IL CASO “DI BELLA”: IL NOSTRO INTERVENTO IN DOTTRINA DEL 1998

 

IL CASO “DI BELLA”: IL NOSTRO INTERVENTO IN DOTTRINA DEL 1998

Omissis. Con ricorso, ex art. 700 cpc, il sig. Pinarello Giuseppe, assumeva: 1) che nel maggio del ’97 scoprì con diagnosi dell’Ospedale di Venaria (TO) di essere affetto da neoplasia polmonare e metastasi al surrene destro, per cui in data 1.8.97, fu ricoverato presso l’ospedale Piano di risanamento Luigi di Orbassano (Torino), ove fu sottoposto a chemioterapia (cura poi rilevatasi incompatibile con il suo precarissimo stato di salute), in data 27.12.97, fu ricoverato presso l’ospedale Molinette di Torino, ove l’11.1.98, gli fu diagnosticato anche un neurinoma dell’angolo ponto cerebrale, per cui ormai non è nemmeno più assoggettabile a radio o a chemioterapia; 2) che quindi egli intende sottoporsi alla cd. “Cura Di Bella” secondo le prescrizioni farmacologiche del dott. Antonio Fasano di Ugento (LE).  Il sig. Pinarello e i suoi familiari lamentavano che la somatostatina (lo Stilamin), il principale farmaco della cura Di Bella, mentre è gratuitamente prescrivibile, come farmaco di cd. fascia A, per alcune malattie, quali l’acromegalia, non è invece prescrivibile gratuitamente per la cura dei tumori (e in particolare per il tumore, di cui egli è affetto) ed è reperibile solo con difficoltà nelle farmacie italiane al costo di £ 500.000 circa a dose.

Pertanto il sig. Pinarello Giuseppe affidava ormai le sue speranze di sopravvivenza alla continuazione della cura Di Bella ed in particolare all’assunzione della somatostatina.

Pertanto il sig. Pinarello Giuseppe ha invocato, da questo pretore, il rispetto del suo diritto alla salute e alla vita, di cui all’art. 32 Cost. e ha chiesto, con ricorso cautelare urgente dell’art. 700 cpc, l’ordine di questo giudice alla ASL 6 di Venaria (Torino) che gli venga, in via temporanea, somministrata gratuitamente la somatostatina.

All’udienza, fissata da questo giudice ex art. 669 sexies cpc. Comparivano i rappresentanti della ASL 6 di Torino e resisteva alla domanda cautelare del Pinarello.

 

Motivi della decisione: Non par dubbio al giudicante che il diritto minacciato, nel caso di specie, è il fondamentale, incomprimibile, primario diritto alla salute, di cui all’art. 32 Cost, diritto difendibile anche contro comportamenti commissivi od omissivi della PA, diretti a comprimere tale diritto.  Il diritto alla salute è un diritto soggettivo “forte”, che si sottrae al meccanismo dell’affievolimento, di cui agli artt. 2, 4 e 5 L. 20.3.1865 n 2248 all.  E (sulla divisione dei poteri giudiziario e amministrativo), quando la sua tutela si richiede nei confronti della PA; il diritto alla salute esige “una difesa a tutta oltranza contro ogni iniziativa ad esso ostile” (parole di Cass. 6.10.1979 n. 5172 in Fo. It. 79, I, 2909); per cui il giudice dei diritti (tra cui il pretore) ha il potere di condanna al facere della pubblica amministrazione (così in citata sent. Cass. N. 5172, nonché in Cass. 11.2.87 n. 1470, Cass. 15.1.87 n. 310).

Nella fattispecie, in esame, il fondamentale diritto alla salute è in congiunzione con il più fondamentale diritto alla vita, minacciato da male gravissimo, per cui il malato invocando la libertà di cura, chiede solo di continuare, con l’assunzione di un farmaco (che per lui è ormai divenuto, soprattutto per il costo, quasi inaccessibile), di poter continuare la cura prescritta dal suo medico e che già gli ha dato dei risultati giovevoli (cfr., per il caso di un malato di cuore che era in un’interminabile lista di attesa per essere sottoposto ad operazione di by-pass coronarico, provv. Di questo pretore che si era espresso negli stessi termini [ord., ex art. 700 cpc, 25.3.91, di questo pretore in Il Nuovo Diritto ’91, pp. 956 ss. ]).

Secondo le testuali parole di Cass. Sez. Un 20.2.92 n. 2092 [in Fo. It. 92, I, p. 2123] il diritto alla salute, cioè il diritto di star bene, “fondamentale” per natura costituzionale (artt. 2 e 32 Cost.), è esso sovrastante alla pubblica amministrazione, di guisa che questa non ha alcun potere, neppure per motivi di interesse pubblico specialmente rilevante, non solo di affievolirlo (Cass. Sez. Un., 23.6.89 n. 2999), ma neanche di pregiudicarlo di fatto indirettamente.  È un diritto primario (Corte Costit. Sent. 18.12.87 n. 559) ed assoluto dell’individuo (Corte Costit. Sent. 27.7.79 n. 88), nei cui riguardi la PA non ha potere ablatorio, ma può essere passibile di provvedimento inibitorio da parte del giudice naturale dei diritti.  Verso il diritto alla salute l’amministrazione non ha facoltà di scelta, ma deve ad esso diritto assoluto ed incondizionato rispetto.  Quando la PA trasgredisca siffatto dovere, allora essa, come si suol dire agisce nel fatto anche se abbia o meno emesso apparenti provvedimenti.  Agisce nel fatto perché non essendo giuridicamente configurabile un suo potere in materia, essa, per il diritto, non provvede esplica comunque e soltanto attività materiale illecita e dunque, da parte del giudice, non vi sono provvedimenti amministrativi da revocare o modificare, ma semplicemente si tratta di emettere condanna da un fare di segno opposto al fatto lesivo del diritto alla salute dell’individuo e tale pronuncia compete al giudice ordinario.

Per cui il giudice ordinario può prendere i provvedimenti cautelari ed urgenti, di cui all’art. 700 cpc, atti ad eliminare o ridurre effetti che si adducano lesivi del diritto alla salute, pure con ordine o divieti nei confronti della pubblica amministrazione (così anche presidente Trib. Torino, ord. 16.11.94, Sagat c. Comune Caselle, in Giu. It. 95, I, 2°, p. 472).

Espressione del fondamentale diritto alla salute è la facoltà del cittadino di farsi curare nel territorio nazionale, secondo la sua scelta (come sancito dall’art. 19 co. II L. 23.12.78 n. 833, istitutiva del servizio unitario nazionale, cfr. anche citata ord. 25.3.91 di questo pretore).  E l’art. 25 di questa legge con numerose disposizioni specificative fissa la regola generale delle prestazioni mediche, ambulatoriali ed ospedaliere, a carico delle strutture sanitarie locali o convenzionate nel comune di residenza del cittadino o nel territorio della regione.  Di recente le Sezioni Unite della Cassazione [Sent. 12.6.97 n. 5297 in Fo. It. 97, I, 2075] hanno ribadito che per il rimborso delle spese di ricovero, avvenuto all’estero e necessitato da ragioni di urgenza, comportanti pericolo di vita o di aggravamento della malattia o di non adeguata guarigione, manca un potere autorizzatorio della PA di fronte al diritto assoluto della salute di una persona, per cui questa ha diritto di rivolgersi al giudice ordinario per tale tutela.

Di fronte a questo preciso quadro normativo e giurisprudenziale è innegabile ad un cittadino, il cui diritto alla salute, sia minacciato da grave malattia neoplastica, il diritto di continuare a curarsi con i farmaci, prescrittigli da un medico, iscritto all’albo e che ha prestato il giuramento di Ippocrate, cura che peraltro al malato, secondo soprattutto il suo giudizio di persona capace di intendere e di volere, ha già dato effetti giovevoli al suo stato di salute.

E il fondamentale individuale e incomprimibile, anche per la PA, diritto alla salute non può essere scalfito da scelte tecniche dell’amministrazione sanitaria di dare gratuitamente il farmaco solo per alcune malattie o solo nell’ambito di una sperimentazione, medico-farmacologica, che solo a breve dovrebbe avere inizio.  Per cui questo farmaco, che è già a disposizione del Servizio Sanitario Nazionale, deve essere dato a che, a suo insindacabile giudizio e del suo medico curante, lo chiede per allargare le sue aspettative di salute e di vita.

A fortiori il farmaco deve essere dato gratuitamente al malato, che, trovandosi nelle suddette condizioni, non ha abbastanza denaro per comprarlo o non è in grado di andare in giro per le farmacie italiane ed estere per acquisirlo.

Nel caso del sig. Pinarello Giuseppe dimostrato dalla sua cartella clinica e dalle allegate ricette del dott. A. Fasano, dalla gravità del male, come da recente certificazione, 16.1.98, nonché dal sommario interrogatorio della di lui moglie in udienza, che egli è nelle condizioni di ottenere in via temporanea ed urgente la somatostatina dalla ASL di 1 di Torino.

Pertanto il pretore emana i provvedimenti, interinali ed urgenti, come da dispositivo, in attesa del giudizio di merito.

 

P.Q.M. – Il Pretore, visti gli artt. 32 Cost, 700 e 669 sexies cpc, ordina alla A.S.L. n.6 di Venaria Reale (Torino), in persona del suo legale rappresentante pro tempore, di consegnare, senza spese per il paziente, a Pinarello Giuseppe o a persona da lui incaricata, le dosi di somatostatina di mg. 3 (prescritte dal dott. Fasano), necessarie per gg. 30, e così di seguito secondo le prescrizioni del di lui medico curante, nonché di tutti gli altri farmaci della cd. cura Di Bella, che il medico curante gli potrà prescrivere durante le more del giudizio di merito e nei limiti di questa competenza;

in via subordinata ordina alla A.S.L. n.6 di Venaria, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, di consentire, solo previo consenso del sig. Pinarello Giuseppe e della di lui moglie e del di lui medico curante, che tutti i farmaci della cura Di Bella gli vengano gratuitamente somministrati in day-hospital o con l’assistenza del medico pubblico domiciliare;

fissa per l’inizio del giudizio di merito la data di gg. 30 dalla comunicazione scritta.  Si comunichi d’urgenza, anche in via telefonica (e al dott. Rivara, commissario della USL 6 di Venaria (Torino), via fax.

Torino lì 30.1.98

 

 

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(1-2) Il “caso Di Bella” e le nuove frontiere del diritto costituzionale alla salute:

quali limiti al c.d. “diritto  alla  libertà terapeutica”?

 

1. Introduzione: i conflitti giuridici della “vicenda Di Bella”.

 

L’ordinanza, che commentiamo in questa nota, si inserisce a pieno titolo nella complessa vicenda che dal dicembre del 1997 ha visto al centro dell’attenzione pubblica il metodo terapeutico anticancro seguito dal fisiologo modenese Di Bella (il c.d. multitrattamento Di Bella).

Il Pretore di Torino, Dott. Toscano, era infatti chiamato da un malato terminale di cancro ad ordinare d’urgenza all’azienda sanitaria di Venaria la somministrazione gratuita della somatostatina, il farmaco base della “cura Di Bella”.

Per meglio apprezzare la soluzione prospettata dal giudice che ha emesso l’ordinanza in esame, è opportuno ricordare a livello meramente introduttivo alcuni dati generali inerenti il c.d. “caso Di Bella”, tenendo tuttavia presente che la vicenda in questione è tuttora in pieno svolgimento[1].

Come in altri casi assunti agli onori della cronaca italiana, anche per la controversia sorta in relazione alla “cura Di Bella” risulta oggettivamente difficile individuare gli episodi iniziali.

Fattori scatenanti sono stati senz’altro la difficile reperibilità sul mercato italiano della somatostatina e, di conseguenza, i costi elevati della terapia del fisiologo modenese.

Alla luce di quanto successo ci pare ad ogni modo possibile identificare uno dei momenti cruciali dell’intera vicenda nell’ordinanza del 16 dicembre 1997, con cui  il Pretore di Maglie  ha imposto all’Azienda Sanitaria n. 2 di Lecce la somministrazione gratuita della somatostatina ad un paziente affetto da cancro[2].

Il provvedimento del pretore pugliese ha infatti dato un notevole impulso ai sostenitori della cura del medico modenese, incoraggiandoli nello scontro con la “medicina ufficiale”.

In questi ultimi mesi abbiamo poi assistito a tutta una serie di eventi inediti in un campo come quello del diritto alla salute: accesi dibattiti e roventi polemiche tra i più disparati esponenti della nostra cultura; scontri, privi di precedenti, tra il Ministro della Sanità, le aziende sanitarie locali, le Regioni e la magistratura (in particolare taluni pretori, il T.A.R. del Lazio ed il Consiglio di Stato); manifestazioni di piazza in nome della c.d. “libertà di terapia”; veri e propri assalti alle farmacie da parte di pazienti a caccia del farmaco guaritore; oncologi di chiara fama mondiale relegati nell’angolo ed una sperimentazione umana imposta e condizionata nelle sue regole dall’opinione pubblica.

In questo contesto, accanto alle varie forze politiche ancora una volta impegnate in grandi manovre di auto-promozione, i giornali ed i canali televisivi hanno giocato un ruolo decisivo, cimentandosi con servizi a ciclo continuo ed interpretazioni giuridiche spesso fuorvianti. Al riguardo ci pare indubbio che molte anomalie della vicenda in questione siano da ascriversi più che altro allo strano circuito dei mass media nazionali.

Al di là tuttavia dei singoli episodi e della partecipazione dell’opinione pubblica (senz’altro interessante per chi fosse intenzionato a condurre degli studi sociologici sull’Italia d’oggi), a noi preme qui evidenziare gli aspetti giuridici che hanno caratterizzato il confronto verificatosi tra i sostenitori della “cura Di Bella” e l’apparato sanitario statale.

Della vicenda relativa alla somatostatina il diritto costituisce infatti una chiave di lettura decisamente importante[3].

La contrapposizione tra le parti coinvolte si è giocata essenzialmente sulla determinazione dei contenuti e dell’estensione da attribuirsi al diritto alla salute: si è presentato cioé ancora una volta il problema del rapporto tra diritti individuali e interessi pubblici.

a)    I principi giuridici alla base delle tesi dei sostenitori della ‘cura Di Bella’: il diritto alla salute inteso come diritto alla libertà terapeutica.

In sintesi si può notare che i “dibellisti[4] hanno innalzato a loro bandiera il c.d. “diritto alla libertà terapeutica”, ricondotto direttamente all’art. 32 della Costituzione che, come noto tra i giuristi, statuisce quanto segue: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti al rispetto della persona umana[5].

Ciò che è importante rilevare è che siffatta nuova forma di libertà personale è stata intesa sin dall’inizio del “caso Di Bella come il diritto dei cittadini ad optare anche per terapie non sperimentate secondo le procedure previste dall’ordinamento positivo. A questa particolare forma di libertà di scelta è stato collegato l’ulteriore diritto dei malati, che si affidano a cure alternative a quelle “ufficiali”, di ricevere comunque gratuitamente dalla sanità pubblica le sostanze previste dalla terapia alternativa adottata.

I “dibellisti” hanno insomma sostenuto una lettura molto ampia del diritto alla salute, allargandone il contenuto oltre l’ambito raggiunto in questi anni per merito della giurisprudenza e della dottrina.

b)    La posizione del Ministro della Sanità e del Governo: il richiamo al rispetto delle regole per la sperimentazione umana.

Il Ministro della Sanità, sostenuto dalla c.d. “medicina ufficiale” (in particolare la Commissione Unica del Farmaco e l’Ordine dei Medici, ma anche il Comitato Nazionale di Bioetica e larga parte della comunità scientifica internazionale), è stato decisamente contrario all’erogazione a spese dello Stato di farmaci a base di somatostatina e di octreotide[6] per il trattamento di pazienti affetti da neoplasie metastatizzate[7].

A grandi linee i rilievi del Ministero si sono incentrati sulla semplice constatazione che si verrebbe a configurare una vera e propria anomalia, se la struttura pubblica promuovesse e ponesse a carico del Servizio Sanitario Nazionale l’impiego sistematico di farmaci per indicazioni diverse da quelle approvate con il rilascio dell’autorizzazione alla loro immissione in commercio[8]: poiché il sistema normativo positivo prevede determinati iter per l’immissione nel mercato di prodotti farmaceutici, è compito in primis del Ministero alla Sanità e, più in generale, dei vari organi competenti fare sì che le regole siano rispettate, proprio a tutela della salute dei cittadini.

Sul punto non sono mancati scontri soprattutto tra il Ministero della Sanità e numerose strutture amministrative sanitarie locali le quali, rivendicando in taluni casi la propria autonomia gestionale, hanno concesso gratuitamente le sostanze della terapia del Prof. Di Bella.

In aperta polemica contro siffatte iniziative delle A.S.L., il Ministero della Sanità ha ricordato che, in forza del D.M. del 28 luglio 1977 (Regolamento per l’esecuzione degli accertamenti della composizione e della innocuità dei prodotti farmaceutici di nuova istituzione prima della sperimentazione clinica sull’uomo)[9], la sperimentazione sull’uomo di medicinali per indicazioni diverse da quelle già approvate deve necessariamente seguire determinati iter procedurali[10].

Lo stesso Ministero ha altresì rilevato che le iniziative delle varie aziende sanitarie locali non potrebbero comunque trovare legittimazione nella disciplina del c.d. “uso compassionevole” dei farmaci, di cui al decreto-legge 21 ottobre 1996, n. 536, convertito in legge 23 dicembre 1996, n. 648[11], in quanto, malgrado la normativa ivi prevista consenta, quando non sussiste valida alternativa terapeutica, l’erogazione a totale carico del Servizio Sanitario Nazionale sia di farmaci innovativi autorizzati in altri Stati ma non sul territorio nazionale, sia di medicinali non ancora autorizzati ma già sottoposti a sperimentazione clinica e sia di medicinali da impiegare per un’indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata, siffatta possibilità è tuttavia ammessa per i soli prodotti per i quali la Commissione Unica del Farmaco si è espressa favorevolmente in relazione all’indicazione terapeutica proposta.

Alle A.S.L. ed alle Regioni[12] il Ministro della Sanità ha infine ricordato che l’art. 32 della legge 27 dicembre 1997, n. 449 prevede specifiche sanzioni a carico delle Regioni, delle A.S.L., delle aziende ospedaliere, dei direttori generali e del restante personale in caso di inadempimenti agli obblighi imposti da leggi dello Stato per il contenimento della spesa sanitaria.

Lo scontro tra il Ministero della Sanità e i “dibellisti” si è dunque sviluppato su due letture diametralmente opposte dell’art. 32 Cost.: il Governo ha portato avanti una politica di difesa della salute a livello collettivo, sostenendo che il diritto dei singoli alla c.d. “libertà di terapia” incontra necessariamente i suoi limiti nell’interesse pubblico alla protezione della salute e pertanto nelle modalità con cui il bene salute viene tutelato dallo Stato, a partire dalle procedure previste per la sperimentazione umana fino alle scelte di contenimento della spesa pubblica; sull’altra sponda i sostenitori della cura Di Bella si sono arroccati su una concezione decisamente individualistica del diritto alla libertà terapeutica, assoluto, senza vincoli di sorta e al di sopra di qualsiasi norma interna o internazionale.

In questo contesto è intervenuto il T.A.R. del Lazio su ricorso dell’associazione di tutela dei diritti del malato, il Codacons: con ordinanza del 9 febbraio 1998[13] il T.A.R., ritenendo violato l’articolo 1, comma 4, del decreto-legge n. 536/1996, ha imposto al Ministero della Sanità di erogare gratuitamente la somatostatina negli ospedali, su prescrizione dei sanitari ospedalieri, ai malati di cancro in fase avanzata. Il Ministero della Sanità ha ovviamente interposto appello al Consiglio di Stato contro siffatta ordinanza.

Mentre si attendeva la risposta del Consiglio di Stato, è stato emanato su proposta del Governo il decreto-legge del 17 febbraio 1998, n. 23, recante disposizioni urgenti in materia di sperimentazioni cliniche in campo oncologico e altre misure in materia sanitaria[14].

Il decreto è stato emesso in conseguenza della “straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni volte a disciplinare, in via eccezionale, la sperimentazione clinica del <multitrattamento Di Bella> e l’impiego di medicinali per indicazioni terapeutiche non autorizzate” e dunque  “per far fronte a una situazione di carattere straordinario  determinatasi nel Paese a seguito del frequente ricorso da parte dei medici, per il trattamento di patologie oncologiche, a farmaci autorizzati con diverse indicazioni terapeutiche ed alla conseguente pretesa degli interessati di ottenere, attraverso rimedi giurisdizionali,, l’erogazione gratuita dei farmaci prescritti”.

In forza del comma primo dell’art. 1, “al fine di verificare l’attività in campo oncologico dei medicinali impiegati secondo il <multitrattamento Di Bella> (MDB), quale definito in atti sottoscritti e depositati presso il Ministero della sanità, il Ministro della sanità concorda con le regioni e le province autonome un programma coordinato di sperimentazioni cliniche, anche in deroga alle disposizioni vigenti”.

Siffatto programma prevede sperimentazioni da condursi su pazienti che abbiano reso il proprio consenso informato, secondo protocolli approvati dalla Commissione Oncologica Nazionale sentita la Commissione Unica del Farmaco, presso istituti di ricovero e cura a carattere scientifico ad indirizzo oncologico e strutture ospedaliere ed universitarie; sui protocolli viene acquisito l’avviso di un comitato etico nazionale appositamente istituito con decreto ministeriale; il Ministro verifica la disponibilità delle aziende produttrici dei medicinali a fornirli gratuitamente per la sperimentazione e adotta misure di contenimento degli oneri per la fornitura dei medicinali ai centri; il Ministero della Sanità stanzia la somma di 10 miliardi per il 1998; è sancita la validità ed efficacia di provvedimenti ed atti posti in essere ai fini della sperimentazione del MDB (multitrattamento Di Bella) anteriormente alla entrata in vigore del decreto, purchè conformi alla disciplina in esso prevista (art. 1, comma 8); premesso che il medico deve attenersi alle indicazioni previste dall’autorizzazione all’immissione in commercio, in singoli casi egli può sotto la sua diretta responsabilità e con il consenso informato del paziente, impiegare un farmaco per utilizzazioni diverse qualora ritenga in base ad elementi obiettivi che il paziente non possa essere utilmente trattato con medicinali “tradizionali”, purchè tale impiego sia consolidato e conforme a linee-guida o lavori apparsi su pubblicazioni scientifiche accreditate in campo internazionale (art. 3); il prezzo dei medicinali viene concordato dal Ministro della sanità con le aziende farmaceutiche produttrici; si impone a medici e farmacisti una serie di adempimenti burocratici, gravemente sanzionati, tesi a fornire al Ministero costante informazione sulle prescrizioni del multitrattamento sul territorio nazionale (artt. 4 e 5).

Il decreto-legge in questione non ha risolto purtroppo i contrasti tra le parti e non è soprattutto riuscito nell’auspicato tentativo di riportare l’intera vicenda sui binari della normalità e del rispetto delle regole: ciò malgrado emerga un notevole impegno del Governo nella realizzazione della sperimentazione del metodo di cura del fisiologo modenese.

Sono state infatti immediate le reazioni critiche del Prof. Di Bella e dei suoi sostenitori, in conseguenza delle quali si prevedono possibili modifiche al testo: il dibattito è attualmente in corso in Parlamento.

Al di là dell’acceso scontro con la famiglia Di Bella ed i supporters della cura in merito al decreto-legge, è importante ricordare qui che il Governo, proprio in seguito all’emanazione del provvedimento del 17 febbraio, si è trovato coinvolto in un delicato conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato.

Il Consiglio di Stato infatti, decidendo sull’appello promosso dal Ministro della Sanità avverso l’ordinanza del T.A.R. del Lazio del 9 febbraio, ha criticato il quadro normativo derivante dal decreto-legge del 17 febbraio, in quanto originante “una irragionevole discriminazione in danno dei farmaci del metodo Di Bella[15].

Sollevando la questione di legittimità costituzionale del provvedimento legislativo in questione, il Consiglio di Stato ha dato ragione alle tesi del T.A.R. del Lazio, confermandone l’ordinanza impugnata fino all’esito del giudizio avanti la Corte Costituzionale.

A fronte della mancata esecuzione da parte del Ministero della Salute della prima ordinanza del giudice amministrativo laziale ormai diventata inoppugnabile a seguito dell’intervento del Consiglio di Stato, il T.A.R. del Lazio, con ordinanza esecutiva del 9 marzo[16], ha infine imposto, in netta contrapposizione con le scelte del Ministero della Salute, la somministrazione gratuita della “cura Di Bella” ai malati terminali che si trovino in fase critica di malattia molto avanzata a prescindere dal loro inserimento nei programmi di sperimentazione ed ha nominato il direttore dell’Istituto Superiore di Sanità commissario ad acta con il compito di eseguire il provvedimento e di conseguenza vigilare sulla distribuzione dei farmaci impiegati nel “multitrattamento Di Bella”.

Siffatto conflitto di attribuzione sarà dunque oggetto di una decisione della Corte Costituzionale, dalla quale è lecito attendersi un pronunciamento a più ampio raggio, definitivo e risolutivo delle varie questioni giuridiche emerse nel corso della vicenda: la decisione della Consulta dovrà soprattutto fornire un contributo rivolto al futuro, sancendo pertanto chiari ed inequivocabili principi in tema di libertà di cura e sperimentazione umana.

Qualunque sia la risposta che verrà dal giudice costituzionale, essa non potrà comunque costituire un verdetto sull’efficacia della “cura Di Bella”: l’unica fonte legittimante di un metodo terapeutico, ci sia concesso, rimane la scienza medica.

 

2.  L’ordinanza  torinese   e  la  giurisdizione   del  giudice  ordinario  per la tutela

d’urgenza  del diritto alla salute.

Nella “vicenda Di Bella” i pretori, chiamati in via d’urgenza da malati terminali a decidere se concedere o meno la sommistrazione gratuita della somatostatina, hanno occupato e tuttora ricoprono un ruolo fondamentale.

E’ infatti innegabile che le ordinanze pretorili, nel loro complesso, abbiano contribuito a forzare i tempi per l’avvio della sperimentazione: questa funzione è stata del resto riconosciuta dallo stesso decreto-legge del 17 febbraio 1998, n. 23.

Il compito, che i vari pretori si sono trovati a svolgere, non è stato certo tra i più facili: la concessione, in via d’urgenza, di un farmaco ad un malato terminale che ne fa richiesta, importa una decisione che è ben difficile operare nell’angusto ambito dei tecnicismi giuridici.

L’ordinanza del Pretore di Torino, che ora commenteremo, fornisce delle risposte molto interessanti al quesito, centrale nel “caso di Bella”, se la libertà terapeutica dei privati debba prevalere sugli schemi di tutela scelti dallo Stato a protezione dei beni salute e vita.

Il tema giuridico fondamentale sotteso al caso in esame consiste nell’individuazione del fondamento del potere del giudice ordinario di concedere provvedimenti cautelari nei confronti della P.A., dato atto che l’art. 700 c.p.c. prevede la tutela d’urgenza per i soli diritti soggettivi, con esclusione degli interessi di fatto, degli interessi legittimi e delle obbligazioni naturali.

Il Pretore di Torino spende non poca parte della motivazione dell’ordinanza per affermare, con forti ragioni di diritto, la propria giurisdizione.

Queste le prospettazioni giuridiche portate all’attenzione del magistrato: da una parte la tesi della diretta applicabilità dell’art. 32 Cost. a tutela del diritto del cittadino a curarsi avvalendosi “dell’ultimo filo di speranza che lega il ricorrente alla vita”, tenuto conto che – stanti le precedenti decisioni in materia adottate da altri giudici – il diniego di tutela nel caso di specie si sarebbe posto in contrasto con l’art.3 Cost.; dall’altra la tesi per cui la domanda, sostanziandosi nella richiesta di atti conseguenziali all’inserimento del farmaco nella classificazione delle specialità medicinali essenziali di cui all’art. 8 comma 10 L. 537/1993 da parte della C.U.F., postulasse una pronunzia giudiziaria sostitutiva della valutazione dell’organo amministrativo, per giunta in presenza di incertezza in ordine all’efficacia del farmaco, e che la concessione del provvedimento cautelare importasse la disapplicazione della legge che prevede l’intervento dell’organo amministrativo, nonché un rilevante onere finanziario rispetto al quale non è certa la copertura.

Prima facie il dato normativo, in virtù dell’art. 4 L. 20 marzo 1865 n.2 248 all. E, non pare ammettere provvedimenti cautelari tendenti a paralizzare l’efficacia di un atto amministrativo[17].

Tuttavia, giurisprudenza e dottrina paiono concordi nel ritenere che il Giudice Ordinario, senza incappare nella violazione di tale divieto, possa ordinare alla P.A. un facere tanto nelle situazioni nelle quali la P.A. iure privatorum utitur (ove l’amministrazione agisce al di fuori dei propri fini istituzionali), quanto nel caso in cui questa ponga in essere atti contrastanti con le norme di azione che ne regolano l’attività e illegittimamente lesivi di diritti soggettivi[18].

Il caso di specie deve inquadrarsi in questa seconda categoria, così come lo inquadra il Pretore di Torino.

La giurisprudenza della Suprema Corte, a partire dalla fondamentale sentenza n. 5172 emessa a Sezioni Unite il 6 ottobre 1979[19],  è uniformemente orientata nell’affermare che quello alla salute è diritto costituzionalmente garantito dall’art. 32 Cost. “e quindi situazione sicuramente provvista di strumentazione giuridica e di azionabilità giurisdizionale” mediante la protezione più piena, “quella propria dei diritti fondamentali o inviolabili della persona umana”, contro ogni iniziativa ostile proveniente anche dalla P.A.

Le Sezioni Unite, individuato un pregnante fondamento storico giuridico nel fatto che “i diritti fondamentali sono per tradizione dal diritto costituzionale garantiti in primo luogo contro l’autorità pubblica”, prendevano atto della tendenza dell’ordinamento ad identificare il diritto alla salute in un diritto “sociale” del privato a pretendere attività positive da parte della P.A.

Si deve pertanto considerare il diritto alla salute quale diritto soggettivo assoluto, primario e fondamentale[20], come tale non comprimibile dalla P.A. e mai degradabile ad interesse legittimo: correlativamente, il potere della P.A. di incidere sul diritto alla salute o alla vita dovrà intendersi esclusivamente in senso migliorativo o preventivo.

Riconosciuta tale e tanta valenza al diritto alla salute, spostato il fondamento legislativo in subiecta materia dall’art. 4 all’art.2 della legge di abolizione del contenzioso amministrativo del 1865, non si scorgono ostacoli al potere del giudice ordinario di conoscere e provvedere in sua difesa anche, ricorrendone i presupposti, accordando la tutela d’urgenza.

L’indirizzo delle Sezioni Unite è stato nel corso degli anni oggetto di recezione e sviluppo in ulteriori pronunzie[21].

Tra queste il Pretore di Torino cita ampiamente la decisione della Cassazione a Sezioni Unite in Gerardi c. Azienda per la promozione e lo sviluppo del Mezzogiorno[22], la quale, cassando una sentenza della Corte d’Appello di Potenza, rinviava la causa alla Corte d’Appello di Napoli enunciando il seguente principio di diritto: “Il giudice ordinario può condannare la pubblica amministrazione ad un fare per eliminare il pregiudizio da essa arrecato al diritto di salute dell’individuo”.

Qui il giudice di legittimità afferma che l’art. 4 della legge di abolizione del contenzioso amministrativo protegge l’autorità amministrativa nei soli casi in cui la P.A. abbia il “potere” di porsi in posizione sovraordinata rispetto alla situazione giuridica del cittadino. Ipotesi che non ricorre mai quando tale situazione corrisponde con un diritto fondamentale costituzionalmente garantito, primario ed assoluto, in quanto tale sovrastante all’amministrazione stessa. Questa non ha alcun potere di “affievolirlo ma neanche di pregiudicarlo nel fatto, indirettamente”.

In applicazione dei principi così enucleati, la giurisprudenza di merito non ha tardato ad emettere provvedimenti in via cautelare ordinando o vietando un facere alla P.A. . Consta, oltre a quello citato dal Pretore di Torino nell’ordinanza in esame[23] su cui infra, una nutrita serie di altri precedenti[24].

Si evidenzia in particolare, per chiara analogia con il caso in esame, la decisione del Pretore di Enna[25]: con provvedimento ex art.700 c.p.c., il Pretore in questione adito da un paziente indigente che chiedeva la somministrazione gratuita di un farmaco per lei costoso ed assolutamente indispensabile (R.P.Rebif 3 M.U.I.) ma non più o non ancora ricompreso tra quelli posti a carico del S.S.N, ha ordinato alla U.S.L. competente di provvedere a fornire direttamente e gratuitamente il medicinale richiesto. Anche in questo caso il giudice ordinario ha ancorato il fondamento della posizione soggettiva sottesa all’emissione del provvedimento d’urgenza alla norma costituzionale di cui all’art. 32 Cost., ritenendo che la prestazione di un trattamento farmacologico, giudicato indispensabile da struttura medica altamente specializzata, da parte delle strutture sanitarie “non può non considerarsi come contenuto di un diritto soggettivo facente capo all’interessata e come tale tutelato in via immediata e diretta”.

In materia analoga la Suprema Corte, in Abbatescianni c. U.S.L. n. 9 Bari[26], ha statuito che il diritto alla assistenza farmaceutica, articolazione del diritto alla salute, comprende la somministrazione di farmaci che, sebbene non inclusi nel prontuario farmaceutico nazionale, risultino indispensabili per il trattamento di gravi condizioni o sindromi morbose che esigono terapie di lunga durata; conseguentemente il giudice ordinario deve disapplicare il prontuario medesimo che, in contrasto con norma a carattere imperativo, non includa farmaci dotati delle menzionate caratteristiche. La pronuncia merita attenzione perché il principio così enucleato, del diritto alla somministrazione di farmaci non inclusi nel prontuario solo quando risultano indispensabili ed insostituibili, non inficia ma conferma la legittimità delle limitazioni dell’assistenza farmaceutica per cui i farmaci prescrivibili a carico del S.S.N. sono quelli indicati nel prontuario in base al criterio dell’efficacia terapeutica e dell’economicità del prodotto. In tali casi, sostiene la Corte, il giudice deve accertare se la spesa per il farmaco non compreso nel prontuario può essere posta a carico del S.S.N.  e se ricorrono vizi di legittimità nell’esercizio del potere discrezionale del ministro inficianti l’esclusione del farmaco dal prontuario in base ai criteri suddetti.

Il Pretore torinese, come ricordato, cita l’intervento del Tribunale di Torino[27] con cui quest’ultimo, in sede di reclamo avverso la decisione del Pretore di Ciriè[28], si è occupato della nota vicenda nella quale il Comune di Caselle Torinese e 25 residenti, lamentando che l’attività aeroportuale dello scalo di Caselle recasse loro pregiudizio intollerabile, erano ricorsi ex art. 700 c.p.c.,  domandando “i provvedimenti d’urgenza idonei a tutelare i loro diritti, quali il divieto di decollo dalla pista dell’aeroporto Città di Torino posta in direzione dell’abitato di Caselle, nonché il divieto dei voli nelle ore notturne, il divieto dei voli acrobatici nell’abitato e l’ordine di provvedere immediatamente ad un congruo progetto di bonifica acustica”.

Rilevato che “per l’osservanza del disposto dell’art. 4 della legge abolitiva del contenzioso amministrativo bisogna fare riferimento al criterio del petitum sostanziale, in base al quale la discriminazione della giurisdizione va effettuata in relazione alla posizione giuridica fatta valere (causa petendi), mentre il petitum rileva solo ai fini della determinazione dei poteri  che, nella sfera della propria competenza, sono attribuiti a ciascun giudice. Peraltro tale criterio non ha risolto uniformemente, nelle pronunce giurisprudenziali di merito e di legittimità, l’annoso problema dei concreti limiti imposti al giudice ordinario dall’art.4 cit.”, il Pretore di Ciriè si era uniformato all’indirizzo dalla S.C. “in base al quale, quando si assume violato il diritto alla salute, costituzionalmente garantito, compete al giudice ordinario il potere di inibire tutti gli atti o comportamenti della Pubblica Amministrazione, idonei a determinare pregiudizio al cittadino e ad una determinata collettività, a causa della mancata adozione di apposite cautele”.

Il Tribunale di Torino, in sede di giudizio di reclamo, ha condiviso l’opinione del Pretore di Ciriè sottolineando come “unica eccezione a questa regola potrebbe essere il caso di una condotta o di un atto  amministrativo dovuti in forza di legge, perché il Giudice non potrebbe obbligare l’Amministrazione, come chiunque altro, ad agire in violazione della legge”.

Nell’affrontare il caso della terapia Di Bella, il Pretore di Torino ha ritenuto che il diritto alla salute del malato fosse illecitamente compresso, scalfito e limitato dalla scelta dell’amministrazione sanitaria di non concedere gratuitamente la somatostatina per la cura di malattie di natura neoplastica.

Il Giudice ha infatti statuito che la prescrizione a paziente indigente di un farmaco da parte di un medico “iscritto all’Albo e che ha prestato il giuramento di Ippocrate” unitamente alla volontà del paziente soddisfatto di continuare la cura, siano condizioni sufficienti per ritenere sussistente il diritto alla somministrazione gratuita e correlativamente integrata la lesione del diritto alla salute da parte della Amministrazione.

La delicatezza della decisione è evidente in tutta la sua gravità: il Pretore si trova a dover bilanciare i diritti del malato alla terapia e del medico alla libertà di prescrizione con i vincoli dati dalle disponibilità di bilancio dell’amministrazione sanitaria e, soprattutto, con l’assenza di una certezza scientifica in merito alla terapia medesima.

L’individuazione del fumus boni iuris, in questo caso, assume una valenza che a nostro parere va oltre l’individuazione del diritto tutelabile (la salute), implicando necessariamente un pre-giudizio di merito sulla presumibile efficacia del farmaco. Con l’ulteriore peculiarità che l’operazione viene effettuata dal magistrato stesso, senza l’ausilio formale del consulente tecnico (pur operando in stretta collaborazione con i Primari delle strutture ospedaliere e sanitarie locali).

Non si deve sottovalutare che la sperimentazione del metodo Di Bella è stata avviata (a furor di popolo) dopo l’intervento della magistratura, a partire dalle decisioni del Pretore di Maglie, e che pertanto i giudici si sono assunti – ancora una volta – la onerosa responsabilità di supplire alle deficienze o ai ritardi di altri poteri statuali.

Il plauso nei confronti dell’operato dei giudici, d’altro canto, non deve far dimenticare che allo stato non vi è alcuna garanzia in merito al risultato che i pazienti-ricorrenti attendono dalla terapia, proprio perché essa non è il frutto di una sperimentazione scientificamente valida, ma solo della – pur imponente – esperienza individuale di uno scienziato (e dei suoi “seguaci”) autorevole ma, per ora, sostanzialmente isolato rispetto alla comunità scientifica.

Argomentando sulla base dei principi di cui alla sentenza della Cassazione n. 8661 del 1996 summenzionata (Abbatescianni c. U.S.L. n. 9 Bari) , è ancora tutta da provare l’efficacia terapeutica non tanto del prodotto somatostatina in sé rispetto alle malattie oncologiche, quanto del prodotto nel suo esser componente del “cocktail” Di Bella. Con l’avvertenza che il caso in esame è assai complesso, poiché non si tratta di accertare se un farmaco sia stato illegittimamente escluso dal prontuario, ma in buona sostanza di decidere se una intera terapia abbia caratteristiche tali da essere dispensata gratuitamente dallo Stato.

Il magistrato è davvero in grado di escludere che la somatostatina somministrata gratuitamente dietro suo ordine al malato di tumore sia, se non fruttuosa ed efficace come sperato, almeno del tutto immune da pericoli o da effetti collaterali imprevisti? Quid iuris nella malaugurata ipotesi in cui l’avviata sperimentazione non desse risultati favorevoli alla terapia?

Il Pretore di Torino afferma che “il fondamentale individuale ed incomprimibile, anche per la P.A., diritto alla salute non può essere scalfito da scelte tecniche dell’amministrazione sanitaria di dare gratuitamente il farmaco solo per alcune malattie o solo nell’ambito di una sperimentazione medico-farmacologica che solo a breve dovrebbe avere inizio. Per cui questo farmaco, che già è a disposizione del SSN, deve essere dato a chi, a suo insindacabile giudizio e del suo merito curante, lo chiede per allargare le sue aspettative di salute e di vita”: il giudice ritiene pertanto che la scelta tecnica di non includere la malattia tumorale tra quelle cui accede la somministrazione gratuita del farmaco, sia lesiva del diritto alla salute e come tale non rientrante tra i poteri dell’amministrazione.

Dal punto di vista strettamente processuale, si rivelerà di particolare interesse verificare se nei giudizi di merito che seguiranno alla fase cautelare vi sarà una istruttoria tendente ad accertare se il diritto fatto valere (la salute) sia stato illegittimamente compresso ovvero se l’amministrazione abbia bene operato; e se in tal caso ci si affiderà alla C.T.U. (ammesso e non concesso che in una materia del tutto nuova e priva di precedenti – se non quelli oggetto di controversia – sia possibile per il perito d’ufficio individuare lo “stato dell’arte” e in base ad esso disattendere la tesi di uno dei C.T.P., prevedibilmente di pareri contrapposti) ovvero si attenderanno gli esiti (non previsti se non dopo parecchi anni) della sperimentazione ufficiale.

Quest’ultima è il punto nevralgico di tutta la vicenda, se si considera che“ogni forma di progresso terapeutico-farmacologico, chirurgico o di altra natura – prima di entrare a far parte dello stato dell’arte della disciplina medica specifica, costituisce una diretta applicazione di una celebre frase di J.L.Borges: la tradizione è una trama secolare di avventure[29].

Il codice di deontologia medica del 24-25 giugno 1995, approvato dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (il cui art. 43 enuncia “Sperimentazione scientifica. Il progresso della medicina è fondato sulla ricerca che non può prescindere dalla sperimentazione scientifica sull’animale e sull’uomo, nei limiti dei principi generali e specifici dell’ordinamento giuridico”) prevede che la ricerca biomedica e la sperimentazione sull’uomo siano subordinate al consenso scritto dell’interessato previa adeguata informazione sugli obiettivi, sui metodi, sui rischi e disturbi potenziali (art. 44), e che la sperimentazione clinica può essere inserita in trattamenti diagnostici e/o terapeutici solo in quanto razionalmente e scientificamente suscettibile di utilità diagnostica o terapeutica per i pazienti interessati e che essa deve essere programmata secondo adeguati protocolli e aver ricevuto il preventivo assenso di un comitato etico (art. 46).

Ma i provvedimenti in esame riguardano casi portati all’attenzione del magistrato prima dell’avvio della sperimentazione ufficiale, sulla base della opinione di singoli professionisti medici.

I profili di responsabilità penale del medico, in caso di inosservanza delle norme di comportamento così enucleate, contribuiscono ad evidenziare la complessità del tema in esame. Anzitutto in mancanza di consenso il medico “risponderà di lesioni/omicidio volontario o, nell’interpretazione più benevola, ove il consenso non si sia formato a causa di un comportamento colposo, delle rispettive ipotesi colpose[30]. Si consideri poi il sensibile carico di responsabilità giuridica e deontologica gravante sul medico che prescriva una cura sperimentale al di fuori della sperimentazione ufficiale: gli autori testè citati ritengono apparente la difficoltà di operare confronti tra il comportamento del sanitario con la legittimazione clinico-scientifica dell’atto compiuto per verificare eventuali discordanze, poiché la giurisprudenza è dell’avviso che anche nell’ambito delle terapie sperimentali si deve escludere la colpa qualora l’iter sperimentale sia stato eseguito con prudenza, diligenza e capacità.

Pare a chi scrive di dover sottolineare un aspetto dubbio (seppur teorico, stante l’avvio della sperimentazione): il medico – in base alla prescrizione del quale il giudice ha emesso il provvedimento d’urgenza ordinando la somministrazione gratuita del farmaco al di fuori del protocollo sperimentale – potrà invocare in proprio conforto (nel caso di esiti infausti della terapia) proprio la decisione giurisdizionale? Se il fondamento scientifico del provvedimento cautelare è l’opinione espressa in piena coscienza professionale dal medico, non v’è chi non scorga l’enorme responsabilità che questi si assume con siffatta scelta terapeutica; si badi che i provvedimenti in commento non hanno ad oggetto l’ordine di inserire pazienti nel protocollo, ma quello di somministrare loro il farmaco gratuitamente sic et simpliciter perché così voluto dal medico curante. Con l’inserimento nei protocolli di sperimentazione dei pazienti che hanno ottenuto il provvedimento d’urgenza, attribuendo all’inserimento stesso una sorta di efficacia ex tunc, c’è da domandarsi se sarà possibile sanare gli eventuali profili di responsabilità per colpa professionale del medico.

Ad un primo esame, il decreto-legge del 17 febbraio 1998, n. 23, sembra confermare a grandi linee le regole già esistenti: l’art. 3 contiene infatti un evidente richiamo dei medici alle proprie responsabilità professionali e alle proprie norme deontologiche più elementari (“in singoli casi il medico può, sotto la sua diretta responsabilità e previa informazione del paziente e acquisizione del consenso dello stesso,…”).

Lo stesso articolo ci pare tuttavia censurabile quantomeno sotto il profilo della genericità, lasciando spazio a margini eccessivi di discrezionalità ermeneutica nella previsione di condotte la cui violazione comporta ex lege grave responsabilità deontologica.

Il tentativo dei “dibellisti” di diluire ulteriormente il richiamo operato dall’art. 3 del provvedimento in questione alle norme deontologiche, che regolano la professione medica, è ovviamente del tutto comprensibile in un’ottica decisamente insofferente alle regole della c.d. “medicina ufficiale”, ma a noi sembra non privo di rischi, soprattutto in una prospettiva futura.

 

3. Riflessioni conclusive: i limiti della c.d libertà di cura.  Le  ordinanze pretorili:

‘diritto alla libertà terapeutica’  o  ‘diritto all’ultima speranza’?

 

Il “caso Di Bella” costituisce senz’altro un’importante occasione per riflettere sui contenuti dell’art. 32 della Costituzione e sulle potenzialità insite in tale norma.

Del resto, in situazioni confuse come la vicenda in esame, l’interprete non può accontentarsi di individuare i pro ed i contro delle soluzioni prospettate dalle parti in gioco, ma ha il dovere di contribuire in chiave propositiva al dibattito in corso.

Ci sembra dunque opportuno chiudere il nostro scritto rilevando quanto segue.

In primis è opportuno tenere presente che l’art. 32 Cost. non si limita a configurare in capo ai singoli il diritto soggettivo fondamentale alla salute[31], ma impone alla Repubblica di attivarsi nella protezione di questo diritto[32]. Lo Stato deve cioè garantire ad ogni singolo cittadino la reale attuazione e la concreta operatività del diritto fondamentale alla salute.

Le risorse, che possono venire destinate per la tutela del bene-salute, non sono tuttavia illimitate e lo Stato, nell’adempiere ai compiti impostigli dall’art. 32 Cost., deve operare delle scelte che permettano il miglior sfruttamento delle risorse stesse. E’ pertanto inevitabile riconoscere alla pubblica amministrazione il potere discrezionale di decidere se utilizzare o meno le risorse assegnate al servizio sanitario pubblico per un determinato progetto di assistenza sanitaria[33].

Scendendo nel merito della vicenda in esame, è evidente che lo Stato non può permettersi la somministrazione gratuita di tutti i tipi di farmaci, a prescindere da una qualsivoglia prova della loro utilità.

In breve, affinché l’intervento dello Stato nell’assistenza sanitaria si mantenga stabile e costante nel tempo, l’amministrazione pubblica deve contenere la spesa, tenendo presente il rapporto tra economicità del prodotto ed efficacia terapeutica: ciò non è a detrimento dei singoli, ma a beneficio di tutti.

La stessa Suprema Corte nella menzionata decisione in Abbatescianni c. U.S.L. n. 9  Bari ha preso atto della legittimità di questo tipo di limitazioni all’assistenza farmaceutica: “risulta affidata alla discrezionalità del ministro della sanità – deputato alla approvazione del prontuario terapeutico – l’individuazione dei farmaci, prescrivibili a carico del servizio sanitario nazionale in base ai suddetti due criteri: efficacia terapeutica ed economicità del prodotto[34].

La necessità di sperimentare una cura prima di porla a carico dello Stato non è dettata dal capriccio di una singola norma oppure di un ministro testardo: siffatta esigenza trova le sue ragioni nella sopravvivenza stessa del sistema di protezione ed assistenza apprestato dallo Stato.

Un primo ostacolo che si contrappone alla libertà di cura intesa illimitatamente a carico dello Stato è pertanto costituito dalle esigenze finanziarie dell’amministrazione e dalla disponibilità delle risorse da investire.

Siffatto impedimento all’affermazione nel nostro sistema della “libertà di cura sempre e comunque” può ad ogni modo apparire agli occhi di molti non sufficiente a giustificare il diniego da parte della p.a. della somministrazione gratuita (comportante notevoli esborsi per lo Stato) di un farmaco non sperimentato a soggetti affetti da una malattia come il cancro.

Condividiamo l’idea, peraltro affermata più volte dalla giurisprudenza[35], che il prontuario terapeutico nazionale non possa costituire un rigido limite invalicabile: ciò implicherebbe senz’altro, al di là delle possibili lesioni del diritto alla salute dei singoli, una situazione in cui i cittadini indigenti si troverebbero svantaggiati rispetto a coloro che possono invece permettersi l’acquisto a proprie spese dei farmaci esclusi. Se il prontuario terapeutico fosse insuperabile, sarebbe certo compromessa l’eguaglianza dei cittadini protetta dal disposto di cui all’art. 3 Cost.

Va peraltro sottolineato che il legislatore stesso ha previsto delle possibilità di aggirare l’ostacolo posto dal prontuario del Ministero: si pensi infatti alla menzionata legge del 23 dicembre 1996, n. 648.

Proprio dalla disciplina del 1996 emerge tuttavia un’idea di fondo: se il farmaco richiesto non rientra nel prontuario, deve sussistere comunque, perchè possa essere concesso gratuitamente, un qualche segno della sua efficacia (ad esempio l’essere autorizzato in un altro Stato), nonché un controllo (quello della Commissione Unica del Farmaco).

Come porsi di fronte a siffatte cautele?

A nostro avviso i limiti posti dal legislatore nell’organizzazione dell’assistenza sanitaria e ribaditi con il decreto-legge del 17 febbraio 1998 non trovano esclusivamente la loro origine in scelte economiche di contenimento della spesa pubblica, ma si ricollegano a dei principi etici e morali appartenenti alla nostra cultura e società e più in generale alla comunità scientifica mondiale, per cui è assolutamente necessario un controllo sulla sperimentazione umana dei farmaci: non si può cioè lasciare che il singolo cittadino, nel nome della libertà di cura, sia sottoposto ad una sperimentazione condotta su iniziativa di privati in assenza di qualsivoglia controllo.

Del resto non avrebbe senso da un lato proteggere il cittadino nei confronti dello Stato imponendo dei limiti alle sperimentazioni ed ai trattamenti obbligatori decisi dall’apparato statale[36], e dall’altro, invece, lasciare i singoli in balìa di soggetti che agiscono al di fuori delle strutture pubbliche. Non è accettabile, per il giurista, che l’art.32 Cost. preveda limiti ed oneri per l’amministrazione pubblica e non, correlativamente, anche per i privati che ad essa eventualmente suppliscano.

Di fatto il Prof. Di Bella, allorquando sostiene l’inutilità di procedere alla sperimentazione in quanto l’efficacia della sua terapia sarebbe già incontestabile alla luce delle cartelle cliniche dei pazienti che si sono sottoposti in questi anni al suo trattamento, ammette di avere condotto una sua autonoma sperimentazione.

E allora, soprattutto a fronte di provvedimenti come l’ordinanza in commento e le decisioni dei giudici amministrativi di cui si è detto in introduzione, è opportuno chiedersi se il rischio non sia forse di una legittimazione a furor di popolo di sistemi di sperimentazione totalmente esenti dal rispetto delle regole.

A nostro parere il pericolo è concreto e dovrà necessariamente trovare adeguate risposte sia da parte del legislatore sia ad opera della Corte costituzionale.

L’ordinanza in esame è del tutto ragionevole (come può del resto un giudice negare ad un malato terminale la somministrazione a carico dello Stato di un farmaco difficilmente reperibile e assai costoso, soprattutto allorquando il giudice in questione si trovi ad agire in un procedimento d’urgenza ed il farmaco richiesto sia prescritto da un medico iscritto all’Albo?) e fondata sotto il profilo del diritto sostanziale e processuale (nessun dubbio sulla sussistenza di fumus, stante la prescrizione medica, e di periculum, stanti le condizioni del malato). Pur tuttavia all’interprete è concesso prendere in considerazione anche il contesto storico in cui la decisione analizzata si colloca e diventa pertanto inevitabile che essa, inserita nell’insieme composto da tutte le altre ordinanze pretorili emesse in Italia in questi mesi[37], possa destare non poche preoccupazioni.

Onde evitare che la soluzione giuridica data dall’insieme delle decisioni pretorili finisca con il legittimare l’idea fuorviante che la sperimentazione farmacologica possa avvenire anche al di fuori delle regole di tutela vigenti, appare necessario ricondurre la ratio decidendi delle ordinanze non nell’affermazione dell’incondizionata libertà di cura ma piuttosto, in una situazione di inattesa emergenza ed a fronte della forte emotività venutasi a creare prima di tutto tra le persone malate[38], nella scelta di accordare ai malati terminali una sorta di “diritto all’ultima speranza”.

In conclusione, ci sembra opportuno che sia mantenuta molta cautela nell’affermare che nel nostro sistema, in particolare nell’art. 32 Cost. e quindi nell’ambito del diritto alla salute, si sarebbe ormai consolidato, quale nuova forma di libertà personale, il diritto alla libertà di cura, soprattutto laddove tale diritto sia inteso in senso assolutamente illimitato.

Non c’è niente di più condivisibile dell’affermazione che la libertà umana deve essere sempre organizzata all’interno della realtà sociale[39], il che non significa ridurre il problema alla rigida alternativa tra interessi privati ed interessi pubblici, ma ricordare che, in un Paese retto su principi costituzionali, “la costituzione può sviluppare la sua forza coordinatrice e unificante solo qualora garantisca dei diritti non soltanto a favore del ‘beneficiario’, ma anche a favore della collettività[40]. Non si può cioè sacrificare l’intero sistema, che è a protezione della comunità formata dai singoli individui, per tutelare, senza forti garanzie di riuscita, il diritto di pochi: la soluzione opposta, consistente nella negazione dei diritti fondamentali quali “garanzia concessa alla comunità[41] e nella sola esaltazione della loro dimensione individuale, comporterebbe un indebolimento dei diritti di cui all’art. 32 Cost.

Il ruolo chiarificatore cui è chiamata la Corte Costituzionale non è certo invidiabile: il richiamo alle “regole del gioco” è un compito sempre più arduo in Italia[42].

 

 

 


[1] E’ opportuno che il lettore tenga presente che la presente nota è aggiornata al 17 marzo 1998.

[2] Pret. Maglie, 16 dicembre 1997, ined.

[3] Sui problemi giuridi sottesi al “caso Di Bella” non risultano ancora particolari contributi della dottrina, fatta eccezione per V. Frosini, Tra diritti individuali e interessi pubblici irrisolto il nodo della libertà terapeutica, in Guida al Diritto, 1998, 4, 12; F. Sigillò, Nota alla decisione del Pretore di Massa del 5 gennaio 98 sul protocollo Di Bella, in http://www.diritto.it/articoli/civile/nota.htm.

[4] Il termine è chiaramente di orgine giornalistica.

[5] Sull’art. 32 Cost. e sulle problematiche inerenti il diritto alla salute si rinvia a: M. Cocconi, Il diritto alla tutela della salute, Padova, 1998; M. Dogliotti, Profili di responsabilità civile nella tutela della persona, in Alpa-Bessone, La Responsabilità Civile, Aggiornamento 1988-1996, I, Torino, 1997, 421;  P. Caretti  e U. De Servio, Istituzioni di diritto pubblico, III ed., Torino, 1996, 636; R. Caranta, Alti e bassi del diritto alla salute nella giurisprudenza del giudice ordinario, in Giur. it., 1993, I, 1, 1333; V. M. Caferra, Diritti della persona e Stato sociale, Bologna, 1987; B. Caravita, La disciplina costituzionale della salute, in Dir. Soc., 1984, 21 ss.; Castiglione, La libera scelta del cittadino nelle prestazioni sanitari-diagnostiche alla luce della giurisprudenza amministrativa, in Foro amm., 1983, I, 1001; Perlingieri, Il diritto alla salute quale diritto della personalità, in Rass. dir. civ., 1982, 1020; Luciani, Il diritto costituzionale alla salute, in Assist. san., 1981, 5;  Cassano, L’art. 32 della Costituzione nel contesto della legge di riforma sanitaria, in Pratica amm., 1981, 73; De Cupis, Il diritto alla salutetra Cassazione e Corte Costituzionale, in Giust. civ., 1980, I, 534;  Luciani, Il diritto costituzionale alla salute, in Dir. Soc., 1980, 769;  L. Montuschi in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, Bologna, 1976, 146.

[6] L’octreotide è un sintetico dell’ormone somatostatina, quest’ultimo più difficile da somministrare.

[7] La somatostatina viene sommnistrata a spese dello Stato solo nell’ipotesi degli apudomi e cioé delle forme tumurali che si sviluppano dalle cellule, di origine embrionale, appartenenti al cosiddetto “sistema Apud” (Amine Precursors Uptake and Decarboxylation) e situate nel pancreas, nell’intestino, nonché nella tiroide.

[8] Il Ministro della Sanità sembra essersi richiamato in particolare ai seguenti dati normativi:  il decreto legislativo 29 maggio 1991, n. 178 (Recepimento delle direttive della Comunità economica europea in materia di specialità medicinali), in Gazz. Uff., 15 giugno 1991, n. 139; la legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), in Suppl. ordinario n. 121, alla Gazz. Uff., 28 dicembre 1993, n. 303: si veda soprattutto l’art. 8 (Disposizioni in materia di sanità); nonché le direttive n. 65/65/CEE n. 75/319/CEE, n. 83/570/CEE, n. 87/21/CEE ed il Regolamento n. 2309/CEE.

[9] In Gazz. Uff., 9 agosto 1977, n. 216.

[10] Nell’ambito di questo scontro si colloca l’ordinanza del Ministero della Sanità del 23 dicembre 1997 (Acquisizione di elementi conoscitivi sul “metodo Di Bella”), in Gazz. Uff., 24 dicembre 1997. Con questa ordinanza il ministero in questione ha in pratica ordinato al Prof. Di Bella e atutti coloro che ne fossero in possesso di consegnare al Ministro della Sanità la documentazione clinica nel termine di 20 giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza.

[11] La normativa ivi prevista consente, quando non sussiste valida altrenativa terapeutica, l’erogazione a totale carico del Servizio sanitario nazionale di farmaci innovativi autorizzati in altri Stati, ma non sul territorio nazionale, di medicinali non ancora autorizzati, ma già sottoposti a sperimentazione clinica e, infine, di medicinali da impiegare per un’indicazione terapeutica

[12] In particolare Puglia e Lombardia. Il problema delle competenze delle regioni in materia sanitaria costituisce un’altra questione importante emersa in occasione del “caso Di Bella”. Sul punto si ricorda che l’art. 117 della Costituzione riconosce alle regioni la facoltà di intervenire a livello legislativo sull’assistenza sanitaria ed ospedaliera, sebbene è opportuno tenere presente che tale potere non può essere esercitato in contrasto con l’“interesse nazionale”. La Corte costituzionale è intervenuta più volte in questi anni sui rapporti tra regioni e Stato in materia sanitaria. Tra le decisioni più recenti si menzionano: Corte Cost., 28 luglio 1995, n. 416, in Rass. Dir. Farm., 1995, 801, in Regioni, 1996, 281; Corte Cost., 25 luglio 1994, n. 338, in Giur. it., 1995, I, 68; Corte Cost., 7 aprile 1994, n. 124, in Cons. Stato, 1994, II, 537, in Giur. Costit., 1994, 1038; Corte Cost., 7 aprile 1994, n. 128, in Cons. Stato, 1994, II, 550, in Giur. Costit., 1994, 1080; Corte Cost., 4 giugno 1993, n. 267, in Giur. it., 1994, I, 358, in Regioni, 1994, 538.

[13] T.A.R. Lazio, sez. I, ordinanza 9 febbraio 1998, n. 348, ined.

[14] Gazz. Uff., 17 febbraio 1998, n. 39.

[15] Cons. Stato, sez. IV, ordinanza  24 febbraio 1998, n. 348, ined.

[16] T.A.R. Lazio, sez. I,  ordinanza 9 marzo 1998, n. 384, ined. Ha difeso l’operato dei giudici amministrativi il Presidente dell’Associazione nazionale magistrati amministrativi, G. Caruso, La <bufera Di Bella> dopo i giudici amministrativi ora si abbatte sulla corte costituzionale, in Guida al Diritto, 1998, n. 11, 12.

[17] Virga, Diritto Amministrativo II, Milano, 1992, 253.

[18] Dini-Mammone, I provvedimenti d’urgenza, Milano, 1997, 488.

[19] Cass. Sez. Un., 6 ottobre 1979, n. 5172, in Giur.It., 1979, I, 1, 1721 con nota di Berri e 1493 con nota di Montesano, in Foro It., 1979, I, 2032, in Giust.Civ., 1979, I, 764.

[20] Così lo definisce ad esempio la Corte costituzionale nel celebre leading case sul danno biologico, Repetto c. A.M.T. di Genova: Corte Cost., 14 luglio 1986, n.184, in Foro It., 1986, I, 2053, con nota di Ponzanelli, in Foro it., 1986, I, 2976, con nota di Monateri. Significativi precedenti della decisione del 1986 sono le decisioni della Corte costituzionale in Nelli c. Capenti e in Migliorini c. Pegoraro: Corte Cost., 26 luglio 1979, n. 88 e Corte Cost., 26 luglio 1979, n. 87, in Foro it., 1979, I, 2542.

[21] Si veda da ultimo, Cass., Sez. Un., 12 giugno 1997, n.5297, in Foro It., 1997, I, 2075 in sede di regolamento di giurisdizione.

[22] Cass. Sez. Un., 20 febbraio 1992, n. 2092, in Foro It., 1992, I, 2123.

[23] Trib.Torino, 16 novembre 1994, in Giur.It., 1995, I, 2, 472.

[24] Si segnalano in particolare i seguenti contributi giurisprudenziali: Trib.Udine, 18 ottobre 1995, in Resp. Civ. Prev., 1996, 365; Trib.Chieti, 28 giugno 1993, in Giur. di merito, 1995, 357; Pret.Ciriè, 25 marzo 1993, in Giur.It., 1994, I, 2, 208; Pret.Treviso-Conegliano, 10 gennaio 1991, in Rass. Giur. Eenel, 1992, 152; Pret.Torino, 25 marzo 1991, in Nuovo Dir., 1991, 956; Pret.Pordenone, 10 marzo 1990, in Rass.Giur.Enel, 1990,,523; Pret. Roma, 26 ottobre 1989, in Giur. di merito, 1991, 269; Pret.Napoli, 13 ottobre 1986, in Rass.Dir.Farm., 1987, 248.

[25] Pret. Enna, 6 ottobre 1995, in Giur.It. 1995, I, 2, 865, con nota di Giorgis.

[26] Cass., Sez. Lav., 3 ottobre 1996, n. 8661, in Foro It., 1996, I, 3331, con nota redazionale di Caringella.

[27] Trib. Torino, 24 novembre 1994, in Giur.It., 1995, I, 2, 472.

[28] Pret. Ciriè, 25 marzo 1993, in Giur.It., 1995, I, 2, 208, con nota di Masucci, alla quale si rimanda per ampi riferimenti giurisprudenziali.

[29] Parodi-Nizza, La responsabilità penale del personale medico e paramedico, in Giurisprudenza sistematica di diritto penale diretta da Franco Bricola e Vladimiro Zagrebelsky, Torino, 435.

[30] Parodi-Nizza, cit., 438.

[31] Siffatta interpretazione dell’art. 32 Cost. è frutto della lenta evoluzione della disciplina dei c.d. “diritti di libertà”: il diritto alla salute, inquadrato come un “diritto sociale” e dunque fortemente condizionato dall’intervento dei poteri pubblici, è stato sottoposto a partire dagli anni ‘60 ad una profonda revisione, i cui esiti sono stati la ricollocazione del diritto in questione tra i diritti inviolabili di cui all’art. 2 Cost.  Su questo percorso si rinvia a M. Cocconi, Il diritto alla tutela della salute, cit. All’evoluzione del diritto alla salute, quale diritto assoluto e fondamentale dei singoli, ha contribuito notevolmente la dottrina civilistica a partire dagli anni ‘70, nonché i numerosi interventi delle corti di merito e di legittimità. In particolare nel corso dell’ultimo ventennio abbiamo assistito ad una profonda rielaborazione degli strumenti risarcitori posti a tutela del diritto in esame: si pensi al danno biologico, ma anche alla rivalutazione dello studio delle funzioni della responsabilità civile ed in particolare della portata sanzionatoria del sistema risarcitorio.

[32] Hanno evidenziato quest’ultimo aspetto P. Caretti e U. De Siervo, Istituzioni di Diritto Pubblico, cit., 636.

[33] M. Di Raimondo, Il cosiddetto <diritto alla salute> e il rimborso per i medicinali non compresi nel prontuario farmaceutico, in Nova rass., 1985, 2001.

[34] Cass., sez. lav., 3 ottobre 1996, n. 8661, cit.

[35] Oltre che alla giurisprudenza esaminata nel corso del commento all’ordinanza del Pretore di Torino, si rinvia qui a Cass., sez. un., 20 febbraio 1985, n. 1504, in Giust. civ., 1985, 1314, in Giur. it., 1985, I, 1, 677, in Foro it., 1985, I, 672, in Corriere Giuridico, 1985, 485, in Riv. giur. lav., 1985, III, 136, in Rass. dir. farm., 1985, 467.

[36] Art. 32 Cost., comma secondo: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Sui limiti che incontrano la sperimentazione umana ed i trattamenti sanitari obbligatori si rinvia in particolare a V. M. Caferra, Diritti della persona e Stato Sociale, Bologna, 1987, 75 ss.. E’ altresì evidente che è chiamato direttamente in causa l’art. 5 c.c., che stabilisce che “gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume”. Sull’art. 5 c.c. F. Galgano, Diritto civile e commerciale, 2 ed., Padova, 1993, Vol. I, 152 ss.; R. Romboli, Persone fisiche, in Commentario al codice civile Scialoja Branca, a cura di F. Galgano, Bologna, 1988, Vol. I, 225 ss.

[37] Si calcola che abbiano ormai passato il migliaio.

[38] Ci sembra innegabile comunque che la scelta dei malati di affidarsi a cure alternative non garantite sia da imputarsi in larga misura alla mancanza ormai generalizzata di fiducia nel modus operandi dell’amministrazione pubblica, che in un passato recente ha visto spesso prevalere interessi totalmente estranei alla ricerca del benessere del cittadino. E’ auspicabile che la “vicenda Di Bella” possa portare, malgrado i travagli che ancora seguiranno, ad una ricostituzione del rapporto di fiducia tra cittadino e welfare state.

[39] P. Haberle, Le libertà fondamentali nello stato costituzionale, 1993, Roma (traduzione a cura di Fusillo e Rossi), 54. Titolo originale: P. Haberle, Die Wesengehaltgarantie des Art. 19 Abs. 2 Grundgesetz, 1983, Heidelberg.

[40] P. Haberle, Le libertà fondamentali nello stato costituzionale, cit., 55.

[41] P. Haberle, Le libertà fondamentali nello stato costituzionale, cit., 54.

[42] Si rifletta sui quesiti posti a suo tempo da Norberto Bobbio: “Che cosa è la democrazia se non un insieme di regole (le cosiddette regole del gioco) per la soluzione dei conflitti senza spargimento di sangue? e in che cosa consiste il buongoverno democratico se non, anzitutto, nel rigoroso rispetto di queste regole?”, N. Bobbio, Il futuro della democrazia, Torino, 1984.

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