore, suscitava notevoli sperequazioni per i casi di malattie non tabellate perché esse, pur trovando causa nell’ambiente e nelle condizioni di lavoro, non erano previste dalla tabella di legge e quindi non venivano coperte dall’INAIL.

Fu la Corte Costituzionale, con sentenza 18 febbraio 1988, n. 179,a porre rimedio ad una disparità di trattamento poco compatibile con il principio d’uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.: la Corte dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 del T.U, nella parte in cui non prevede che “l’assicurazione contro le malattie professionali nell’industria è obbligatoria anche per malattie diverse da quelle comprese nelle tabelle allegate concernenti le dette malattie e da quelle causate da una lavorazione specificata o da un agente patogeno indicato nelle tabelle stesse, purché si tratti di malattie delle quali sia comunque provata la causa di lavoro”.

La Corte ritenne che la presunzione del sistema tabellare fosse divenuta insufficiente a compensare l’impossibilità di allargare l’area dell’eziologia professionale a nuove malattie, e fu così che per effetto della sentenza si venne a creare il “sistema misto”, la  cui opportunità ed urgenza la Corte aveva segnalato al legislatore con la sentenza n. 206 del 1974: in base al nuovo sistema con le tabelle veniva a coesistere sia la possibilità per il lavoratore di provare l’origine professionale di malattie non tabellate oppure provocate da lavorazioni non previste nelle tabelle o, infine, manifestatesi oltre il periodo massimo di indennizzabilita` stabilito dalle tabelle stesse.

L’INAIL prese tempestivamente atto dello stravolgimento del sistema operato dalla Consulta, e con Circolare 12 maggio 1988 n. 23, così schematizzò la nuova disciplina [11]:

1) malattie tabellate, provocate da lavorazioni tabellate e denunciate entro i termini massimi di indennizzabilita`: resta in vigore l’attuale normativa, con particolare riferimento al principio della presunzione legale d’origine;

2) malattie tabellate, provocate da lavorazioni tabellate, denunciate dopo i termini massimi di indennizzabilita`: a)  se il lavoratore dimostra che la malattia si e` manifestata entro i suddetti termini, fruisce della presunzione legale insita nel sistema tabellare;  b) in mancanza di tale dimostrazione cade sul lavoratore l’onere di provare la natura professionale della malattia;

3) al di fuori delle previsioni tabellari, fermi restando i principi che presiedono all’assicurazione obbligatoria entro gli infortuni e le malattie professionali, e` tutelata qualsiasi malattia di cui sia dimostrata, con onere alla prova a carico del lavoratore, l’origine professionale.

Il sistema misto implica una differenza sotto il profilo probatorio tra le malattie tabellate e quelle non tabellate: per le tabellate opera a favore dell’assicurato la presunzione di eziologia professionale, sicché il nesso è infatti valutato ex ante dal legislatore e può essere escluso solo se l’istituto assicuratore dimostri con certezza che la malattia contratta dal lavoratore non dipende dall’esposizione a quello specifico rischio ma da un diverso fattore patogeno [12] ; le malattie non tabellate (o ricollegabili all’esercizio di lavorazioni diverse da quelle indicate nelle tabelle) sono invece indennizzabili solo dietro prova della causa di lavoro da parte dell’interessato [13], il che costituiva il punto di maggiore criticità rivelandosi spesso un ostacolo al riconoscimento in sede assicurativa (salvo poi l’intervento del giudice) dell’eziologia professionale di una malattia. a causa dell’insufficiente livello di conoscenze aggiornate sui rischi e sui danni lavorativi.

Come la stessa INAIL nel 1997 riconosceva [14], “se per alcune patologie (ad es. ipoacusia) le difficoltà del lavoratore di reperire elementi di prova possono considerarsi in via di esaurimento, lo stesso non può dirsi per altre malattie (ad es. quelle da posture incongrue e microtraumi ripetuti) per le quali continua a mancare un quadro di riferimento certo e organico su base nazionale“.

Complessa la questione per le malattia ad eziologia potenzialmente multifattoriale (come quelle tumorali) rispetto alle quali non si applicava la presunzione legale d’eziologia professionale ma si esigeva la prova del nesso di causa, che “non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di concreta e specifica dimostrazione – quanto meno in via di probabilità [15] – in relazione alla concreta esposizione al rischio ambientale e alla sua idoneità causale alla determinazione dell’evento morboso[16].

Su questo substrato si è inserito nel 2000 l’art 13 della riforma, il quale ha codificato il sistema misto introdotto dalla Consulta: “Fermo restando che sono considerate malattie professionali anche quelle non comprese nelle tabelle di cui al comma 3 delle quali il lavoratore dimostri l’origine professionale, l’elenco delle malattie di cui all’articolo 139 del testo unico conterrà anche liste di malattie di probabile e di possibile origine lavorativa, da tenere sotto osservazione ai fini della revisione delle tabelle delle malattie professionali di cui agli articoli 3 e 211 del testo unico [17].

 

1.3. L’infortunio in itinere

 

Il D.Lgs. 23 febbraio 2000 n. 38 ha modificato il T.U. del 1965 anche per il caso peculiare dell’infortunio in itinere.

L’art. 12 del citato decreto così recita “Salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate, l’assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro e, qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale, durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti. L’interruzione e la deviazione si intendono necessitate quando sono dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti. L’assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purchè necessitato. Restano, in questo caso, esclusi gli infortuni direttamente cagionati dall’abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall’uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni; l’assicurazione, inoltre, non opera nei confronti del conducente sprovvisto della prescritta abilitazione di guida”.

La novellata normativa non si discosta dalle linee guida tracciate dalla giurisprudenza nel vigore della disciplina previgente, che vengono codificate. Dunque lINAIL indennizza gli infortuni occorsi durante il normale percorso d’andata ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro e, qualora l’azienda non sia provvista del servizio di mensa, anche durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti. L’assicurazione riguarda ovviamente le sole persone assicurate ossia quei lavoratori che sono soggetti alla tutela obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro gestita dall’INAIL. L’indennizzo è dovuto anche nel caso in cui il lavoratore utilizzi mezzi di trasporto privati, ad eccezione del caso in cui gli infortuni causati per fatto e colpa del conducente del mezzo, per esempio per uno stato di non perfetta lucidità mentale[18].

La Corte di Cassazione, in diverse pronunce sul tema, ha circoscritto quali siano i criteri per l’indennizzo di questo peculiare evento.

Con un arresto del 1 febbraio 2002, il n. 1320, osserva che “ai sensi dell’art. 2 d.P.R. n. 1124 del 1965, l’indennizzabilità dell’infortunio “in itinere”, subito dal lavoratore nel percorrere, con mezzo proprio, la distanza fra la sua abitazione ed il luogo di lavoro, postula: a) la sussistenza di un nesso eziologico tra il percorso seguito e l’evento, nel senso che tale percorso costituisca per l’infortunato quello normale per recarsi al lavoro e per tornare alla propria abitazione; b) la sussistenza di un nesso almeno occasionale tra itinerario seguito ed attività lavorativa, nel senso che il primo non sia dal lavoratore percorso per ragioni personali o in orari non collegabili alla seconda; c) la necessità dell’uso del veicolo privato, adoperato dal lavoratore, per il collegamento tra abitazione e luogo di lavoro, considerati i suoi orari di lavoro e quelli dei pubblici servizi di trasporto e tenuto conto della possibilità di soggiornare in luogo diverso dalla propria abitazione, purché la distanza fra tali luoghi sia ragionevole (nella specie, alla stregua degli enunciati principi, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso l’indennizzabilità dell’infortunio, conseguente ad incidente stradale, occorso ad un lavoratore che, nel recarsi con il proprio autoveicolo dall’abitazione di residenza alla stazione ferroviaria per prendere il treno con destinazione la sede di lavoro, aveva scelto il percorso più lungo fra quelli possibili, senza dare giustificazione di tale scelta)”.

In altre parola la Corte individua tre parametri che devono sempre sussistere onde poter parificare l’infortunio in itinere a quello avvenuto in azienda:

innanzitutto l’infortunio deve essere accaduto sul percorso “normale” ossia quello consono alle condizioni di viabilità, quello che coincide con il tragitto più breve e diretto. Sarebbe ammissibile un diverso percorso, anche più lungo, se risultasse migliore in relazione allo stato della viabilità delle strade. La deviazione nel tragitto effettuata per ragioni personali, al contrario, comporta il decadimento del diritto all’indennizzo.

La seconda condizione impone che il tragitto sia percorso per ragioni connesse all’attività lavorativa, ed è soddisfatta in tutti i casi in cui il lavoratore si reca in azienda, o presso altri luoghi per motivi comunque riferibili al lavoro ad esempio per percepire la paga, per consegnare o ricevere documenti. L’evento deve essere accaduto in un orario comunque riconducibile alle esigenze lavorative, pur tenendo conto delle possibili variabili dovute alle condizioni del traffico. Il terzo requisito è che l’uso del veicolo privato deve essere stato necessario in relazione sia alla distanza tra l’abitazione ed il luogo di lavoro sia alla possibilità concreta di fruizione dei mezzi pubblici. Su quest’ultimo punto la Cassazione, con sentenza del 11 dicembre 2001, n. 15617, ha statuito che “in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, vale il principio – ora confermato nella specifica disciplina dettata dal D.Lgs. n. 38 del 2000 – per cui è indennizzabile l’infortunio “in itinere” anche in caso di utilizzo di mezzo di trasporto privato durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro purchè esso sia necessitato; il che non si verifica quando la distanza tra i due suddetti luoghi sia tale da poter essere percorsa a piedi. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso l’indennizzabilità dell’infortunio occorso alla ricorrente mentre alla guida del proprio ciclomotore si recava dalla abitazione al luogo di lavoro situato ad una distanza – di circa un chilometro – considerata tale da poter essere agevolmente percorsa a piedi anche da una persona sessantenne non affetta da disturbi nella deambulazione)[19]

In un’altra interessante pronuncia del 28 novembre 2001, la n. 15068, la Corte osserva che “partendo dalla considerazione, da una parte che il percorso casa-lavoro può essere considerato un’attività preparatoria alla prestazione vera e propria, come tale potenzialmente iscrivibile nel rischio specifico improprio, dall’altra che il rischio della strada è un rischio generico gravante su tutti gli utenti, ha richiesto un quid pluris, connesso alle esigenze lavorative, che rendesse il rischio generico della strada aggravato per il lavoratore.

Attraverso una pluridecennale elaborazione giurisprudenziale, questa Corte ha fissato i criteri generali per valutare quando l’infortunio nel percorso casa- lavoro possa ritenersi avvenuto in occasione di lavoro e sia perciò indennizzabile, nonché casistica degli aggravamenti tipici, per causa di lavoro, del rischio generico.

La prima ipotesi è stata, ovviamente, quella della strada che presenti rischi diversi da quelli delle ordinarie vie di comunicazione, come sarebbe ad. es. una strada di montagna (Cass. 20/3/1985, n. 2050), o che conduca esclusivamente al posto di lavoro.

Perso l’interesse, per ragioni storiche, alle antiche ipotesi delle strade infestate dal banditismo, l’elaborazione si è concentrata su quelle, attualmente dominanti, di uso del mezzo meccanico proprio.

L’attenzione si è così spostata dalle obiettive caratteristiche di pericolosità del percorso (potremmo dire di hardware) alle condizioni soggettive dello spostamento del singolo lavoratore, derivanti dalla organizzazione dei mezzi pubblici di trasporto, assunti come parametro di parità di rischio con i comuni utenti della strada; sicché da un parte l’uso del mezzo pubblico non consentiva la qualificazione di infortunio in itinere (Cass. 11/4/1998, n. 3742), dall’altra l’aggravamento di rischio derivante dal mezzo meccanico proprio è stato ritenuto giustificato il nesso eziologico ad usarlo per l’assenza di mezzi pubblici tra la dimora ed il luogo di lavoro (Cass. 12/6/1982, n. 3583), o perché imposto o autorizzato, per interesse aziendale, dal datore di lavoro.

Nella considerazione delle esigenze personali del lavoratore, la giurisprudenza si è ulteriormente affinata dando rilievo ai particolari obblighi di orario e alle altre caratteristiche della prestazione del lavoratore, ed a quelle attinenti alla salute, alla funzione familiare, alle condizioni economiche.

Ricapitolando la propria giurisprudenza, la Corte ha richiesto che il giudice del merito accerti se le esigenze e le modalità della prestazione della specifica attività lavorativa siano tali da determinare la necessità di detti mezzi; ed ha precisato che siffatto accertamento va operato valutando, alla stregua dei fondamentali principi espressi negli artt. 3, 31 (e con questo riferimento si da ingresso a rilievo giuridico alle particolari funzioni familiari della donna lavoratrice, ed alla sua esigenza di abbreviare al massimo il tempo di trasferimento casa- lavoro), 32, 35 e 36 della Costituzione: se i mezzi pubblici di trasporto coprano l’intero percorso tra il luogo di abitazione e quello di lavoro; se gli orari dei servizi pubblici siano compatibili con l’orario di lavoro; se, comunque, le condizioni del servizio pubblico siano tali da creare rilevante disagio per il lavoratore, prolungandone oltre misura l’assenza dalla famiglia; se siano approntati, da parte del datore di lavoro, mense ed alloggi idonei (anche in relazione alla loro ubicazione rispetto all’azienda) a consentire la sosta o il pernottamento dei lavoratori, qualora la distanza del luogo di abitazione sia tale da rendere indispensabile detto pernottamento; se rimanga salvaguardata per il cittadino la libertà di scelta del luogo di abitazione, in relazione sia alle esigenze umane e familiari sia alla situazione economico- sociale del medesimo (Cass. 27/5/1982, n. 3273).

In questo quadro giurisprudenziale, affinatosi ma rimasto sostanzialmente stabile per decenni nel suo unitario schema logico giuridico, dunque, l’elemento finalistico del viaggio, non avente con il lavoro alcun criterio di collegamento né topografico né temporale, non era sufficiente ad integrare l’occasione di lavoro, ma occorreva un ulteriore elemento di aggravamento del rischio generico.

Focalizzando l’attenzione sul rapporto di necessaria connessione dell’iter con gli specifici obblighi lavorativi, già presente nella giurisprudenza citata, questa Corte (sent. 19/1/1998, n. 455) è infine pervenuta alla mediata conclusione che tale rapporto finalistico (o strumentale) dell’iter con il lavoro è sufficiente ad integrare il quid pluris richiesto perché l’infortunio in itinere possa considerarsi avvenuto in occasione di lavoro; con la conseguenza che vi è indennizzabilità dell’infortunio in itinere tutte le volte che il lavoratore abbia coperto la distanza casa- lavoro a piedi (Cass. 5/5/1998, n. 4535) o facendo uso del mezzo pubblico.

Su tale conclusivo approdo si è attestata la giurisprudenza di legittimità successiva (Cass. 19/2/1998, n. 1751, 27/2/1998, n. 2210, 16/10/1998, n. 10272, 24/10/1998, n. 10582, 3/11/1998, n. 11008, 17/5/2000, n. 6431), e tale quadro normativo è stato recepito dal legislatore, il quale con la Legge 17 maggio 1999, n. 144, ha delegato il Governo (art. 55, lett. U) a dettare una specifica normativa per la tutela dell’infortunio in itinere, ponendogli come criterio direttivo il recepimento dei principi giurisprudenziali consolidati in materia; ed il legislatore delegato, nell’attuare la delega con l’art. 12 del D.Lgs. 38/2000 si è ispirato al conclusivo approdo alla giurisprudenza di legittimità da ultimo ricordato, disponendo che, limitatamente alle persone assicurate (con ciò superando alcune perplessità di carattere costituzionale che avevano ostacolato l’esercizio della delega negli anni sessanta), l’assicurazione comprende gli infortuni occorsi durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro; ed aggiungendo, con perfetta coerenza con i criteri della legge delega, che l’assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato. A tale quadro normativo si è ispirata la sentenza impugnata, come si deduce dall’analisi degli elementi fattuali implicanti la necessità del mezzo proprio, dalla medesima compiuti, sicchè non sussiste il dedotto vizio di violazione di legge”.

Un breve accenno ad un’ulteriore peculiarità dell’infortunio in parola: esso può verificarsi anche durante la pausa pranzo.

L’art. 12 prevede una condizione, anch’essa recepita dall’elaborazione giurisprudenziale, ossia la mancanza di un servizio di mensa aziendale. Quando in azienda operi un servizio di mensa, o altro servizio equivalente, per esempio una convenzione con esercizi di ristoro localizzati a breve distanza dal luogo di lavoro, il lavoratore che si rechi a casa o altrove per consumare il pasto non potrà usufruire della tutela assicurativa, in quanto tale scelta si configurerebbe come rischio elettivo. In altre parole il trasferimento non è ritenuto strettamente necessario e connesso alle legittime esigenze del soggetto.

Quando invece l’azienda non fornisce il servizio di mensa assumeranno rilievo tutta una serie di argomentazioni riferibili alla condizione soggettiva di ciascun lavoratore infortunato: ad esempio saranno rilevanti le ragioni economiche che conducono il lavoratore a casa piuttosto che in un vicino ristorante oppure le condizioni familiari che incidono sul disagio conseguente alla lunga attesa prima di riprendere il lavoro dopo il pranzo.

Sul punto una recente sentenza della Cassazione, 5 giugno 2001 n. 7612:“anche per le fattispecie alle quali non è applicabile “ratione temporis” l’art. 12 del D.Lgs. n. 38 del 2000 deve considerarsi indennizzabile come infortunio “in itinere” l’infortunio occorso su una autovettura privata al lavoratore durante l’intervallo per il pasto lungo il normale percorso di andata o di ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione del pasto, qualora siano state accertate la mancata predisposizione di un servizio di mensa aziendale e l’inesistenza di mezzi pubblici idonei. In base all’evoluzione della giurisprudenza di legittimità in materia, infatti, da un lato non è da considerare esigibile, secondo l’attuale modo di vivere e di sentire, che il lavoratore provveda a nutrirsi nell’intervallo del pranzo consumando sul luogo di lavoro cibo portato da casa e dall’altro l’utilizzazione di una autovettura privata in mancanza di mezzi pubblici per il soddisfacimento di una esigenza connessa al mantenimento delle condizioni fisiche idonee a consentire lo svolgimento delle prestazioni lavorative pomeridiane si deve considerare obbligata e non il frutto di una libera determinazione del lavoratore non funzionale allo svolgimento della prestazione lavorativa”.

Logicamente connesso al tema dell’infortunio in itinere, per le modalità con cui di solito esso si realizza, è la questione della eventuale responsabilità del terzo che con la propria condotta abbia giocato nel sinistro stradale un ruolo determinante nella produzione dell’evento. Se il terzo viene ritenuto responsabile dell’accadimento, è tenuto a risarcire il danneggiato in forza dei comuni principi (artt. 2043 e 2054 Cc) e la valutazione del danno avverrà secondo l’elaborazione giurisprudenziale in tema di risarcimento da sinistro stradale.

Ma l’Istituto assicuratore, che nel frattempo, avesse corrisposto al lavoratore leso la propria prestazione di legge potrebbe agire, in via di surroga ex art. 1916 CC, nei confronti dello stesso terzo, civilmente responsabile, per la ripetizione di quanto versato. Le notevoli problematiche che ne derivano sono quelle della “questione INAIL” e del danno differenziale, di cui parleremo diffusamente.


[1] Tra la vastissima casistica: Cass. 17 dicembre 1998 n. 12652 ha ritenuto avvenuto in occasione di lavoro e ricollegabile a culpa lata imprenditoriale l’infortunio occorso ad una lavoratrice che, durante lo svolgimento dell’attività lavorativa, era caduta nel bagno dello stabilimento il cui pavimento risultava viscido e scivoloso a causa di un’anomala fuoriuscita di acqua dal termosifone rotto ivi installato; Cass. 29 ottobre 1998 n. 10815 ha escluso la configurabilità del requisito dell’occasione di lavoro in relazione ad un omicidio volontario di un lavoratore sul luogo di lavoro, poiché, in mancanza di adeguate risultanze in senso contrario, non poteva escludersi la riferibilità del movente dell’omicidio, il cui autore era rimasto ignoto, a questioni personali; Cass. 2 ottobre 1998 n. 9796 ha ritenuto che l’attività di trasporto di un macchinario, utilizzato in cantiere e guastatosi, fino al luogo dove doveva essere riparato, costituiva attività strettamente connessa alla prestazione di lavoro manuale dell’artigiano e come tale soggetta alla tutela assicurativa contro gli infortuni; Cass 23 agosto 1997 n. 7918 ha ritenuto avvenuto in occasione di lavoro l’infortunio occorso alla lavoratrice che, al termine del suo turno, indossando il cappotto, urtava accidentalmente contro la stufetta sita nei locali della portineria, cadendo e provocandosi lesioni; Cass. 28 gennaio 1999 n.774 ha affermato l’indennizzabilità dell’infortunio occorso a dipendente attinto da colpi di arma da fuoco mentre a bordo della propria vettura faceva ritorno alla sua abitazione, il quale era stato in precedenza aggredito e minacciato per la sua attività di addetto agli ordini di acquisto perché “non lasciava vivere altri candidati alle forniture; Cass. 21 aprile 1999 n.3970 nel caso di investimento del lavoratore che attraversava una strada urbana per recarsi a prendere l’autobus di linea ha ravvisato l’elemento specificante il nesso di occasionalità tra lavoro e infortunio nei tempi ristretti per l’utilizzazione del mezzo pubblico e nella verosimile compromissione delle condizioni psicofisiche riconducibili al lungo turno di lavoro ultimato poco prima; Cass. 5 ottobre 1988 n. 9888 ha ritenuto indennizzabile quale infortunio sul lavoro l’infarto del miocardio istantaneo occorso, anche se in presenza di precedente patologia del sistema cardiocircolatorio, al conducente di un treno in occasione dell’improvviso attraversamento dei binari da parte di una persona, a causa dello stress ricollegabile al timore dell’impatto con le medesime persone; Cass. 11 aprile 1998 n. 3744 ha ritenuto la connessione tra sinistro e attività lavorativa in relazione alle gravi ustioni causate ad un lavoratore, autista di autocarri, dal comportamento di una persona, che, disturbata dal continuo transito sotto la sua abitazione e nelle prime ore del mattino dei pesanti automezzi della ditta datrice di lavoro, aveva versato liquido infiammabile al passaggio del veicolo condotto da tale lavoratore.

[2] Cfr Cass 28 novembre 1998 n. 12122, in cui la lavoratrice assicurata si era infortunata scivolando sul fondo stradale ghiacciato mentre alle ore cinque circa di un mattino invernale si recava sul posto di lavoro per svolgervi le sue mansioni di addetta alla pulizia degli uffici e il giudice di merito, con la sentenza annullata dalla S.C. per la violazione del riportato principio di diritto, aveva escluso la operatività della copertura assicurativa per la inesistenza di un rischio superiore a quello comune a tutte le strade nel periodo invernale e per la mancanza di una specificità del rischio collegata ad una comprovata esclusività del percorso stradale).

[3] Cass 7 maggio 1997 n.3994

[4] come si legge in Cass. 23 ottobre 1997 n.10450, lo sforzo fisico idoneo a integrare una causa violenta di infortunio sul lavoro non deve essere necessariamente caratterizzato dalla eccezionalità, straordinarietà e imprevedibilità dei suoi effetti, né necessariamente deve esulare dalle condizioni tipiche del lavoro cui l’assicurato sia addetto, essendo sufficiente che consista in una erogazione di energia fisica, concentrata nel tempo, finalizzata a vincere una resistenza o una forza contraria (senza che occorra uno sviluppo di forza muscolare eccedente quella richiesta dal normale e abituale atto lavorativo) alla cui azione rapida ed intensa possa riconnettersi una lesione, in base ad un rapporto causale che, soprattutto se specificamente contestato, deve formare oggetto di adeguata motivazione da parte della sentenza di merito che riconosca all’assicurato il diritto alla relativa rendita

[5] lo sforzo consiste in un’erogazione di energia fisica concentrata nel tempo, non anche in una alterazione dell’integrità della salute del lavoratore derivante da una “causa lenta”, che contraddistingue le malattie professionali, in quanto originate, appunto, dall’azione continua della prolungata attività lavorativa: perciò Cass. 11 novembre 1996 n. 6610 ha escluso l’indennizzabilità quale infortunio del graduale processo di deterioramento dei tessuti nervosi della mano, e Cass. 22 gennaio 1987 n.618 ha escluso che fosse riscontrabile un infortunio sul lavoro in un’ipotesi in cui un lavoratore aveva sollevato una barra di ferro di 40 Kg., negando che tale operazione potesse costituire causa violenta in un processo degenerativo in atto della colonna vertebrale.

[6] Cass. 9 giugno 1994 n. 5602 ha negato che potesse essere qualificata come dipendente da causa di servizio la discopatia diagnostica per un dipendente delle Ferrovie dello Stato, sul rilievo che l’evento traumatico denunciato non aveva avuto alcuna incidenza causale nella produzione della infermità, costituendo solo l’elemento rivelatore, seppure dovuto ad occasione violenta, della sua esistenza

[7] Cass 5 ottobre 1998 n. 9888 ha  ritenuto indennizzabile quale infortunio sul lavoro l’infarto del miocardio istantaneo occorso, anche se in presenza di precedente patologia del sistema cardiocircolatorio, al conducente di un treno in occasione dell’improvviso attraversamento dei binari da parte di una persona, a causa dello stress ricollegabile al timore dell’impatto con le medesime persone

[8] Cass. 14 maggio 1994 n. 4736

[9] Cass. 26 ottobre 2000  n. 14085

[10] Nella Gazzetta Ufficiale n. 131 del 7 giugno 1994 e` stato pubblicato il decreto del Presidente della Repubblica n. 336 del 13 aprile 1994 (all. n. 1), con il quale le tabelle delle malattie professionali nell’industria e nell’agricoltura, allegati nn. 4 e 5 al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, e successive integrazioni e modificazioni, sono state sostituite dalle tabelle allegate al decreto stesso. (cfr la Circolare Inail 8 aprile 1995 n. 22 sulle istruzioni operative). Come enuncia lo stesso Istituto con circolare 8 giugno 1994 n.19: “Le nuove tabelle riflettono i progressi delle conoscenze mediche ed epidemiologiche in tema di nocivita` del lavoro, e costituiscono altresi` un adeguamento alle trasformazioni tecnologiche intervenute nella realta` produttiva. La tutela del rischio tecnopatico risulta notevolmente migliorata ed ampliata con l’inserimento di malattie e lavorazioni prima non contemplate, ma nel contempo razionalizzata, essendo stato corretto (ad esempio per le broncopneumopatie) ovvero eliminato (ad esempio per alcune lavorazioni otolesive) quanto non era piu` in linea con l’evoluzione scientifica o con i mutamenti tecnologici. In particolare, e` stata dedicata una speciale cura all’individuazione di forme nosologiche specifiche (per i tumori definendo anche l’organo bersaglio) ed alla descrizione analitica delle corrispondenti fonti di rischio. Le previsioni tabellari, inoltre, recepiscono gran parte delle indicazioni emerse dopo la sentenza n. 179/1988 della Corte costituzionale e riportano percio` equilibrio nel sistema, restituendo all’area di tutela non tabellata, affidata all’onere della prova a carico del lavoratore, il corretto ruolo di sussidiarieta` nei confronti dell’area tabellata, certa e salvaguardata da precise garanzie per l’assicurato. La nuova disciplina realizza anche un sostanziale allineamento con la legislazione comunitaria; non sussistono infatti significative divergenze rispetto all’elenco europeo delle malattie professionali oggetto della Raccomandazione CEE del 22.05.90,

[11] con Circolare 30 settembre 1997 n. 80 sulle “Nuove modalita` di trattazione delle pratiche di tecnopatie non tabellate”, l’Istituto dà atto che dopo l’entrata in vigore del D.P.R. n. 336/1994 (nuove tabelle delle malattie professionali), e verosimilmente per effetto dell’estensione di tutela ivi prevista, la tipologia di malattie non tabellate sottoposte all’esame centrale ai sensi della Circolare n. 35/1992 (circa n. 1900, nel periodo 1 settembre 1994 – 30 giugno 1997) si e` gradualmente circoscritta a: ipoacusie contratte in lavorazioni non tabellate (77%), malattie da posture incongrue e microtraumi ripetuti (17%), affezioni dell’apparato respiratorio e della cute su base allergica dovute a sostanze non tabellate (4%).

[12] Cass. 15 gennaio 1994 n.343, Cass. 4 giugno 2002 n. 8108. Cfr anche Cass. 8 maggio 1996 n. 4297: “l’accertamento che la malattia … sia astrattamente compresa fra quelle tabellate – e cioe’ derivante da una lavorazione tabellata (nella specie, carcinoma mammario, accertato come rientrante nella voce 40 dell’allegato 4, nel testo del d.P.R. 9 giugno 1975 n. 482, al d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, relativa a malattie causate da radiazioni ionizzanti, laser, onde elettromagnetiche e loro conseguenze) – comporta l’applicabilita’ della presunzione di eziologia professionale della patologia sofferta dall’assicurato, con il conseguente onere dell’I.N.A.I.L. di provare una diversa patogenesi della malattia stessa.”

[13] ma un minimo di elasticità pare consentita dalla pur rigida tabellazione: “le elencazioni contenute nelle indicate tabelle hanno carattere tassativo ma ciò, se vieta un’applicazione analogica delle relative previsioni, non è di ostacolo ad un’interpretazione estensiva della medesima, con la conseguenza che la suddetta presunzione è invocabile anche per lavorazioni non espressamente previste nelle tabelle, ma da ritenersi in esse implicitamente incluse, alla stregua dell’identità dei loro connotati essenziali, ferma restando l’inapplicabilità della presunzione stessa per quelle lavorazioni che presentino solo caratteri di mera somiglianza o prossimità con quelle tabellate”, insegna Cass 15 aprile 1994 n.3556

[14] Circolare 30 settembre 1997, n. 80

[15] Circa il grado di certezza cui il giudice debba spingersi nell’accertare il nesso di causa rinviamo al paragrafo dedicato all’argomento. Mentre oggi, per effetto di una recentissima pronuncia delle sezioni Unite in sede penale, è richiesto un grado di probabilità che si avvicini alla certezza, l’orientamento prevalente fino ad ora era ondivago, ma sostanzialmente imperniato sul criterio della sufficiente probabilità. Come si legge in una pronuncia in materia di malattie non tabellate piuttosto rigorosa sul punto “in tema di malattie professionali non tabellate, la conclusione del consulente tecnico di ufficio circa la sussistenza in termini di probabilità, invece che di certezza, del nesso causale fra lo svolgimento dell’attività lavorativa e la malattia riscontrata nel lavoratore non è di per sè sufficiente a fondare un giudizio di non indennizzabilità della malattia, dovendo il giudice valutare le conclusioni probabilistiche del consulente, con conseguente possibilità di tradurre le stesse in certezza giudiziale, alla stregua di ogni ulteriore elemento (eventualmente acquisibile mediante richiesta di chiarimenti o nuove indagini) che risulti utile in relazione alla situazione concreta, come, in particolare, l’entità e la durata dell’esposizione del lavoratore ai fattori di rischio associati all’attività lavorativa e l’incidenza di essi in rapporto all’eventuale esistenza di fattori esterni alternativi o concorrenti” (Cass. 3 aprile 1992 n. 4104).

[16] Cass 6 novembre 1993 n. 10970

[17] anche per tale elenco è previsto il sistema d’aggiornamento con cadenza annuale mediante decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale su proposta della Commissione

[18]Cass, 4 dicembre 2001, n. 15312 “La colpa esclusiva del lavoratore non osta all’operatività dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, salvo, anche in ipotesi di infortunio “in itinere”, il limite del “rischio elettivo“, inteso quale scelta di un comportamento abnorme, volontario e arbitrario da parte lavoratore, tale da condurlo ad affrontare rischi diversi da quelli inerenti alla normale attività, secondo l’apprezzamento del fatto al riguardo compiuto dal giudice di merito.(Nella specie, in riferimento ad un infortunio “in itinere” occorso ad un lavoratore che aveva utilizzato la propria autovettura per tornare dal lavoro alla propria abitazione, il giudice di merito aveva escluso l’indennizzabilità dell’infortunio, sulla base del rilievo che l’incidente era addebitabile alla colpa esclusiva del medesimo lavoratore, che non aveva osservato un segnale di “stop“; la S.C. ha annullato con rinvio tale sentenza, sulla base del riportato principio di diritto e dell’inerente rilievo che neanche l’addebitabilità dell’incidente alla violazione di una specifica prescrizione delle regole della circolazione stradale è idonea, di per sè, a configurare l’ipotesi del rischio elettivo)”.

[19]Si vedano anche Cass., 13 novembre 2000, n. 14682 “In materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (nel regime precedente alla riforma di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2000 n.38), il requisito dell’occasione di lavoro implica la rilevanza di ogni esposizione al rischio ricollegabile allo svolgimento dell’attività lavorativa in modo diretto o indiretto, assumendo così il lavoro il ruolo di fattore occasionale del rischio tutelato e il rischio elettivo quello di limite della copertura assicurativa, esclusa, invece, ogni rilevanza autonoma del grado maggiore o minore del rischio; ne consegue che ai fini dell’indennizzabilità di un infortunio occorso, lungo il percorso tra il luogo della propria dimora e il luogo di prestazione dell’attività lavorativa fuori sede, è necessario considerare che il mezzo di trasporto pubblico costituisce lo strumento normale per la mobilità delle persone e comporta il grado minimo di esposizione al rischio della strada, ed altresì che il rischio generico connesso all’impiego dei mezzi pubblici di trasporto assume una connotazione eziologica professionale, tanto da diventare rischio generico aggravato, allorché tale impiego sia imposto dalla necessità per il lavoratore di raggiungere il posto di lavoro o di ritornare presso la propria dimora. (Nella specie è stato ritenuto l’indennizzabilità dell’infortunio in “itinere” occorso in occasione dello spostamento dal posto di lavoro all’abitazione in un’ipotesi in cui il lavoratore aveva fatto uso del mezzo di trasporto pubblico)

- Cass., 28 settembre 2000, n. 12891 “L’indennizzabilità dell’infortunio in itinere subito dal lavoratore nel percorrere, con un mezzo proprio, la distanza fra la sua abitazione ed il luogo di lavoro – infortunio che ora trova una previsione espressa nel D.Lgs. 23 febbraio 2000 n.38, in attuazione della legge delega 17 maggio 1999 n. 144 – postula la necessita’ dell’uso del veicolo privato, adoperato dal lavoratore per il collegamento tra abitazione e luogo di lavoro, in ragione della mancanza di mezzi pubblici o, quando vi siano, allorché questi non consentano la puntuale presenza sul luogo di lavoro o si dimostrino eccessivamente disagevoli o gravosi in relazione alle esigenze di vita familiare

- Cass., 28 novembre 1998, n. 12122 “Nell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, la genericita’ della previsione legale circa il requisito della occasione di lavoro (art. 2 D.P.R. n. 1124 del 1965) lascia ritenere che il “quid pluris” caratterizzante il rischio proprio dell’infortunio “in itinere” sia ravvisabile non solo nel caso di obiettive caratteristiche del percorso obbligato conducente al posto di lavoro, ma anche in presenza di situazioni che, pur potendo teoricamente riguardare la generalità degli utenti della pubblica strada, siano collegate a determinate ed inconsuete circostanze (quali le condizioni meteorologiche particolarmente negative) e comportino un rischio aggravato che l’assicurato e’ obbligato ad affrontare proprio per necessita’ dovute all’espletamento del suo lavoro. (Nella specie, la lavoratrice assicurata si era infortunata scivolando sul fondo stradale ghiacciato mentre alle ore cinque circa di un mattino invernale si recava sul posto di lavoro per svolgervi le sue mansioni di addetta alla pulizia degli uffici e il giudice di merito, con la sentenza annullata dalla S.C. per la violazione del riportato principio di diritto, aveva escluso la operativita’ della copertura assicurativa per la inesistenza di un rischio superiore a quello comune a tutte le strade nel periodo invernale e per la mancanza di una specificita’ del rischio collegata ad una comprovata esclusivita’ del percorso stradale)

- Cass., 2001, n. 15617, Non è risarcibile come infortunio sul lavoro l’incidente in motorino avvenuto su un percorso che, data la vicinanza dell’ufficio all’abitazione del lavoratore, poteva agevolmente essere effettuato a piedi. Un ulteriore limite all’indennizzabilità del c.d. “infortunio in itinere” è stato posto dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, che ha respinto il ricorso di una impiegata fiorentina che rivendicava il diritto al riconoscimento dell’indennizzo INAIL per inabilità temporanea al lavoro in quanto, mentre si recava in ufficio con il motorino, aveva avuto un incidente. La Suprema Corte, confermando le decisioni di merito di primo e di secondo grado, le ha invece negato tale diritto rilevando che, se da un lato è indennizzabile l’infortunio in itinere in caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, purché necessitato, dall’altro la risarcibilità non sussiste quando la distanza – nel caso in questione di un chilometro – sia tale da poter essere percorsa a piedi

- Cass., 2001, n. 7387 “Il dipendente che, senza autorizzazione dell’azienda, usa il proprio ciclomotore per ragioni di lavoro, non ha diritto ad indennizzo nel caso di incidente, perché si espone ad un “rischio elettivo“. Questo il principio stabilito dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione che ha respinto il ricorso di una dipendente dell’ACEA nei confronti della ditta datrice di lavoro e dell’INAIL. La donna aveva utilizzato il proprio ciclomotore per recarsi presso gli uffici del Coreco di Roma per svolgere una pratica affidatale dal suo superiore e aveva subito un incidente stradale dal quale le erano derivati gravi danni. Sia l’INAIL che la datrice di lavoro avevano rifiutato di indennizzarla sostenendo che non vi era l’autorizzazione ad usare il ciclomotore. Sia il Pretore che il Tribunale di Roma avevano ritenuto infondata la domanda di indennizzo della lavoratrice la quale era ricorsa in Cassazione. La Suprema Corte ha respinto il ricorso della dipendente rilevando che nel caso in esame l’infortunio era dovuto al c.d. ” rischio elettivo” e cioè a scelta arbitraria del lavoratore, in quanto l’uso del ciclomotore non era stato autorizzato e gli accordi aziendali prevedevano l’impiego dell’automobile o dei mezzi pubblici. In presenza di un rischio elettivo infatti, deve escludersi sia la tutela assicurativa INAIL sia la responsabilità contrattuale del datore di lavoro

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